Secondo una recente indagine del Codacons il 63% dei miei post inizia con "Secondo una recente indagine", il 79% contiene la frase "quando ero piccolo", il 77% abbonda di lamentele sulla mia vita e l'84% di queste si conclude con improbabili metafore. Volendo sfatare questi futili pregiudizi ho deciso di raccontare una piccola parabola riguardante un gioco che conservo in solaio. Quando ero piccolo ci giocavo con mio fratello e con i fratelli che abitavano al piano di sopra; si chiamava "Il paroliere" e se non ricordo male derivava da un omonimo programma televisivo condotto da Jocelyn. In realtà non mi divertiva neanche tanto il gioco in sè (lo scopo era trovar delle parole formate da lettere stampate su sedici dadi) ma ero un po' affascinato dal movimento che si faceva per "mischiare" i dadi, quando dopo aver squassato la scatola che li conteneva li si scuoteva lievemente per far sì che tutti i cubetti venissero accolti dalle loro nicchie (forse ne avevo già parlato, ora che ci penso; spero di no). Io sono sempre stato disordinato un po' in tutti campi della vita, ma la sensazione di quei dadi che rientravano al loro posto creando un ordine pulito e compiuto mi lasciava (per quale precisa ragione non so) un po' incantato, come quando sentivo mia bisnonna leggere a bassa voce il giornale o come quando qualcuno ti sfiora la nuca con un dito. Insomma, tutta questa premessa per dire ua cosa forse un po' banale, e cioè che anche a me servirebbe una squassata per rimettere un po' in ordine le cose, perchè così come sono non permettono di costruire niente; se riuscissi a rimettere un po' a posto le lettere magari potrei formare qualche semplice parolina di base, potrebbe bastare.
29 giugno 2008
27 giugno 2008
Duel
Due giorni fa mi è successa una cosa un po' strana, una cosa che mi era già accaduta una dozzina di anni fa. Stavo facendo un giro in bici, avevo appena fatto il record stagionale sul Tirabusson e mi stavo dirigendo verso la salita di Bedogno quando ad un certo punto mi accorgo che la macchina che mi aveva appena superato (una specie di suv grigio metalizzato) lo aveva fatto già altre due volte, ogni volta rallentando mentre mi affiancava. Stavo percorrendo una stradina collinare ed è strano che in quelle zone la stessa macchina ti superi più volte, perchè non ci sono vie traverse o cortili di case nei quali magari fermarsi per sbaglio per poi ripartire. Mentre penso queste cose esco da una curva e rivedo sul ciglio la stessa macchina, con il guidatore (un tizio sui 40/45 anni con occhiali scuri) appoggiato al finestrino che guarda fuori verso di me. Non sta telefonando e non sembra voler chiedere informazioni, se ne sta solo lì. Lo supero e dopo pochi secondi sento che rimette in moto. Mi era capitata la stessa cosa diversi anni fa (allora non ero mai riuscito a vedere in faccia il guidatore) ed in entrambe le occasioni ho reagito allo stesso modo: subito ho pensato "sì, prova solo a mettere un piede giù dalla macchina e ti disintegro!", poi dopo altri due "sorpassi" ho iniziato a sentirmi meno sicuro, e quando mi ha ripassato per la settima volta ho provato solo fifa, anche perchè ormai eravamo in mezzo al nulla, lontano da ogni paesino; perciò ho aspettato che fosse cinquanta metri davanti a me ed approfittando di una semicurva che gli toglieva visuale ho girato la bici e me ne sono tornato indietro velocemente. Forse non era un maniaco e aveva le sue ragioni per agire così, anche perchè ammetto di non rappresentare esattamente il prototipo di colui che attira i maniaci, però proprio non riesco a dare una spiegazione normale ad un tale comportamento. Comunque dopo sei o sette chilometri arrivo a Puianello e lì, visto che non avevo ancora fatto salite per colpa del suv, decido di fare la salitella di un chilometro che porta al cimitero del paese. Vado su ed a metà salita risento dietro di me un diesel, che pian piano mi affianca e supera; è un suv grigio metallizzato! Mi dico, "ma sarà ancora lui? no, dai, è impossibile...". Però faccio altri duecento metri e vedo che la macchina sta tornando indietro, sempre lentamente; quando stiamo per incrociarci accosta e si ferma sul lato della strada; era lo stesso tizio di prima e anche questa volta è lì che guarda fuori verso di me. A questo punto la fifa diventa fifona e arrivato al cimitero mi butto giù per una stradina sterrata dove le macchine non possono passare e torno a Reggio seguendo la statale, in mezzo al traffico protettore. Insomma, una storia tipo "Duel" di Spielberg. Secondo me era lo stesso suonato di dodici anni fa, anche perchè la zona era la stessa. So che mi pentirò di quello che sto per dire ma a volte giuro che vorrei non essere così sexy e poter girare tranquillamente come tutte le persone normali.
25 giugno 2008
I plumbei campi di rape
Molti lettori mi hanno chiesto di parlare ancora dei piccoli fatti della mia vita privata, perchè ne sono ghiotti ed oltremodo interessati. Cosa dire? In questi giorni non mi è successo molto. Ho iniziato a leggere "I turbamenti del giovane Torless", di Musil; molto bello. Musil era laureato in filosofia ed ingegneria (un mix spaventoso, che terrorizzava già gli aztechi, usi a far sacrifici umani ad un dio mostruoso con il corpo da Wolf84 ed il capo da Paco) ed i suoi studi filosofici emergono chiaramente nella narrazione. Ci sono descrizioni psicologiche che mi andrebbe di ricopiare pari pari per il loro acume, ma alla fine lo spezzone di frase che mi è rimasto più impresso, non so bene perchè, è quello che descrive il malinconico Torless quando vede il suo stato d'animo rispecchiato nei "plumbei campi di rape". La prossima volta che esco con una ragazza (per allora avrò lo sconto pensionati, quindi la potrò portare al cinema a buon mercato) le dirò quella frase e la sedurrò sul colpo. Prima del giovane Torless avevo provato ad iniziare "L'idiota" di Dostoevskji ma non mi piaceva, c'erano troppe cose angoscianti (Dostoevskji si trova a proprio agio nell'angoscia come Cinders nel fango dopo che gli hanno messo gli stivalini). Poi ieri ho trovato un dentista per la moglie di Greenaway che soffriva un sacco; ne sono stato orgoglioso, alla faccia di mia madre che pensava che non avrei mai combinato niente nella vita (no, ne sono stato orgoglioso davvero, è un po' triste ma è così). Poi ho fatto un po' inaspettatamente due record stagionali in bici: 5'27" su via Poiano e 28'23" sul Cavazzone. Il secondo record è migliore (per 5") anche di quello che avevo fatto l'anno scorso, ed alla mia età battere il record del'anno precedente dà un certo piacere perchè ti fa pensare che il tuo decadimento fisico non è poi così veloce. Tre giorni fa invece ero andato in mbk e mi erano accaduti due fatti davvero notevoli: il primo è che un piccolo di merlo (o di tordo?) mi è volato direttamente tra i raggi della ruota posteriore; ho frenato pensando "spero di averlo ucciso perchè se gli ho solo spezzato un'ala morirà comunque e lentamente" e invece non so come ma non si era fatto niente ed era solo parecchio arrabbiato nei miei confronti; la seconda cosa è che al momento di guadare il Crostolo l'ho trovato "in piena" e così nel'impossibilità di camminare sui sassi o di pedalare sul fondo l'ho attraversato a piedi immergendomi fino al ginocchio in acque che sembravano più pulite del solito. E' stato bello e rigenerante. Probabilmente mi sarò preso sei forme diverse di leptospirosi ma ne è valsa la pena.
23 giugno 2008
These boots are made for talking
Il maialino della foto si chiama Cinders ("Ceneri"?) e secondo il Daily Mail è l'unico porcellino al mondo che ha orrore del fango, perciò i suoi padroni gli hanno messo questi quattro stivaletti presi da due orsacchiotti di pezza. Non so se la storia è vera (il giornalismo inglese ha una credibilità leggermente inferiore a quella del TgCom) ma era una foto carina.
19 giugno 2008
L'uomo che sussurrava agli uccelli
Ok, il post sui Karamazov era piuttosto bruttino perciò passo subito a quest'altro, quasi ancor più interessante. Tema: i pennuti. Quest'anno la produzione di uccelli ha battuto ogni record. Nelle scorse stagioni nel mio giardino avevano sempre fatto una covata solo le cince e non era quasi mai andata bene (anzi, mai). Quest'anno di covate le cinciarelle ne hanno già fatte due ed in entrambi i casi quasi tutti i piccoli sono riusciti a sopravvivere; e ieri mi sono accorto che hanno fatto un nido anche i merli e che i loro piccoli sono già nati e volati via. Le cinciarelle nidificano nella casetta artificiale legata al ciliegio, mentre i merli hanno costruito la loro coppa di paglia sull'acero (foto: a sinistra c'è il ciliegio, a destra l'acero). Disse alla sua amica candela, ricordando i tempi in cui era un alberello malandato a Woodstock, l'acero: "là, cero, là c'ero, lacero". Sotto all'albero ho trovato questi guscini azzurri che si vedono nella foto qui sopra (sullo sfondo c'è lo stenditoio con i ciapetti, una cruda metafora dell'angoscia dell'uomo contemporaneo), mentre oggi aprirò la casetta delle cince e guarderò dentro, sperando di non trovarci nessun "corpicino". Però a giudicare dal pigolìo degli ultimi giorni in molti dovrebbero avercela fatta. Su "Nidi, uova e nidiacei degli uccelli d'Europa", l'ottimo manuale che avevo preso ai tempi del servizio civile nella Lipu, confermano che si tratta proprio di uova di merlo. Sono azzurrine chiare, screziate da macchioline brune, lunghe 3 cm e larghe 2. I piccoli nascono implumi e rimangono nel nido 12-19 giorni; sono da 3 a 9 per covata. E in effetti lì per terra c'erano 3 gusci (ma magari in alto nel nido ce ne sono altri, e poi i piccoli di merlo sono bravissimi nel fare scomparire il proprio guscio, al punto che presso gli altri uccelli sono noti come "maghi merlini"). Così.
17 giugno 2008
Wake up
Ho letto "I fratelli Karamazov".
In questo periodo non sono molto soddisfatto della mia situazione (ma toh!) e leggere libroni o provare a studiare il tedesco o anche venire a scrivere sul blog sono tentativi (debolucci, lo so, ma non ne ho molti altri a disposizione) per cercare di cambiare un pochino le cose. Però, insomma, alla fine anche stare male è un segno di maturazione, perchè fino a poco tempo fa al sopravvenire dei primi sintomi del malessere spirituale mi sarei rifugiato nelle classifiche, nei post su rugby.it, nelle partite a scacchi ed in altre cose del genere, così come Mitja Karamazov si tuffava nella vodka o nel baccarat. Dmitrij detto Mitja è il mio personaggio preferito nel libro, un affresco socioantropologico sulla famiglia Karamazov ed i loro concittadini. Un affresco fin troppo ricco e completo, per i miei gusti: avrei apprezzato maggiormente il romanzo se lo scrittore russo si fosse canonicamente concentrato sui personaggi principali risparmiandosi almeno una parte delle tante digressioni che frastagliano la trama principale. Magari dico una banalità ma secondo me è probabile che una di queste digressioni, quella del piccolo Iljusa, abbia ispirato Ferenc Molnar per "I ragazzi della via Pal", scritto venticinque anni dopo, all'inizio del '900. Certo la capacità di Dostoevskji di dipingere con nitore la psicologia di così tanti differenti personaggi è ammirabile e denota una sensibilità umana acuta. Io, che questa sensibilità proprio non ho, sarei riuscito a descrivere forse solamente il personaggio che avrei sentito più vicino. Mitja, appunto, anche se forse quello più simile a me è l'ateo ed arido Ivan. Diciamo che Alexej è come ero da piccolo, Smerdjakov come ero da adolescente, Ivan come sono adesso e Dmitrij è come mi accontenterei di essere. Passato, presente ed accettabile futuro. Di Dmitrji mi piace il fatto che nasconda ideali puri in un carattere da perdente (ma forse queto piace a tutti, è il principio di Paperino), la sua infelicità ed anche e soprattutto la sua imbranatura ed il suo insuccesso nel corteggiare Agrafena Alexandrovna. Una cosa che stupisce è il fatto che una persona così sensibile ed intelligente come Dostoevskji si dimsotri nel corso del romanzo anche così carico di pregiudizi razzisti e classisti. I due pan polacchi sono tronfi, bari ed accattoni; il medico tedesco è di buon cuore ma ha un carattere particolare tanto da risultare quasi una "macchietta"; gli impiegati ed i commercianti vengono in genere descritti come persone dall'umanità sopita e spuntata ed i contadini sembrano niente più che stolidi ammassi di carne, tutt'al più dotati di un animalesco sentimento di fedeltà o bontà. Lo stesso Smerdjakov (il presunto quarto fratellastro Karamazov) appare scaltro ma infido e meschino, forse perchè in quanto figlio illegittimo di un nobile e di una vagabonda partecipava dell'altezza del primo e della bassezza della seconda.
Va bè, come temino sui "Fratelli Karamazov" fa un pochino schifo ed è piuttosto caotico, ma fa lo stesso.
Parole nuove che ho imparato (solo una piccola parte, al'inizio non me le appuntavo): crocidare (il gracchiare del corvo), inciprignito (incollerito?), prorotto (participio passato di prorompere), diviluppare (sviluppare), icastico (?), plancito (pavimento di legno), farisaico (ipocrita?), cessa (sosta), telega (slitta o carrozza), tramenare (lavorare attorno a qualcosa).
15 giugno 2008
L'ultimo turno
Stasera ho fatto l'ultimo turno della stagione in Ariosto. In realtà l'ultimo doveva essere quello di tre giorni fa e non me ne ero nemmeno reso conto, poi però un inaspettato cambio mi ha permesso di tornare un'altra volta nel teatro di viale Allegri numero 1. C'era un saggio scolastico con ragazzini delle medie che ripercorrevano il novecento attraverso le canzoni, è stato abbastanza carino. Hanno cantato Brecht, De Andrè, I nomadi, Morandi, gli U2, Bob Dylan ed altro ancora. Quando sono arrivato ho detto all'addetto alla portineria che inizio a sentirmi imbarazzato nel ruolo di maschera e lui mi ha risposto: "ma te ne vuoi andare? Mi dispiacerebbe, ce ne sono poche di maschere come te!" e anche se non è vero (o è vero in senso negativo) mi ha fatto un sacco piacere.
11 giugno 2008
Odori
Qualche giorno fa sul Corriere della Sera ho visto un articolo dove un musicista elencava i suoi dieci suoni preferiti (il borbottio del tapisroulant in aereporto, la grandine sui vetri ecc...). Mi è venuta voglia di farlo anch'io ma per non copiare proprio pari pari ho deciso di mettere i miei odori preferiti invece dei suoni. Sono quasi tutti legati all'infanzia. Li metto in ordine sparso e non gerarchico perchè sarebbe troppo difficile fare una classifica. No, anzi, faccio una classifica.
10) l'olio di canfora e l'erba tagliata: prima di una partita di rugby o di calcio mi capitava di sentire questo mix di odori particolare. L'olio con il quale gli altri giocatori si spalmavano i muscoli mischiato al profumo del campo appena rasato. Un afrore rimasto legato nel ricordo a quelle sensazioni (ansia, paura e terrore) che provavo prima di giocare.
9) l'impregnante per legno: il mio asilo aveva pareti in legno cosparse di impermeabilizzante e quando sento questo odore mi ritrovo per un secondo sbalzato indietro fino ai quei tempi.
8) il pelo del mio cane: annusare da vicino il mio cane era un calmante naturale.
7) la benzina al distributore: quando da piccolo i miei genitori si fermavano al distributore io mi inebriavo con larghe boccate di effluvio di benzina; è lì che ho bruciato il 40% dei miei neuroni, il restante 60% leggendo il manuale di MT.
6) le sere d'estate: l'aria delle sere estive ha qualcosa di particolare. Come se il tempo si fermasse e creasse un buco nero nello stomaco, una porta spaziotemporale a metà tra infinite promesse e sottili paure. E' come se ci fosse un sacco di adrenalina nel corpo, però anche lei non in moto ma lì ferma, in impaziente attesa di un ignoto segnale di via per poter partire.
5) l'erbazzone alla sera: l'odore che proveniva dal forno quando tornavo su dal cortile sudato, sporco ed infreddolito e sapevo che dopo il bagno, ripulito e con i polpacci ancora un po' indolenziti, sarebbe arrivato l'erbazzone (una focaccia ripiena di bietole), era un po' il simbolo della sicurezza, la convinzione che potevo "sporcarmi" nel mondo e che a casa ci sarebbe sempre stato qualcosa di caldo e pulito ad aspettarmi.
4) l'aria prima di una nevicata: l'odore dell'aria prima che nevichi è inconfondibile. Anche se fa freddo non si sente freddo, la notte sembra luminosa e nell'aria ristagna una indefinita speranza. E' una specie di primavera invernale, però quasi mistica.
3) il cloro: anche l'odore del cloro della piscina mi ricorda quando ero piccolo. Andare in piscina mi piaceva ma al tempo stesso mi metteva un po' a disagio perchè non sono mai stato molto bravo a nuotare. Era bello stare lì a pelo d'acqua attaccato al bordo o, ancor meglio, al tubo della scaletta, con il sole che si rifletteva sulla superficie dell'acqua offuscando tutto.
2) la pioggia sull'asfalto: probabilmente l'ho già detto ma una delle sensazioni più belle di quando ero piccolo era sentire l'odore che saliva dall'asfalto bollente, bagnato dalla pioggia o dall'acqua della fontanella che avevamo in cortile.
1) le gommine profumate: le mie compagne delle elementari e soprattutto della prima media avevano nell'astuccio delle gommine da cancellare profumate che non cancellavano quasi niente. Il loro odore è per me la perfetta "immagine olfattiva" (va bè) di quegli anni.
8 giugno 2008
The blue planet
In Cavallerizza prosegue, dopo qualche tribolazione nella ricerca di un accordo fra Teatri e produzione, l'avventura organizzativa di The Blue Planet, lo spettacolo di Peter Greenaway e Saskia Boddeke che andrà in scena all'Esposizione Universale di Saragozza a fine agosto. Di tecnici nostri non se ne vedono ancora, telefonate ne arrivano pochine e così noi maschere rimaniamo inoperose alla nostra scrivania senza sapere cosa fare e senza poter dare una mano. Io per passare il tempo ho guardato al computer "Paranoid park" e "Big fish", ho letto un altro po' di Fratelli Karamazov (sono a pag. 562 su 1016) ed ho fatto qualche foto in giro: questa è la muccavallerizza che consulta la rubrica telefonica, questa è l'acqua che colava giù dai muri quando l'altro giorno è arrivato un temporale (ma forse era il teatro che piangeva perchè in turno c'ero io e non la sua maschera preferita), i tavolacci in metallo ("praticabili") usati nell'atrio dallo staff di Blue Planet e le solite finestrone. Nei prossimi giorni avrò molte altre vigilanze e conto di fare altre foto.
The blue planet - Maschere: Andrea, Annalisa A, Carmine, Corrado, Elisabetta D, Giovanni, Giulia, Io, Maria Rosaria, Riccardo C, Roberto, Simona, Valentina.
Tecnici: Luca P; Dario e Chiara (promusic).
Staff: Peter Greenaway (regia), Saskia Boddeke (regia), Izumi (organizzazione), Valentina (scenografa), Helga (cantante), Thaiz (prdouzione ed aiutoregia), Carmine (assistente produzione), Dory (attrice), Hendrik (attore), Annette (costumista), Irma (scenografa), Antonio (sassofonista), Daniele (chitarra), Alessandro (contrabbassista).
5 giugno 2008
L'uomo che conosceva un sacco di gente
Quando ero piccolo sognavo di diventare un campione di motocross. Il mio desiderio non si è avverato e la fama cui ambivo non è giunta, ma ho potuto in parte compensare questa mancanza di notorietà incontrando nel corso degli anni, come Zelig e Forrest Gump, alcune persone un po' importanti.
Ecco qua quelle che ricordo:
Un chien azzou - Un quadrupede che ho conosciuto su internet è stato nazionale azzurro di pitch&putt, che è una variante del golf, come il calcetto per il calcio od il rugby a sette per il rugby (www.pitchputt.it)
Il tè nel deserto - Ho conosciuto la moglie di Peter Greenaway, il famoso regista. Un giorno che il teatro era deserto e che non poteva fare a meno di rivolgermi la parola mi ha offerto del tè (ne bevono in continuazione, da loro dev'essere una specie di alimento base come da noi le fieste ferrero): "do you want some tea?" "no, grazie" ho risposto nel mio fluente inglese e poi ho abbassato lo sguardo facendo finta di avere delle pratiche da sbrigare. Un dialogo che darà certo materiale a Peter per i prossimi due o tre film.
Un prof di nome Walter - Il mio docente di filosofia antica all'università era forse il migliore tra tutti i professori che ho avuto. Non che fosse o che sia davvero famoso, anche se forse se lo meriterebbe ed anche se tra i suoi allievi è piuttosto popolare. Però mi hanno appena segnalato il suo blog e perciò eccolo qua (è un po' fissato con il greco antico): http://logoucharin.blogspot.com/
Addetta malatestiana - Una maschera dei teatri di Reggio molto in gamba è da due (o tre?) anni addetta stampa unica del festival di musica classica di Rimini, la Sagra Malatestiana. Può sembrare una cosa non così fenomenale, ma per me che faccio fatica a scrivere mezzo comunicato sul rugby di serie B è davvero impressionante. Questo è il sito dell'evento, curato da lei: www.sagramusicalemalatestiana.it
Nelson Piquet - In formula 1 tenevo per Nelson Piquet e lui per qualche strana ragione venne a prendere il brevetto di pilota di aerei proprio al Campovolo, lo spelacchiato aereoporto di Reggio Emilia. Così facemmo insieme questa foto, che lui poi portò con sè nell'abitacolo della William's per tutti i successivi gran premi. Io ero già molto sexy, come si può notare dal delicato profilo del cranio.
La radiosceneggiatrice - Una mia ex compagna di classe ha scritto (mi sa che l'ho già detto) uno sceneggiato radiofonico per Radio Due che è già andato in onda e che verrà trasmesso in replica in luglio (dal 21 al 25 alle 12.10). Si chiama "Cronache di malora" e mi sono scordato di chiederle se è ispirato a "La malora", il mio libro preferito. E' la stessa ragazza che aveva scritto quel racconto per bambini che avevo postato poco tempo fa.
Capasala - Poi conosco la capomaschera migliore del mondo. Adesso litighiamo tipo sei volte ad ogni turno ma è comunque la capa più simpatica che si possa sperare di avere.
Mamma ochat - E ho conosciuto anche la miglior padrona di chat del mondo. Lei è la mamma di tutti i forumchattarolmsnisti e secondo me sarebbe una vera mamma perfetta, anche se per ora di bambini non ne ha è perciò tocca a Blepa Guevara, una gatta rivoluzionaria grassa e pigra (una Maradona felina, in pratica), godersela tutta quanta.
E quando si conoscono la miglior capochat e la miglior caposala del mondo allora si è a posto, ed anche il rimpianto di non essere diventato un campione di motocross, un tormento che così bene conosceva anche il Leopardi, si fa sentire con meno virulenza.
2 giugno 2008
Cronaca di un sabato sera trasgressivo
Sabato sera ho cercato di fotografare le lucciole che popolano il mio giardino ma senza successo; tutte le foto sono venute nere e non ho capito se è perchè la mia macchina fotografica è troppo poco sensibile (per dire, quando aveva visto "Titanic" non aveva versato neanche una lacrima) o se è perchè le lucciole ogni volta smettevano di lampeggiare proprio quando schiacciavo il pulsante. La foto sopra è uno dei cinque tentativi che ho fatto, gli altri sono tutti uguali.
E poi rientrando in casa ho visto sotto un vecchio cassettone in sala dei mucchiettini di segatura. Credo che a farli siano stati i tarli, che quando ero piccolo pensavo fossero i maschi delle tarme. L'altro giorno su "La settimana enigmistica" ho letto che esiste una tarma che quando capta gli ultrasuoni del pipistrello chiude le ali e si lascia cadere nel vuoto per sfuggire al famelico predatore. Anch'io quando le cose non mi vanno bene (non più di ventisei o ventisette giorni al mese, a meno che non sia un mese diverso da febbraio) adotto la stessa tattica: lasciar perdere tutto per sfuggire (effimeramente) al problema. Perciò questa tarma mi è diventata simpatica: sono sicuro che anche lei si nutre di fieste e che quando incontra delle tarme femmine non sa mai cosa dire, anche se probabilmente lei scrive meno post autocommiseratori di me.
Così, questo è stato il mio sabato sera. Live fast and die fast, no regrets! è il mio motto
E poi rientrando in casa ho visto sotto un vecchio cassettone in sala dei mucchiettini di segatura. Credo che a farli siano stati i tarli, che quando ero piccolo pensavo fossero i maschi delle tarme. L'altro giorno su "La settimana enigmistica" ho letto che esiste una tarma che quando capta gli ultrasuoni del pipistrello chiude le ali e si lascia cadere nel vuoto per sfuggire al famelico predatore. Anch'io quando le cose non mi vanno bene (non più di ventisei o ventisette giorni al mese, a meno che non sia un mese diverso da febbraio) adotto la stessa tattica: lasciar perdere tutto per sfuggire (effimeramente) al problema. Perciò questa tarma mi è diventata simpatica: sono sicuro che anche lei si nutre di fieste e che quando incontra delle tarme femmine non sa mai cosa dire, anche se probabilmente lei scrive meno post autocommiseratori di me.
Così, questo è stato il mio sabato sera. Live fast and die fast, no regrets! è il mio motto
Iscriviti a:
Post (Atom)