30 aprile 2024

La "Cronistoria dei Teatri Reggiani" di Eugenio Rossi, primo volume


[Nel 1899 Eugenio Rossi, "piccolo" impiegato del Comune di Reggio, concluse il proprio voluminoso resoconto della storia dei teatri reggiani, per scrivere il quale si era servito dell'ingente lavoro di raccolta di dati operato da altri appassionati prima di lui; in particolare, del lavoro di Enrico Curti. Rossi non riuscì però mai a dare alle stampe la propria opera, soprattutto perché i figli di Curti, nel frattempo scomparso, si opposero alla pubblicazione ritenendola una sorta di plagio del lavoro del proprio padre. Alla morte di Eugenio Rossi, nel 1916, il manoscritto fu preso in consegna e conservato dalla Biblioteca Panizzi, grazie anche alla perorazione di Naborre Campanini che aveva conosciuto e stimato Rossi. Grazie alla possibilità di leggere l'intero manoscritto sul sito web della Biblioteca Panizzi ho deciso di provare a battere al computer almeno la prima parte dell'opera di Rossi. Ormai gli eredi di Curti non dovrebbero prendersela troppo e in fondo questa Storia rende almeno un poco di giustizia anche al molto prezioso lavoro del loro avo, che a propria volta lasciò tutte le proprie ricerche allo stadio di manoscritto. Ecco dunque qui sotto il primo tomo, che costituisce un settimo dell'opera totale (210 facciate su 1400 circa) e presenta la storia narrata dei teatri reggiani, mentre la seconda ed ampissima parte (che non ho battuto in digitale) riporta la cronologia dettagliata degli spettacoli. Rossi aveva una padronanza buona ma non perfetta della lingua italiana (forse anche per questo lo sento vicino a me...) e ho deciso di lasciare intatti i comunque non frequenti errori di ortografia presenti nel manoscritto; ho pensato possano essere significativi della personalità dell'autore e in alcuni casi anche del tipo di linguaggio che si utilizzava 125 anni fa. In rosso ho lasciato le parole che non sono riuscito a decifrare con buona certezza. I numeri i blu sulla destra indicano la pagina del manoscritto secondo la numerazione dell'autore; ogni pagina corrisponde a due facciate]


Ai Lettori

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Intraprendere la narrazione storica dei Teatri che ebbero vita nella nostra Città è opera molto ardua per le mie cognizioni storiche limitate e perché richiederebbe un lavoro letterario di storia patria di una mole al di là dello scopo prefissomi, quale è quello di raccogliere in ordine cronologico i diversi spettacoli di musica, prosa ed altri in genere che si succedettero nei teatri cittadini ed altre località usate a spettacoli, per il corso del presente secolo

            Pur tuttavia accorgendomi che parlare degli spettacoli senza prima dire qualche cosa degli ambienti in cui questi si dettero e si danno tuttora, era un far cosa incompleta, mi sono adoperato nel mettere assieme dati e fatti, onde poterne compilare brevemente la storia.

            Accingendomi a quest’impresa ho cercato di fare del mio meglio mettendovi tutto l’impegno possibile, ma non ostante ciò m’accorgo di essere rimasto ben al di sotto del mio assunto. Solo mi conforta, a mio vedere, l’essere riuscito in una parte di questo mio lavoro che può destare un certo interesse pubblico e che se non è perfetta affatto almeno è la più completa, la parte cioè ove ho raccolto le notizie sugli spettacoli dati nei nostri Teatri pubblici.

            Per il materiale occorsomi mi sono in gran parte servito di tutto ciò che offre in materia la nostra Biblioteca Municipale e l’Archivio di Stato (1) e molto mi hanno giovato gli Annali teatrali del Conte Carlo Ritorni (2) e il Diario Reggiano “Ogni giorno un fatto storico” (3) valendomi anche delle informazioni avute da privati che mi furono cortesi di pregievoli notizie, sia perché testimoni oculari di molti fatti o sia per memorie di famiglia conservate con gelosa cura.

            Debbo poi confessare, a lode del vero, che il lavoro iniziato molto tempo addietro, per incarico del Municipio di Reggio, dal Dr Enrico Curti Segretario alla Ia Divisione dello stesso Municipio, lavoro presentemente depositato nella Biblioteca Comunale, mi fu di sommo vantaggio nel compilare questa Cronistoria, abbreviandomi il compito delle ricerche, poiché tale materiale è stato messo assieme con molta cura ed è ricco di 

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(1) Sono in dovere di porgere quì gli attestati della mia riconoscenza al Sigr Cave Alberto Catellani Direttore dell’Archivio di Stato di Reggio Em. ed al Bibliotecario Comunale per le molte e amorevoli premure che essi ebbero nell’aiutarmi nelle ricerche che mi abbisognavano sugli argomenti qui trattati

(2) Annali Teatrali di Reggio dal 1807 al 1839 – Tipi del Nobili e Comp. Bologna

(3) Diario Reggiano dall’anno 1842 al 1846 - Tip. Torreggiani e Comp. - di certo Pini Segretario Comunale.

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[II

 

una splendida collezione di avvisi teatrali. (1)

            Per la parte storica mi limiterò quindi, come ho detto, a brevi cenni sulla erezione dei Teatri cittadini, designandone la località ove sorsero, la loro forma ed importanza, non che la durata di loro vita, terminando questa Ia Parte con poche notizie biografiche degli Architetti, Scenografi e Scrittori teatrali, commediografi, Maestri di musica, suonatori, artisti di canto e di prosa o d’altro, nostri concittadini.

            Per questi cenni storici e più pei biografici molto mi ha coadiuvato un opuscoletto fatto con somma cura ed amore dal reggiano Enrico Manzini, Socio della R. Deputazione di storia patria, edito a Reggio dalla Tip.a Degani e Gasparini 1877.

            La IIa Parte conterrà in ordine Cronologico tutti gli spettacoli dati a Reggio e divisi in tanti gruppi quanti sono i teatri o le case private in cui gli spettacoli stessi furono dati.

            Nella IIIa Parte saranno raccolti gli spettacoli dati in altre città di autori nostri o nei quali entrarono a farne parte dei reggiani. – Questa parte e certamente la più incom-

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(1) Lo stesso Dr Enrico Curti in data 24 luglio 1880 (dopo aver raccimolato buonissima parte del materiale necessario per una Storia dei Teatri di Reggio in ciò sussidiato dal Comune) mandò fuori una Circolare sottoscrizione, col relativo programma, promettendo che, dopo sottoscritte 200 schede, avrebbe cominciata la pubblicazione delle Memorie storichedei Teatri di Reggio. Non so poi per qual cagione procrastinasse tale promessa, fino a che, lui morto nell’11 Aprile 1895 si trasportarono nella nostra Biblioteca gli importantissimi documenti da esso con tanta difficoltà raccolti, ma che colà giaciono dimenticati e da nessuno continuati.

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pleta poiché tali notizie io non ho potuto raccoglierle che dalle cronistorie esistenti e che ho potuto avere in comunicazione e queste sono tanto poche che le notizie stesse non possono essere che scarse. Diverse di queste notizie ho anche potute avere dagli artisti viventi.

            Nel fare le necessarie ricerche per mettere assieme tutti questi dati e notizie, mi è occorso spesso di incontrare documenti più o meno importanti che hanno attinenza ai teatri nostri. Dei più importanti, di cui io ho potuto fare raccolta, dò notizia nella quarta ed ultima parte.

             Come ho detto in principio sono certo di aver fatto cosa incompleta, prima per le ragioni già esposte, ed in secondo luogo per non avere raccolto anche le notizie sugli spettacoli dei secoli andati. Rimango però con la speranza che, dietro il mio esempio, altri più diligente e più atto si accinga a fare un’opera completa e più precisa che non ho fatto io e conseguisca meglio il fine a cui ho mirato, persuaso, col Gandini, che “nel serbare intatte splendide tradizioni teatrali si compie un dovere d’onore e si provvede ad un grande interesse artistico ed economico.” (1)

Reggio Emilia, 31 Dicembre 1899

E. Rossi           

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(1) Gandini – Cronistoria dei Teatri di Modena

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[III]

 

PARTE IA

 

CENNI STORICI

 

 

 

[IV]

 

§1°

Spettacoli Teatrali in Genere

  


Il gusto e il costume d’ogni Nazione non può essere meglio espresso che dalla Storia de’ suoi spettacoli

(Gandini – Cronistoria dei Teatri di Modena Vol 1° pag.a 3)


Gli spettacoli teatrali si potrebbero considerare come una norma per giudicare della civiltà d’un popolo

(M.Ferrante -  Il Teatro drammatico)


Risalendo ai più antichi tempi per fare la storia del Teatro, molto difficili riescono le ricerche, pei pochi documenti e le scarse memorie che ci rimangono. I primi divertimenti teatrali, a quanto sembra, furono portati nell’alta Italia dai Coloni Romani e salirono in gran voga. I Romani avevano imparato dall’antica Grecia, maestra dei popoli, a divertirsi con spettacoli teatrali, divertimento che aveva per iscopo di istruire ed educare non che di incivilire le popolazioni. Ma sul finire dell’Impero Romano degenerarono in spettacoli osceni e lascivi. Caduto l’Impero ed estendendosi sempre più la nuova religione di Cristo, questa cercò ogni mezzo di combattere gli spettacoli allora in uso e di distruggere i Teatri. A questo scopo attesero i frequenti Concili, cosicché col propagarsi del Cristianesimo caddero quasi tutte le costumanze pagane e da questi Concili e dai Padri della Chiesa furono condannati gli spettacoli teatrali.

            Caduto l’Impero Romano incominciarono per l’Italia tempi tristi. Le continue invasioni, le guerre intestine, i frequenti incendi e le devastazioni, non che le rapine, distrussero tutte o quasi tutte le memorie di quei primi secoli. In tempi più vicini le occupazioni straniere, che depredarono e trasportarono quanto di meglio si aveva negli Archivi, sono le cause che rendono direi quasi impossibile il fare in Italia una storia dei Teatri.

            Così il medio evo fu un’epoca di oscurità generale, e le invasioni barbariche avendo estinto ogni civile disciplina, le cerimonie della chiesa furono l’unico genere di spettacolo teatrale (se così possiamo chiamarlo) dato ai popoli. Queste cerimonie diedero appunto origine alle rappresentazioni dei così detti Misteri, di cui nelle cronache si leggono descrizioni quasi favolose. Esse consistevano in vere rappresentazioni drammatiche, eseguite sopra palchi appositi eretti nelle chiese o nelle piazze e trattavano sempre un argomento sacro. Il clero ed i più nobili cittadini non sdegnavano di prendervi parte quali attori e le città stesse facevano le spese degli apparati scenici. La loro tradizione vive tuttora in molti villaggi, dove nella settimana santa viene rappresentata la leggenda della Passione

 

[V]

 

            Poco dopo la metà del Secolo XIII, cioè nel 1260 improvvisamente, senza nessun eccitamento, senza nessuna preparazione, le popolazioni italiane, per puro sentimento spontaneo e per purgare le loro anime dai peccati, si misero a percorrere processionalmente le vie, nudi nella parte superiore del corpo, flagellandosi a vicenda e cantando lodi al Signore. Vennero essi chiamati Flagellati o Battuti o Verberati o Frustati o Scovati.

            Queste processioni, che ebbero origine nell’Italia Centrale e in brevissimo tempo si propagarono in tutta la penisola, sortendo da una città si recavano alla città vicina incontrate da cittadini di questa pure processionalmente uniti, flagellantisi e cantando Laudi. (1). Ma a poco a poco mentre cessarono le processioni, si formarono le Confraternite. Queste si ordinarono nelle parrocchie con propri statuti che portavano, fra altro, l’obbligo di cantar laudi e perciò si ebbero il nome di Laudesi. Dalla forma in principio puramente lirica della Lauda, ebbe origine il Dramma spirituale nel volgare d’Italia.

            Il Dramma Italiano di sacro argomento nacque fra le Compagnie dei Disciplinati verso la fine del Secolo XIII.

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(1) “1260 – Nel 19 ottobre ventimila Bolognesi vengono in processione a Modena flagellandosi a sangue e cantando salmi penitenziali, - Nel 1° Novembre altrettanti Modenesi vanno pur così a Reggio, preceduti dal Vescovo Boschetti, indi fino a Parma”

(Silvio Campani – Compendio della Storia di Modena pag. 75 – Società Tipografica 1875)

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Dal canto univoco fu naturale il passaggio al canto alterno, e quando il soggetto era per sua natura drammatico fu pur naturale di mutarlo di narrativo in dialogico e distribuirlo fra personaggi anziché seguitare nella primitiva alternazione delle strofe da gruppo a gruppo.

            Nelle grandi città questi canti furono soppressi sino dal secolo XIII dalla Chiesa, che li aveva introdotti affinché servissero d’incitamento allo zelo religioso, e che s’affrettò a condannarli appena li vide assumere tendenze profane, col trattare argomenti d’avventure cavalleresche o leggende d’amore.

            Da quell’epoca si stabilì l’avversione della Chiesa per il teatro, avversione che subì lungo i secoli diverse intermittenze.

            Nel secolo XIV incominciò la nostra penisola a respirare un po’ d’aria di pace e di tranquillità e in questi sebbene ancor brevi periodi, cominciò a poco a poco a darsi in bramio alle scienze ed alle arti belle facendo rifiorire in pari tempo la meccanica e l’agricoltura. Quindi è che i popoli si diedero a cercare ordini nuovi in tutte le cose e conseguentemente nei loro divertimenti e nelle loro solennità. In quest’epoca apparve per le italiche contrade qualche trattenimento di genere rappresentativo.

            Inoltre nei rari intervalli di quiete che lasciava la vita oscura e ferrea medioevale, e sotto il pacifico regime 

 

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di qualche buon dominante si intrattenevano talvolta i popoli, specialmente in certe gravi occasioni e solennità, con spettacolose comparse e giuochi, cioè in Giostre e Tornei.

            Entravano però di sovente in queste rappresentanze figure di Principi allegorici, di geni o di numi che talvolta usavano recitare in dati luoghi, discorsi in prosa o in versi a soli e talvolta a due od anche a tre a guisa di Dialogo e con qualche intreccio alternativo.

            Da queste rappresentanze, come dice anche il Fantuzzi (1), penso che ne dovette nascere il recitato; poiché mentre prima questi discorsi e dialoghi si facevano su carri spogli di ogni ornamento, nel secolo XIV vi si aggiunse una specie di scena rappresentativa e la gente accorreva con piacere grande per sentire le recite.

            E fu pure in quel secolo e nel seguente che s’incominciarono a scrivere tentativi di commedie e tragedie, che a ben poco riuscirono come opere d’arte.

            Non fu che nella seconda metà del secolo XV, quando la coltura classica risorgeva, gli scrittori si dettero allo studio delle antiche commedie dei Greci e dei Romani, onde sul principio del XVI° secolo si ebbero e commedie e tragedie buone e discrete che venivano recitate in teatri improvvisati.

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(1) Cronaca Teatrale MS. di Prospero Fantuzzi – che si conserva nella Biblioteca di Reggio

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            Sia lode ad Ercole I° Duca di Ferrara per aver adattato, senza economia e senza un anteriore esempio, il cortile del suo Palazzo, di tale ampiezza che chiamavasi la gran sala, a forma di Teatro. Colà recitossi la prima commedia nel Gennaio 1486. Egli contribuendo alla riproduzione dei Drammi antichi faceva rappresentare i Menecmi ossia li Menichini di Plauto tradotta da ignoto autore.

            A questo proposito, in una cronaca di Ferrara di Bernardino Zambotti, si legge: “……fu recitata la commedia dei Menichini, che fu bellissima e piacevole…… in lo cortile novo della Corte Ducale suso un Tribunale novo in forma di una cittade d’asse con case dipinte…… e così con letizia, applausi e comendazione finì la commedia, dove intervenne delle persone diesemila a vedere con gran taciturnità”.

            Al Duca Ercole I° succedeva Alfonso I°, che continuò le tradizioni del primo, proteggendo le arti e seguitando le rappresentazioni sceniche.

            Le idee ed il gusto dei due Duchi di Ferrara, si propagarono ben presto ad altre Corti e Principi d’Italia. Firenze, Roma e Venezia costruivano ed apparavano sale atte ad azioni rappresentative. L’esempio delle Capitali si diffuse di mano in mano alle altre città e la nostra che in tutto ha sempre addimostrato genio 

 

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particolare, sì nelle cose gravi che nelle facete, non fu delle ultime a veder recitate da Gentiluomini e da abili cittadini commedie, tragedie, azioni sacre ed opere di tal fatta, dettate dai migliori scrittori di quei giorni. Ma non essendovi luogo o sala destinata a questi piacevoli trattenimenti i reggiani li eseguivano in mezzo alle pubbliche piazze, in sale private o nelle chiese quando si aveva argomento di cose sacre.

§2.°

La Sala delle Commedie

La Fiera e

L’Alidoro di Gabriello Bombace

            Accresciutosi in noi il genio per le rappresentazioni i cittadini desiderarono procurarsi una sala capace ed atta ai loro divertimenti.

            A tal uopo, sul principio del XVI secolo, fu dal Comune destinata la sala vecchia dei Pretori e ad essa fu dato il nome di Sala delle Commedie. Questa, capace di contenere molta gente per la sua grandezza, era posta al 1° piano del Palazzo del Santo Monte di Pietà sopra il portico che prospettava il Seminario-Collegio nella strada Reale Emilia detta la via Maestra. Essa era l’antica sala che serviva al pubblico Consiglio, giacché il fabbricato od isola del Santo Monte di Pietà formava, prima d’allora, l’intero Palazzo del Pretore ossia Podestà eretto dal pubblico negli anni 1275 e 1276. La sala in parola esisteva sopra il vecchio portico detto della Dogana vecchia o salina, perché le annessevi botteghe al pianterreno servivano per la Dogana e Magazzino dei sali. Fabbricatosi nel principio del secolo XVI il nuovo palazzo Comunale, l’antico fu ceduto al Santo Monte di Pietà istituitosi nel 1493. Ed in tale cessione essendo rimasta indestinata la Sala del Consiglio venne concessa, come si è detto, per le commedie. Questa sala veniva anche chiamata del Ballone per le grosse feste di ballo che vi si eseguivano di giorno e non di notte.

            Nel 1211, sotto il Pretore o Podestà Guido Lambertini, si istituì un’annua fiera di mercanzie e bestiame. Questa si soleva tenere nel luogo tra S.Lazzaro e il Ponte del Rodano o San Maurizio chiamato allora Ponte Pelato. A quei tempi la Città di Reggio era molto più vasta e i subborghi che la circondavano arrivavano fino al Rodano a mattina, fino a S.Pellegrino a mezzodì, di là del Molino di San Claudio a ponente ed alla Chiesa San Prospero de' Strinati al Settentrione.

            Nel 1551 Ercole II° Duca di Ferrara, allora imperante a Reggio, fece distruggere totalmente quei suborghi per paura di inside dei nemici, onde la fiera 

 

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fu portata vicino alle mura in un campo dietro S.Pietro che perciò fu denominato campo della fiera. Si incominciava essa ai 24 di Novembre e durava otto giorni.

            Quando, per il miracolo della B.V. della Ghiara che rese la favella ad un muto (1), avvenuto il 29 aprile 1596, cominciarono ad accorrere forestieri da ogni parte, e colle elargizioni ed elemosine raccolte si fabbricò un tempio ove si trasportò l'immagine miracolosa, che prima era attaccata ad un pilastro vicino al posto ove ora s'innalza questa Chiesa, che riuscì la più suntuosa che noi abbiamo (2). Davanti a questa immagine ogni anno ai 29 Aprile si faceva una grande e solenne funzione.

            Si pensò allora di fermare in Città il maggior tempo possibile i devoti che da ogni dove accorrevano per adorare quella immagine; e per ciò fare si trasportò a quell'epoca la fiera incominciandola col giorno 29 Aprile invece che al 24 Novembre. E questo successe nel 1601 inaugurando la nuova fiera sul Corso della Ghiara che come le prima durava otto giorni. Per renderla poi più splendida furono concesse molte facilitazioni ai compratori e venditori di bestiame come 

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(1). Questi fu Marchino nato senza lingua e sordo (Pini - Diario: Ogni giorno un fatto storico).

(2). L'anno 1597 si incominciò la fabbrica del tempio della B.V. della Ghiara e il Vescovo Claudio Rangone alla presenza di Alfonso II Duca di Ferrara, Modena e Reggio e di altre illustre persone ne pose la prima pietra il dì 6 di Giugno con grande solennità. Tale fabbrica durò 22 anni e ci lavorarono i più grandi artisti di quei tempi. La traslazione della miracolosa immagine fu fatta il 12 maggio 1619 presente il Duca col fratello Cardinale e tutta la Corte.

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ai negozianti di ogni genere di mercanzie, col patto che il mercante forestiero dovesse fermarsi almeno quattro giorni colla propria mercatura.

            Sul Corso della Ghiara quasi tutti i proprietari di case addattarono botteghe per questi mercanti, botteghe che in seguito si cangiarono in magazzini, e si fecero nuove botteghe con tante caselle di legno messe lungo la larga via della Ghiara in due file. Queste caselle che prima erano disformi per grandezza e altezza furono ridotte ad eguale misura e in simetria nel 1708. Né il periodo delle fiera si ristette ai primi otto giorni, ma fu accresciuto e portato a 15 a 20 a 25 a seconda del concorso dei forestieri, fino a che il Duca Francesco III lo estese a tutto il mese di maggio nel 1760 circa cominciando sempre col 29 aprile.

            Le recite profane si esponevano, in principio, in qualche occasione segnalata di arrivo di Principi o di altri personaggi illustri, oppure di qualche mascherata o Torneo in Carnevale.

            In un libro del reggiano Pietro Martire Scardova stampato a Parma nel 1550 si legge: “E di più con leggiadre commedie, con sontuosi convitti e con facondissime composizioni da porre invidia ad ogni altro bello e dotto stile, cercate mai sempre di trattenere le nobilissime reggiane e fate la lor gloria più serena e più chiara del sole”.

            Giunto a questo punto della mia narrazione, anche per dare un’idea del come avvenivano le rappresentazioni 

 

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a quegli antichi tempi, debbo soffermarmi un pò a descrivere un avvenimento importantissimo per la nostra città non solo ma anche per la storia teatrale in genere, e che farà sempre epoca sia per la sua importanza politica che artistica. Politica per la venuta a Reggio di molti personaggi illustri; artistica per la riuscita della Tragedia che si rappresentò e per l’impegno che vi misero coloro che la rappresentarono e decorarono con tanto studio e spesa e che costò la cura di ben 20 mesi di tempo. Non poteva certamente riuscire altrimenti la cosa mentre un grande ingegno d’allora vi lavorava e la dirigeva, ed arricchiva la scena di busti statue e pezzi di marmo usciti dall’esimia sua mano. Era questi Prospero Spani detto il Clemente scultore reggiano di un valore molto superiore alla sua fama.

            Cercherò in questa descrizione di essere breve il più possibile per non annoiare il lettore, ma per quanto breve riesca, vi sono tanti e tali particolari non trascurabili che mi faranno sembrare prolisso, e per questo spettacolo che in quel secolo non ebbe l’eguale, non essendosi più presentata occasione più propizia e così grande, merita la pena di avere simile taccia.

            Alcuni giovani Gentiluomi reggiani avevano deliberato, per divertire alquanto la Città di rappresentare nel Carnevale 1567-68 L’Alidoro, Tragedia del reggiano Gabriello Bombace; ma giunta notizia della venuta a Reggio del Duca Alfonso II° coll’augusta sua sposa Barbara d’Austria figlia dell’Imperatore Ferdinando I° e sorella di Massimiliano II° che per le sue doti non la Duchessa ma la Regina Barbara fu sempre chiamata, i detti giovani deliberarono di prepararsi invece ad una rappresentazione da darsi in quella occasione, restando in dubbio se dovevano allestire quella già incominciata oppure cambiare la tragedia essendo l’Alidoro di argomento melanconico e punto conveniente per l’occasione. In tale dubbio ricorso al Governatore Alfonso Tassoni, pregandolo perché bellamente cercasse di intendere sopra ciò, da Ferrara, la mente di quei Principi. Avendo il Governatore scritto subito, il Duca fece rispondere “che la Tragedia benché di sua natura melanconica, pure non si doveva tralasciare perché tal sorta di poema tenga il principato tra tutti gli altri, aggiungendo che di questa in particolare aveva opinione tanto onorata che disegnava farne spettacolo al Signor Duca di Parma”. Allora questi Gentiluomini, mentre prima avevano deciso di rappresentarla modestamente, si accordarono di non guardare né a spesa né a fatica per condurre l’opera ad una perfezione la più compita che fosse possibile.

Essendo quindi arrivato a Reggio il Duca il 31 Ottobre 1568 fu alli 2 novembre intimata la rappresen= 

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tazione della Tragedia, nel qual giorno essendo già venuto a Reggo il Duca di Parma e D. Cesare di Gonzaga a un’ora di notte furono radunati tutti gli invitati nella Sala delle Commedie.

Nei posti d’onore della Sala di fronte all’Orchestra presero posto dinnanzi a tutti S.A. Barbara d’Austria, Madama Lucrezia d’Este, il Sigr Duca di Ferrara, il Duca di Parma, il Sigr D. Cesare, l’Ambasciatore del Duca di Firenze e l’Illma Contessa di Sala. Nel rimanente spazio sedevano la Siga Leonarda Bentivoglio con la Siga Leonora e altre Signore e Gentildonne forestiere e reggiane. – Nei fianchi dell’una e dell’altra parte erano tutti i Signori e Baroni fra i quali il Sigr Gilberto di Correggio, il Conte Alfonso e Francesco Gonzaga di Novellara, il Conte Sala, il Conte di Montechiarugolo, il Sigr Cornelio Bentivoglio col Sigr Guido, il Sigr Ercole Pio di Sassuolo col SigEnea, il Conte Fulvio e il Sigr Guido Rangone, il Sigr Filippo d’Este, i Governatori di Reggio, Modena, Garfagnana e Brescello, il Conte Ercole Contrari e tutti gli altri personaggi di questi Principi. Nei primi gradi del Teatro erano i Consiglieri e Segretari del Consiglio Segreto e i Fattori generali del Duca di Ferrara; il resto era tutto pieno della nobiltà Lombarda, ma non vi era alcun cittadino di Reggio essendo così piaciuto al Duca onde dar luogo ai forestieri, in quel giorno accorsi in gran numero.

Nella cronaca teatrale manoscritta del Fantuzzi trovo il seguente accenno: “In questa circostanza la Sala delle Commedie era arricchita di panche e di palchetti a fronte della scena”, ma nel libro a cui ho attinto e direi quasi copiato in parte questa descrizione non trovo parola su ciò, e questo libro che fu stampato nell’anno stesso 1568 e dedicato alla Contessa di Canossa Virginia Ruggeri si ritiene sia dettato da Alessandro Miari.

Appena che S.A. si fu seduta coi detti Principi, i musici con voci e istrumenti infiniti diedero principio a un loro concerto veramente divino, il quale alla gravità, al terribile e al miserabile che conteneva, con aperto segno mostrava che la favola a rappresentarsi non poteva essere che tragica. Finito questo, in un’istante cadde una cortina fatta a liste di drappo rosso, bianco e giallo, conforme l’impresa di S.A., la quale nascondeva il Teatro e comparve il proscenio pieno di maestà che nel prospetto aveva un’arco altissimo d’ordine doppio, il quale, con nuova architettura, conteneva otto obelischi, quattro nell’ordine di sopra e quattro di sotto, nelle cui basi o piedistalli si vedevano in medaglioni di bronzo i veri ritratti degli otto imperatori morti della Casa d’Austria, con altre figurette pure di bronzo nei piedistalli medesimi che significavano le loro imprese e vittorie; 

 

[XI

 

di sopra di ciascuna era l’iscrizione de’ loro nomi, cioè:

            1° Divo Rodulpho C. Aes. Imp. Aug.

            2° Divo Alberto I°     “

            3° Divo Federico I°   “

            4° Divo Alberto II°   “

            5° Divo Federico II° “

            6° Divo Massimiliano I°       “

            7° Divo Carolo          “

            8° Divo Ferdinando “

Sopra ciascuna delle palle di bronzo, che erano alla cima degli obelischi, stava un’aquila con l’ali spiegate, che aveva ai piedi un breve con questo motto = Inter Deos.= Per la porta dell’arco vedevasi uno spazioso paese pieno di Teatri, di Terme, di Piramidi, d’are, di Colossi, di Templi e d’altre cose dedicate all’eternità e alla deificazione. La porta di sopra del volto si riquadrava con un’architrave sostenuto da due cartelle, il cui fregio cavo di sopra si ritirava in dentro a pigliar la cornice sopra la quale era il frontespizio che nel mezzo con bellissimainvenzione si scavezzava. Sopra il fregio pendevano alcuni festoni, i quali invece di frondi e frutti erano contesti di palme, di scettri e di corone tutte variate di forme. Si vedeva nel mezzo degli obelischi un’apertura molto sfondata a guisa di nicchia, ma quadra, nella quale sedeva col Mondo sotto il pie’ destro l’Imperatore d’allora Massimiliano, ritratto al naturale con tanto studio che pareva vivo. L’iscrizione dell’arco era Nobilitate Austriacae, dinanzi al quale fu recitato il prologo.

Finito il prologo mentre gli occhi e gli animi di ciascuno stavano appagati di così bella vista, né si aspettavano di vedere altro apparato più bello, ecco sparire quell’arco con celerità incomprensibile e comparire interamente tutta la scena fabbricata con tant’artificio d’Architettura e di prospettiva, ricca di tant’oro, ornata di tante statue e risplendente di tanti lumi, che gli spettatori come se avessero avuto il Cielo aperto dinanzi, rimasero rapiti da insolita vaghezza e supremo diletto.

Imitava la scena un cortile del Palazzo Reale di Londra lastricato di marmo bianco e rosso alternato, il quale dall’una e dall’altra parte con eguale simmetria era chiuso da due sontuosi edifizi fatti con ordine doppio d’opera composta. Il prim’ordine di sotto era sodo, se non quanto all’apertura della porta, delle finestre e al cavo dei nicchi e era compartito in guisa che fra i colonnati quadri che risalivano dal vivo della muraglia, capiva la porta nel mezzo e dalle parti due finestre, quattro gran nicchi e quattro ovati concavi, con proporzionata distanza. La porta aveva le colonne doppie, che facevano gran risalita a sostenere un poggiuolo di sopra. Le prime colonne 

 

[XII

 

erano tonde di paragone, l’altre erano quadre e imitavano un Tivertino, nel quale fossero incassati porfidi, serpentini, lapislazzoli e altre simili pietre. Tali erano ancora tutti i colonnati suddetti che risalivano dalla muraglia. I basamenti i capitelli, gli ornamenti delle finestre, dei nicchi e degli ovati, gli architravi, i fregi e le cornici imitavano similmente il Tivertino; ma perché tutte queste cose erano frappate diligentemente fra i tagli degli ovoli, de’ canalati e delle chiocciole, era commessa tanta copia d’oro che ogni cosa risplendeva meravigliosamente. Il cavo dei nicchi e degli ovati era tutto a mosaico d’oro; e le mensole che a guisa di maschere uscivano da alcune cartelle a sostenere gli sporti ai piani delle finestre erano anch’esse dorate. Le vetriate erano di cristallo chiarissimo e le ferriate che di sotto poggiavano sopra palle d’argento avevano di sopra cimase d’oro molto eminenti di bellissima invenzione. Dentro le nicchie erano statue con piedistalli sotto forma d’are ornate di Camei di basso [bosso?]delicatissimi appropriati con sommo studio alle statue che sostenevano, le quali erano vari simulacri delle Virtù e degli Dei, non finte di pietra come a quei tempi si solveva fare da molti principi nel fabbricare le scene, ma scolpite in effetto di quel squisito marmo di Luna col quale gli antichi Romani si erano resi immortali nell’erezione delle statue. Negli ovati erano teste col petto del medesimo marmo, della medesima eccellenza e di mano del medesimo scultore, il Clemente, che il descrittore suddetto di quell’epoca chiama l’emulo vittorioso della natura, né mi dilungherò più oltre a descrivere i valori di lui profusi sulla scena poiché è troppo nota la sua bravura.

Da quest’ordine, che ho tentato descrivere, risorgeva l’altro il quale non cadeva a dirittura di piombo sopra il vivo del primo, ma restava tanto di più in dentro quant’era la lunghezza di un balatore che restava allo scoperto e scorreva con molta grazia dall’un capo all’altro avendo agli angoli i piedistalli o le colonnette quadre ornate di rilievi, che accompagnavano i balaustri del parapetto e sostenevano statue di marmo. Quest’ordine imitava un marmo rosso lustrato e era compartito con molte colonne quadre in una loggia tutta aperta, fuor che negli angoli dove erano le vetriate fra le due ultime colonne. Fra le altre colonne si vedeva il pavimento della loggia sfondato con rosoni d’oro e con altri ornamenti di pitture e di stucchi, e le muraglie di dentro della loggia dipinte a mosaico d’oro, con grottesche e istorie fatte da buonissima mano. Nel mezzo di questa loggia, appunto sopra la porta, perché vi risaliva il poggiolo, vi risaliva ancora con molto sporto un nuovo ordine con quattro colonnati che risal= 

 

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tavano dal vivo a sostenere la cornice. Questo era della medesima lunghezza del poggiuolo, ma con l’eminenza sua interrompeva e soperchiava d’assai il tetto della loggia e fra due colonne faceva l’entrata sul pogguiolo con un volto nel mezzo e due architravi riquadrati dalle parti.

Dopo quest’edificio ne risorgeva un altro di maggiore altezza più in dentro il quale dalla parte di sotto con un volto d’opera rustica si congiungeva al primo. Aveva in faccia e per fianco finestre chiuse da vetriate e nicchi con le sue figurette e alla sommità sosteneva la cornice d’opera corrispondente all’arco di sotto.

La descrizione di questo fabbricato vale anche per la parte opposta poiché i due fianchi erano identici, diferenziavano però solamente nelle statue rappresentando queste soggetti diversi.

Nel prospetto della scena eravi fra i due edifizi in ultimo descritti un arco amplissimo coi suoi membri tutti di grandezza notabile, all’apertura del quale per maggior maestà si ascendeva con tre gradi, e perché era molto sodo, nella grossezza di detta apertura aveva due portelle una per parte dalle quali si vedeva il principio di due scale che conducevano negli appartamenti reali. Il sottovolto era compartito con un bellissimo sfondato pieno di cartelle e di rosoni d’oro che come l’altre cose si sminuivano. Di sopra al volto nella facciata eravi un armone regio con la corona di sopra ornata di perle e di gioie; nel contorno con arte meravigliosa si vedeva unita una gran quantità di cartelle, di foglie, di maschere, di festoni e di figure. Essa era di stucco ma imitava un marmo bianco dorato in alcune parti con molta delicatezza. L’ovato dello scudo era diviso per mezzo con una sbarra da alto in basso e con tre altre al traverso che la partivano in otto campi di variati colori, nei quali erano collocati con ordine alternato due lune, due gigli, due palle e due fiamme; le lune parevano di diamanti, i gigli di zaffiro, le palle di smeraldo e le fiamme di rubino. Le sbarre che erano d’oro, pareva che con bella serie tenessero legati molti pezzi di gioie, tutti quadri e tirati con ordinata varietà, alcune in punta e altre in tavola. Esse erano di cristallo chiarissimo non gonfiate come le bozze che in simili apparati si usava a quei tempi, ma stampate nel bronzo, ciascuna nella sua forma con i rilievi e con gli spigoli taglienti ed essendo piene d’acqua artificialmente colorata o chiara, o turchina, o verde, o rossa e avendo di dietro accomodati dei lumi sembravano realmente diamanti, zaffiri, smeraldi, o rubini e tant’era lo splendore che usciva da questo scudo che quando non vi fosse 

 

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stato altro lume da sé solo poteva illuminare gagliardamente la scena. L’arco di sopra finiva con un ordine di balaustri che era scavezzo dalla sommità dell’armone. Da ambe le parti della porta eranvi due nicchi con basamenti, cimase e ornamenti d’architettura, nei quali era in gran copia profuso l’oro. Dentro questi nicchi stavano due grandi statue rappresentanti la Virtù e la Nobiltà che per la ristrettezza del tempo furono fatte in stucco.

Dentro all’apertura dell’Arco si vedeva un cortile spazioso che aveva in faccia una loggia aperta da una parte e dall’altra con un volto solo, nel mezzo riquadrata da due architravi dalle parti sostenuti da otto colonne, fra le quali si vedeva più in dentro un’altro cortile circondato da loggie, che usciva in un’aperta spinta dall’arte con si gran forza, che oltre al terrapieno e alle mura di Londra, scopriva nel paese di fuori alcune cime di padiglioni dei nemici accampati all’assedio di quella Città. E perché la facciata di sopra da questa s’alzava più alta con una cornice al disopra dell’arco, appariva una grande quantità di finestre a guisa di galleria fornite di vetrate e di lumi e d’altri ornamenti.

Di sopra si vedeva il Cielo che faceva coperto alla scena, all’Orchestra e alla Sala egualmente ed era sparso in diversi luoghi di nubi, parte dipinte nel soffitto e parte di bambagia molto naturalmente imitate e queste ultime moventisi in vari modi. Siccome poi gli edifizi della scena non erano coperti di tegole, avevano alla cornice una gran quantità di maschere dorate alcune delle quali con cannoni in bocca per iscarico dei tetti. Non va taciuto poi che nei fabbricati stessi nei colonnati, nei fregi, nei partimenti a luoghi convenevoli erano tutti risplendenti di bozze di cristallo stampate in forme quadrate esagone e ottagone le quali con gli altri lumi illuminavano la scena con vivezza tanto proporzionata e soave da parere illustrata da un limpidissimo sereno che miracolosamente venisse dal Cielo.

Appena sparito come si è detto l’arco dedicato alla nobiltà della Casa d’Austria e scopertasi la scena incominciò la rappresentazione.

Negli intermezzi degli atti si rappresentarono i quattro elementi.

Dopo il primo atto intuonò la musica una suonata appropriata e si vide sorgere dalla scena un monte sopra la sommità del quale eravi un carro tirato da due leoni con sopra la statua di Berecinzia e tutti gli accessori onde rappresentare la terra, il tutto decorato in modo sfarzosissimo. 

Dopo il secondo atto la musica con nuova e diversa 

 

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armonia intuonò l’apparire dell’elemento dell’acqua e si vide sorgere sulla scena una grand’onda di mare, biancheggiante di schiuma, la quale sosteneva un carro in forma di conca, tutto composto di piccole conchiglie, di pomici, di madreperle e di coralli. Di sopra in dietro salzava un’altra gran conca marina colorita d’astro e d’argento che gli faceva ombrello e di sotto poggiava sopra due ruote senza circonferenza aventi i soli raggi giranti continuamente. Era esso tirato da tre delfini grandi con sopra agli omeri Sirene, Nereidi e Tritoni. Sul carro, nella parte più indietro, figurava l’elemento dell’acqua una giovane vestita di tela d’argento coi capelli distesi giù per la faccia e per le spalle; in mano aveva una ricchissima corona contesta di perle; dinnanzi a’ suoi piedi a guisa d’auriga sedeva Nettuno con le briglie nell’una mano e nell’altra il tridente d’argento; egli era coronato d’alga bianca di schiuma. Accompagnavano il carro molte figure simboliche di fiumi e laghi adorne con sfarzo come tutto il resto. 

Dopo il terzo atto stando per affacciarsi l’elemento dell’aria, in un volger d’occhio si vide formare un vaghissimo arco celeste fra le nuvole, le quali cominciarono tutte diversamente a muoversi, e una assai maggiore dell’altre distaccandosi a poco a poco dal cielo e calando a basso, mentre la musica con lieta e aerosa armonia s’udiva dolcemente sventillare, si fermò a mezz’aria, senza che si potesse vedere con quale artifizio una macchina così grande e così grave si movesse e dove fosse appesa. Sopra di lei si vedevano i due fratelli e sposi Giunone e Giove come quelli che rappresentavano quell’elemento. Giunone aveva in capo un velo bianco e una corona ornata di smeraldi, rubini e giacinti: di sotto aveva una veste chiara e risplendente a guisa di cristallo: di sopra un manto oscuro ma di maniera tale che non nascondeva lo splendore della veste: ai suoi piedi teneva un vezzoso pavone e a quelli di Giove stava un’aquila con l’ali aperte. Non aveva alcuno di loro fulmini in mano, ma in loro vece portando gli scettri, pareva che deposta ogni turbolenza comandassero a quella lor regione, che allora più che mai si mostrasse tranquilla e serena. All’estremità della nube i quattro venti principali con certi mantici congegnati di dietro soffiavano verso il teatro alcuni fiati, che sebbene si vedessero uscir dalle bocche loro, erano però temperati, chiari e di soavissimo odore. Borea al Settentrione mostrava la barba agghiacciata e le chiome rabuffate e sparse di neve; Noto a mezzogiorno si vedeva annuvolato e tutto molle di pioggia; Euro all’oriente con la faccia che nel giallo rosseggiava, e col capo ornato di gemme, spirava odori 

 

[XVI, ma scritto XIV

 

più soavi di tutti gli altri, e all’incontro Zefiro d’aspetto giovanile e delicato aveva cinto le tempia d’una ghirlanda contesta di vari e freschissimi fiori. La nuvola poi lentamente come si era abbassata con un moto egualissimo e soave se ne ritornò al cielo.

Finito il quarto atto la musica con nuova delicatezza mandò fuori il suo lamentevole e affettuoso suono, mentre un’altra nube infuocata di cinabro, dovendo portare l’elemento del fuoco, calò dal cielo non si fermando però tanto basso come l’altra, e scoperse non senza abbagliamento d’ognuno il carro del sole, che per forza di lumi e di bozze piene di acqua rossa pareva tutto d’una vivacissima fiamma. Dalla parte dinanzi aveva i suoi corridori sauri affuocati, grandi al naturale che spiravano fuoco per le narici e che dalla loro posa mostravano una velocità incredibile e fierezza indomita. Sul carro nella parte indietro era posto Vulcano con un cappello turchino in testa volendo denotare che egli confina col cielo. Dinanzi a lui stava il Sole giovinetto sbarbato, con i capelli d’oro annodati, infiammato nel volto, e nudo fuor che d’un piccolo panno di damasco d’oro tessuto a fiamme nel cremisino, che lo copriva alquanto: dal capo ai piedi spargeva intorno serenissimi raggi di fuoco e d’oro e nella destra teneva una face luminosa e ardente. Erano stati preparati molti fuochi artificiali ma per tema d’un incendio furono lasciati a parte.

Troppo lungo sarebbe il parlare dei vestimenti dei personaggi della tragedia, basti il dire che erano tutti addattati alla persona che rappresentavano e allestiti in modo sfarzoso come tutti gli altri arredi personali e che a quei tempi non si era ancora veduta una tragedia vestita con tanta ricchezza e tanto giudizio.

In quanto ai recitanti mi limiterò ad accennare alla eccellenza loro ed anche in questo non è mancato alla tragedia il dovuto ornamento e gli spettatori pieni d’insolita meraviglia “fecero giudizio (al dire del surricordato storiografo di questo avvenimento) che l’età nostra in questa parte fosse molto più felice delle passate.”

Non è neppure a tacersi della maniera tenuta né Cori, essendo ella non più veduta ne usata a quei tempi.

Il coro era formato di donne di Londra delle quali una ragionava alternatamente coi personaggi della Tragedia quando occorreva e ai riposi della favola cantava o pur recitava quelle canzoni che allora erano chiamate cori. Queste canzoni erano musicate eccellentemente e concertate insieme con istrumenti tutti dolci toccati da valentissimi suonatori con infinita discrezione e posti in parte lontana e ascosa; solo il soprano, che cantava da solo veniva eseguito dalla stessa donna nella prima parte 

 

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del pulpito quand’era tempo di cominciare movendosi essa con la voce e il concerto con l’armonia, una vicina allo spettatore l’altra lontano, quella apparente e questo nascosto, faceva restare in dubbio se con la voce di lei fosse altro concerto accompagnato ovvero se il riverbero della medesima voce causasse quel dolce suono nell’aria.

Avendo fin quì scritto degli apparati e delle altre parti che nel recitare l’Alidoro giunsero a quel grado di perfezione che a chi alla distanza dai tempi nostri sembrerà quasi impossibile, mi pare necessario dar anche qualche contezza del Poema giacché la tragedia ricca di così superbo apparato e così felicemente rappresentata non fu certamente indegno spettacolo di tanti principi.

Eccone brevemente l’argomento:

Memprito fratello di Normanno Re d’Inghilterra avendo la moglie che era per partorire, fu ammonito dagli indovini che il fanciullo, cresciuto che fosse, doveva essere omicida del proprio padre; onde per liberarsi da questo pericolo lo diede a un ministro perché segretamente lo uccidesse. Costui finse di farlo, ma mosso a compassione lo pose in una cassa e lo gettò in mare. Il fanciullo sbattuto dalla fortuna capitò a un lido di Scozia, dove da quel Re che non aveva eredi, come dono e seme-divino, fu segretamente raccolto e sotto nome di proprio figlio fu fatto allevare. Cresciuto poi in età e chiamato Alidoro per nome, fu mandato dal Re di Scozia creduto suo padre a Memprito per la stretta amicizia che aveva seco, a rallegrarsi della sua nuova esaltazione, poiché allora Memprito, ucciso suo fratello, s’era fatto Re d’Inghilterra. Arrivato a Londra e trattenuto quivi dal Re un anno con molti onori, s’innamorò di Cordilla unica figlia di lui e sua propria sorella e dopo di averla di nascosto sposata e avutone un figlio che col mezzo della Nudrice celatamente s’allevava, fu forzato tornarsene in Scozia alla nuova dell’infermità mortale del padre. Colà giunto e morto il padre, gli succede nel Regno e manda oratori a chiedere Cordilla in moglie; ne potendola avere perché ella in quell’istante era stata promessa al Re di Spagna, fatto lega con molti Re e congiunti seco di parentela e d’amicizia venne all’assedio di Londra e quivi essendo stato due anni l’aveva ridotta ad estrema calamità di fame; Memprito forzato dalla necessità e persuaso dalle vive ragioni del Consigliero che gli scopre l’occulte nozze e il nascimento del nipote, lo chiama come genero in Londra per dargli la figliuola e per istituire lo stesso Nipote erede del Regno. Mentre si preparano le nozze, viene dall’Oracolo un nunzio molto prima mandatovi da Memprito per consulto ne’ suoi travagli e con la risposta gli dà l’indizio che il nuovo genero gli sia parimenti figliuolo. Perciò agitato dalle furie, parendogli che così la ragione e l’onore della corona 

 

[XVIII, ma scritto XIII

 

il richiedessero, fa morire la figliuola e il nipote. Intanto Alidoro entrato in Londra e credendo essere ormai giunto alle desiderate nozze, intende la morte della sposa e del figlio e non sapendone la cagione ma attribuendo il tutto a naturale crudeltà di quel tiranno, per vendicare l’uno e l’altro morto, ammazza lo suocero. Il Consigliero che non sapeva ancora della morte del suo Re e a fine di placare Alidoro gli scopre che egli è figlio di Memprito e fratello della morta moglie. Allora Alidoro conoscendo d’essere divenuto marito della propria sorella, d’averne avuto un figlio, d’essere stato parricida e d’aver desolato il Regno paterno e distrutta la patria, riputandosi indegno di più vivere come odioso agli uomini ed agli Dei s’uccide da sé medesimo.

“Questa Tragedia fu fondata come si vede sopra fatto d’una assoluta grandezza non preso da storia antica o da favole note”, così dice il sopra citato anonimo descrittore, mentre a me sembra invece che l’argomento sia tolto dalla tragedia greca di Sofocle intitolata: Edipo Re.

Essendosi posto fine alla Tragedia e non udendosi più alcuna sorta di musica, gli spettatori erano così pieni di meraviglia, di pietà e di terrore da non saper rimuovere la fantasia delle cose rappresentate e dubbiosi se fossero state vere o pur finte.

Ma perché era stato ordinato di temperare per ogni modo la melanconia tragica con l’allegria, quando si credeva di dover ormai partire, furono ritenuti tutti da nuovo spettacolo. Sorse dal proscenio Bradamante e con lei Melissa, la quale discinta, scalza e scapigliata con un istrumento matematico nella sinistra e un pentacolo nella destra a guisa di Maga le disse (in versi) averle fatto altre volte vedere alla tomba di Merlino le anime di quei gran principi che avevano da uscir dal seme di Ruggiero e di lei e che per sua maggior contentezza li farebbe quivi ancora comparire. La maga fece un gran cerchio in terra e poi che ebbe fatti molti segni cabalistici, si sentì uno scoppio di terremoto e al suono di molte trombe cominciarono ad apparire ad uno ad uno quei Principi in forma di Cavalieri armati a tornear fra loro con le corriere in crociera chi con mazze e chi con stocchi e altri col romper delle lancie. Alla vista di così vasto spettacolo si aprì un grande ovato in Cielo e vi si affacciavano tutti gli Dei ridotti a Concilio per rimirare quella generosa stirpe e per l’apertura dell’ovato si vide la cupola di sopra ornata di splendori e si udirono musiche angeliche, spandendosi ancora per l’aria odori delicatissimi. Quelli che rappresentavano i principi erano tanti giovani dai 18 anni circa, con intorno congegnati cavalli di stucco in modo così artificioso che sembravano veri. I cimieri erano elevati con varie piume e portavano le imprese sulle quali si vedeva il nome dei medesimi principi, ed erano coperti di vesti splendide 

 

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non che sfarzosi gli adornamenti dei cavalli. Dopo aver buon pezzo armeggiato si dipartirono e Melissa mostrando col dito l’ultimo che era comparso lo designò per Alfonso II° del quale l’età sua si chiamerebbe sopra ogni altra felice perché doveva congiungersi alla Serenissima Regina Barbara d’Austria sorella, figlia, nipote e stirpe d’augustissimi Cesari; poi invitata Bradamante a passare alle sedi beate dei Campi Elisi a vedere il resto della sua discendenza se ne partirono assieme.

Così ebbero fine tutti gli spettacoli di quella memorabile sera, reputati di tanta perfezione e grandezza che in altra occasione gli autori sarebbero stati ripresi come prodighi e immoderati, ma essendosi ciò fatto per una Regina non vi fu alcuno che tanta magnificenza non lodasse ed ammirasse.

 

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§ 3.

Il Primo Teatro di Reggio

detto del Santo Monte

 

Trasportatasi, come abbiamo più sopra narrato, la fiera al maggio, onde ancor più accrescere il numero dei concorrenti, si davano in tale occasione spettacoli nella sala delle commedie. Ma ben presto gli Anziani del Comune si accorsero che questa sala era ormai troppo angusta e perciò il Senato se ne occupò seriamente e deliberò di ridurla a regolato Teatro secondo i metodi adottati in Roma, in Ferrara e nelle principali Città. L’opera immaginata ebbe compimento l’anno 1637.

Fatto il disegno dell’Architettura e forma che si voleva dare al nuovo teatro, da costruirsi interamente in legno secondo i principali modelli di quei tempi e come si giudicavano, e non a torto, riuscire più sonori, si pensò alla maniera di distribuire la maggior parte delle spese sopra le famiglie nobili e signorili. Cento erano i palchetti che volevansi costrutti, e fu partecipato con avviso pubblico che questi sarebbero stati pubblicamente estratti a sorte unitamente ai nomi di quei capi di famiglia che volessero farne acquisto pagandone il debito importo. Ma tanti furono i concorrenti che il Generale Consiglio nominò una deputazione di quattro, che furono i Sig.iGio:Battista Franchi, Tommaso e Giovanni Minghelli e Girolamo Agliati, che, oltre al soprintendere al lavoro del nuovo teatro, previamente formasse un Capitolato per la distribuzione dei palchetti. Tale incarico fu conferito nel 1636 e nel 6 gennaio 1637 la deputazione presentò i capitoli che regolar dovevano la estrazione a sorte dei palchi non che la norme sulla proprietà dei medesimi coi rispettivi obblighi e diritti.

La Sala delle Commedie ridotta a teatro (che fu 

 

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a Reggio il primo) con intorno a semicircolo oblungo quattro file di palchi, aveva una lunghezza di braccia 40 ed era largo 35, e il scenario misurava braccia 32. I palchetti erano 103; in platea eranvi 64 panche laterali e nel mezzo 29 sedie da sei persone ciascuna; il palco del Comune sopra la porta d’ingresso e presso l’Orchestra il posto per gli Anziani. Al pianterreno eranvi i servizi per caffè e per giuoco pubblico della roletta, come ne fanno fede gli avvisi a stampa di quei tempi. Il metodo di illuminazione era allora molto meschino, poiché il palcoscenico si illuminava con fiaccole a sistema primitivo, il resto con lumi ad olio.

Assestatosi così bene il Comunale Teatro, con indicibile prestezza, nel 1637 incominciarono con impegno maggiore a farvi recite. Le più spettacolose cose eseguivansi in Carnevale in cui questa Città godeva di non interrotti e maestosi divertimenti. Anche nel tempo della fiera si davano spettacoli in Teatro ma senza spesa e sfarzo perché allora la fiera fioriva luminosa e ricca di per sé sola.

Non andò guari che anche la musica cominciò ad entrare in teatro accompagnando le parole recitate. Nel Carnevale dell’anno 1645 si rappresentò la tragicommedia di Alarco Gnacci (Carlo Calcagni di Reggio) intitolata L’Innocente giustificato; una cantata a dialogo tra la Giustizia, l’Innocenza ed il Tradimento formava il prologo, che fu accompagnato da musica. Questo è certo il primo intreccio di musica e canto che fosse udito nella Città nostra dopo l’invenzione del melodramma e delle cantate fatta in Italia.

Nel giorno 2 Marzo 1645 i cittadini reggiani Gio:Battista Franchi, Girolamo Arlotti e Paolo Parisetti presentavano ai Sig.i Deputati del Teatro un progetto di spettacolo inusitato dichiarando di assumere a proprio carico tutte le spese. La base della proposta era questa: “Faremo recitare questa prossima fiera un’opera tutta in musica e, per dar il dovuto principio dal cielo, sarà spirituale e forse La vita di S. Alessio Drama stimato dagli intelligenti di somma perfettione per l’unità, pel costume et altre qualità….......”. Ai 27 dello stesso mese la Deputazione sopra il Teatro che si componeva dei Sig.i Dott.r Tomaso e Giovanni Minghelli e di Giovanni Agliati accettava il progetto e concedeva ai proponenti l’uso del teatro per tutto il maggio susseguente.

Questo fatto è confermato da un manoscritto del Dr Prospero Fantuzzi (che si conserva nella Biblioteca di Reggio) che ha per titolo: Storia della tipografia di Reggio, ove si legge sotto la data di quell’anno 1645: = Argomento del S.Alessio Drama musicale di nuovo (cioè per la prima voltarappresentato in Reggio – Reggio perFlaminio Bartoli 1645, in quattro di otto pagine a stampa (1)

 

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(1) Il compositore della musica del S.Alessio fu Stefano Landi nato 

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Come nelle altre città aveva principiato ad essere in voga il gusto pei drammi, così anche in Reggio s’incominciò a far venire delle Compagnie cantanti. Il primo e più regolato Dramma quì rappresentato fu quello del nostro Leone Parisetti intitolato Antioco che tanto piacque e ciò avvenne nell’anno 1668. In seguito furono più di frequente rappresentate opere o drammi musicali sebbene molte volte siansi trascurati gli spettacoli per guerre, carestie ed altre calamità.

            Sui primi del gennaio 1695 cadde sì gran quantità di neve che arrivava all’altezza di due braccia e mezzo e la notte del 10 stesso messe quel soverchio peso fece cadere il tetto del teatro, rovinando i palchi, le scene e le panche della platea.

            Per quell’inverno non si poté recitarvi, ma si attese nella primavera a rifare di nuovo il tetto ed i palchi dando ad essi miglior simetria e nel febbraio 1696 essendo stato tutto terminato i Gentiluomini di Reggio vi eseguirono un corso di commedie.

            I restauri e le pitture furono eseguiti per opera dei fratelli Ferdinando e Francesco Galli più conosciuti sotto il nome di fratelli Bibbiena. Da questo momento il nostro 

 

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nella fine del secolo XVI a Roma e lo scrittore dell’argomento fu l’eminentissimo Rospigliosi che poi divenne Papa col nome di Clemente IX. Quest’opera fu rappresentata la prima volta in Roma nel Carnevale 1634. Il nuovo spettacolo fu dato in un teatro capace di quasi 3000 persone, fatto costruire dal Papa allora regnante Urbano VIII, per festeggiare l’arrivo in Roma del Principe Alessandro Carlo di Polonia.

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teatro ascese a tanta riputazione da essere considerato uno dei più cospicui e celebri d’Italia e ben a ragione poiché, oltre alla sua forma per quei tempi splendida si ebbero da quell’epoca i migliori cantanti, ballerini e pittori scenografi non che opere di prima classe e di gran spettacolo.

            Nella fiera del 1679 si rappresentò Tulia Superba dramma in musica del reggiano Ippolito Pratissoli. Questo fu il primo spettacolo musicale grandioso messo in scena all’epoca della fiera e da quest’anno incominciossi ad arricchire il mese della fiera con grande spettacolo teatrale a maggior richiamo e trattenimento dei forestieri.

            Così si giunse al 1739 nel quale anno si apportarono al teatro nuovi perfezionamenti e si aggiunsero presso la scena altri quattro palchi per la famiglia sovrana e venne rinnovato sopra ogni palco lo stemma del proprietario cercando di abbellire tutto l’interno del teatro per un grandioso spettacolo che vi si doveva dare l’anno dopo; quando la notte del 6 marzo 1740 fosse caso accidentale o meditato (il Fantuzzi suppone per opera di un alto personaggio), uno spaventoso incendio che durò tre giorni ridusse in cenere questo vecchio e maestoso teatro e fu una vera fortuna se si poté limitare il danno al solo teatro, salvando con grande stento dal fuoco il S. Monte di Pietà.

 

 

 

[XXII]

 

§ 4 °

Il Teatro Comunale in Cittadella

 

            Non si sgomentarono per questo i reggiani ma pensarono anzi di costruire un nuovo Teatro. Chi maggiormente se ne interessò fu il nostro Duca Francesco III° che manifestò “non essere conveniente che Reggio si rimanesse sprovveduta di un edificio tendente al pubblico diletto e per cui erasi acquistato tanto grido di celebrità, e verso di cui aveva addimostrato particolare genio ed intelligenza” ed eccitò il Generale Consiglio di questo pubblico a destinare uomini di abilità che indicassero il sito più proprio e meno pericoloso in cui erigere si potesse il nuovo teatro, e chiedeva pure (con lettera 9 maggio 1740 datata da Rivalta) informazioni dei fondi coi quali si fosse potuto supplire alla considerabile spesa che a tal uopo si richiedeva.

            Si unì tanto il Generale Consiglio per secondare le sollecite eccitazioni del Duca e per rispondere alle inchieste sue prescelse otto de’ suoi membri dotati di capacità ed esperienza affiché disimpegnassero tale bisogna.

            La Commissione incaricata per la scelta del Luogo dove doveva erigersi il nuovo teatro scelse il posto dove eranvi le scuderie ducali e l’Ufficio della macina vicino alla Cittadella dopo presi gli opportuni accordi col Marchese Governatore Gerolamo Lucchesini (1) – Venne pure stabilito che i denari necessari per tale fabbrica, anche per ordine del Duca, sarebbero stati presi dalla Cassa delle dieci addizioni di Reggio.

            Finalmente alli 23 Maggio 1740, con disegno dell’Architetto reggiano Antonio Cugini si poté dar principio al nuovo teatro, demolendo prima le scuderie le quali poi, a spese del Comune furono fatte in Cittadella su disegno dello stesso Cugini

            Alla sopraintendenza di questa fabbrica furono nominati i Signori Ce Ippolito Malaguzzi, Ce Antonio Gabbi, Conte Antonio Prini, Tommaso Toschi, Commrio Giovanni Bosi, Ce Bonifazio Pegolotti, Tommaso Borni Giudici Generale dell’Illmo Pubblico e Lodovico Pratissoli Vice-Sindaco.

            Questa grandiosa fabbrica che per quei giorni può dirsi riuscisse perfetta, fu molto lodata anche dalle più lontane parti d’Italia da averne encomi ed attestati di ammirazione, ed infatti, tranne alcune città principali, niuna delle secondarie poteva vantarsi di avere un teatro simile. – Il portentoso poi si fu che, anche per la valentia dell’Architetto, il teatro era già in piedi e coperto a capo di 180 giorni.

 

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(1) Vedi relazione fra i documenti.

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[XXIII]            

 

            Il Senato e il Consiglio, visto che il lavoro era riuscito maestoso e perfetto, pensarono per l’abbellimento interno che rispondesse alla riuscita del fabbricato. Quindi a Gianantonio Paglia bravo dipintore e Architetto reggiano fu commesso il dipinto dei palchi all’esterno e della soffitta. Le 20 figure della Loggia o Lubioni, che facevan mostra di sostenere la soffitta fu lavoro di Giuseppe Rocchetti parmigiano; il proscenio di Carlo Vandi veneziano, e Gianantonio Paglia dipinse pure diciassette quadri a paesaggio e prospettiva che adornarono il salone del Ridotto.

            Esistono nella Biblioteca e nell’Archivio di Stato di Reggio manoscritti e stampati in cui sono riprodotte le facciate e lo spaccato di questo Teatro non che la 

 



 

pianta, incise dal nostro concittadino Carlo Manfredi (Modena – Tipi Soliani 1742). Esso era capace di circa 1100 spettatori. La platea lunga 40 Braccia e larga 20 aveva l’uscita per due grandi porte vicino al proscenio. Quattro comode scale conducevano ai quattro ordini di Palchi e il proscenio era ampio, degradato con 24 tagli e 48 carri pel movimento delle scene e delle decorazioni.

            I palchi, secondo l’uso d’allora venivano decorati dal proprietario a piacimento, con rideaux e tendine a vari colori, per cui il teatro presentava un insieme a variopinti colori che, all’occhio dello spettatore, dava un non so che di brio e di allegria molto confacente ad un luogo in cui i cittadini si riunivano per divertirsi.

            La Sala del Ridotto era al pian terreno ed in essa davansi in Carnevale feste da Ballo; altre quarantotto camere esistevano per diversi usi.

            I palchi furono tutti venduti al prezzo di £ 500 quelli del I° ordine, £ 600 quelli del 2°, £ 400 del 3° e £ 300 del 4°; ed essendo maggiori le richieste del numero dei palchi vennero questi estratti a sorte mettendo in un’urna il nome dei richiedenti e in un’altra i numeri dei palchi, fila per fila a seconda delle domande.

            Al di fuori girava un bel portico lungo braccia 113 e mezzo nelle due facciate verso mezzogiorno e mattina e l’ingresso era in via delle Grazie.

            Questo teatro oltre al vago e maestoso disegno, aveva ancora il pregio di essere sommamente armonico per cui in ogni sua parte si godeva efficacemente la musica e la recitazione.

            Esso fu aperto al pubblico nella stagione di fiera 

 

[XXIV]

 

del 1741 la sera del 29 aprile col Dramma in musica Vologeso Re dei Parti che suscitò un vero entusiasmo. Ma non solo entusiasmarono la musica e gli artisti di canto scritturati per tale avvenimento, ma più ancora l’ammirabile insieme che presentava l’intero teatro sia per la sua architettura, sia per le pitture delle scene del medesimo Paglia, come per la quantità incredibile dei forestieri. La musica dell’Opera era del M° Pietro Pulli napoletano, la poesia di Eustacchio Lucarelli, e gli artisti, anzi i virtuosi, come venivano allora chiamati, che presero parte a tale spettacolo furono: Giovanni Cristini, Vittoria Tesi Tramontini, Angelo Amorevoli, Antonia Raffaelli detta la Falegnamina, Felice Salimbeni e Nicola Giovanetti.

            Il continuo accorrere di forestieri onde ammirare il nuovo teatro concorse a far più belli e più applauditi i notturni divertimenti teatrali che durarono fino al 3 Giugno e resero anche più frequentata, in quell’anno, e fruttifera la nostra fiera.

            Dopo la stagione d’apertura gli spettacoli al nostro teatro diminuirono un po’ d’importanza poiché il Comune che per la sua costruzione aveva speso circa 40 mila scudi (£ 364 851. 16. 10) dovette economizzare sulle spese per gli spettacoli negli anni seguenti; ma dal 1748 in avanti furono date quasi costantemente opere spettacolose e di costo, sì per la scelta della musica come pei cantanti i più valenti che vivessero a quei giorni.

            Nel 1814 in occasione dell’arrivo a Reggio dei novelli Principi Francesco IV e Maria Beatrice di Savoia, il Comune pensò di abbellire il teatro. Difatti fu dipinta a nuovo la soffitta dal valente reggiano Prof. Prospero Minghetti che vi effiggiò le ore danzanti intorno al carro di Febo, e per mezzo del medesimo venne rifatto il Sipario nel quale rappresentò il Parnaso illuminato dal sole, colle Muse e i tre busti dei principali autori drammatici italiani Goldoni, Metastasio e Alfieri.

            Nel 1831 in dicembre il reggiano Luigi Casali reduce da Roma dopo tre anni di studi sulla pittura, si offre di dipingere gratis, col solo rimborso delle spese vive, il secondo sipario o come suol chiamarsi comodino, ed il Comune nell’adunanza del 22 dicembre accettò l’offerta. Tale sipario fu inaugurato nella stagione di Fiera del 1832.

            Verso il 1840 essendo deperite le stupende pitture del Minghetti (1), il Comune pensò di rinnovarle; a quest’uopo venne incaricato il Prof. Vincenzo Carnevali. In tale occasione furono pure decretati diversi ristauri di abbellimento ed i lavori diretti dagli Architetti

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(1)  Per quante ricerche abbia fatte e in Biblioteca e nell’Archivio di Stato non mi è stato dato di rinvenire la cagione di tale deperimento a così breve distanza di tempo.

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[XXV]  

 

Luigi Croppi e Giovanni Paglia con perizia dell’altro Architetto Pietro Marchelli e dello stesso Paglia importarono una spesa di £ 29360.

 Mentre prima, come è stato detto l’ingresso al teatro era sulla via delle Grazie e il portico girava anche dalla parte a levante, fu da questa parte soppresso e vi si fece invece, su disegno di Giovanni Paglia, una nuova facciata che esiste ancora; la sala del ridotto venne cambiata in atrio divenendo così l’ingresso al teatro più comodo e dando pure una forma più estetica al fabbricato.




            Ma la sera del 21 aprile 1851, seconda festa di Pasqua, alle ore 11 ¼  un altro incendio distrusse totalmente, dopo 110 anni dalla sua erezione, questo secondo teatro che per la sua vastità, buona armonia e disegno corretto non era inferiore al primo e per gli spettacoli in esso dati, sia riguardo alle celebrità artistiche che pei grandiosi balli, sia in forza delle novità musicali che delle primarie compagnie drammatiche che vi avevano agito, vantava nome, al certo non usurpato, dei più celebri d’Italia e dell’estero.

            L’incendio scoppiò mezz’ora dopo terminata la prova. Si doveva in quella stagione di fiera rappresentare la Tancreda del nostro concittadino M° Achille Peri, la Luisa Miller del Verdi e il ballo grande eroico L’ultimo giorno di Missolungi.

            Chi mi ha fornito molti particolari sù questo incendio è stato un testimone oculare del medesimo, il quale mi raccontava che, il fuoco divampò in un attimo e in poco più di un’ora ridusse il teatro in un ammasso di rovine fumanti. L’Ingegnere Comunale Tegani in tale frangente ordinò a diversi muratori l’eseguimento di un taglio fra il teatro incendiato e i due atrii, e così poté salvare la parte davanti del fabbricato, la quale esiste tuttora e fa parte del Politeama Ariosto, come avremo occasione di vedere a suo luogo.

            Andarono distrutti in quell’incendio tutti gli istrumenti dell’Orchestra, le scene, i vestiari, gli attrezzi dell’opera Tancreda nella quale doveva prodursi il tenore reggiano Luigi Ferretti. Andarono pure distrutti i vestiari del Ballo in un con molti mobili esistenti nelle sale dei privati e nei palchi e che erano dei rispettivi proprietari.

 

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§ 5°

Teatro Municipale Filodrammatico

 

Non per questo si scoraggiarono i reggiani: ché anzi un mese dopo determinarono di erigerne subito un altro più sontuoso e più grande.

            Intanto, salvata dalla catastrofe dell’incendio la parte anteriore del vecchio Teatro, bruciato come si è detto, la notte del 21 Aprile 1851, il nostro Comune penetrato dall’interesse della nostra città, ordinava all’Ingre  Tegani di ridurre la sala superiore all’atrio a piccolo teatro, acciò non restassero i cittadini privi dei soliti spettacoli di Carnevale e di Maggio; e diffatti nella sera del Natale 1851 fu aperto con opera semiseria: La Regina di Leone.

            In questo teatro eranvi tre ordini di palchi ed uno di loggione. Nel successivo Maggio fuvvi spettacolo di Opera seria colla Luisa Miller, al quale presero parte le più spiccate celebrità che in quei tempi calcassero le primarie scene d’Italia e dell’estero, quali una Scotti, un tenore Mirate ed un Varesi baritono; e per la durata di 5 anni, fino cioè all’apertura dell’attuale nostro grandioso teatro Municipale, Reggio ebbe nella solita stagione di fiera spettacolo grande, cioè opera e ballo non che spettacolo di musica in Carnevale e di prosa nelle altre stagioni. Se non che, per la ristrettezza del Palcoscenico, non si poteva dare ballo grande e gli impresari in questo periodo furono sempre costretti a scegliere piccoli balletti.

            In questo improvvisato teatro che prese il nome di Teatro Municipale Filodrammatico (e che dai reggiani fu battezzato col nome di Teatro di Cartone), si ebbe la fortuna di avere sempre buonissimi spettacoli non che celebri artisti di canto che empivano di lor fama l’Italia tutta. Fra questi mi piace annoverare una Barbieri Nino, una Piccolomini, i tenori Malvezzi e Boucardé, un Negrini ed un Graziani. Vi si eseguirono le prime novità d’allora come l’opera che ha fatto e fa tuttora il giro del mondo: Il Trovatore del M° Verdi, la quale non era stata eseguita che a Roma al Teatro Apollo, quindi affatto nuova per le altre città d’Italia, cosicché accorrevano gli uditori da ogni parte per sentire quel capolavoro di melodia che entusiasmò anche i più ignari di cose musicali.

            In quell’anno (1853) fu tale e tanta l’accorrenza dei forestieri come se Reggio possedesse uno dei primi teatri.

 

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[XXVII]

 

 

§ 6.°

Il Nuovo Teatro Municipale

 

            Ma, poco dopo l’incendio del teatro vecchio, i reggiani avevano deliberato, come ho detto più sopra, di costruirne uno nuovo più grandioso dell’incenerito.

            La sera del 2 ottobre 1841 la vicina Modena inaugurava l’attuale suo Teatro Comunale con grandioso spettacolo d’opera in musica, con celebri artisti di canto e con ballo grande. Questo teatro fu eretto, a spese del Comune, su disegno dell’Architetto Vandelli modenese e con decorazioni del Professore d’ornato Manzini pure di Modena. L’affluenza dei forestieri accorsi da ogni parte e per ammirare quel teatro e per sentire quegli artisti fu enorme, e molti giudicarono quel nuovo teatro uno dei più belli d’Italia.

            Nel Carnevale 1855-56 veniva riaperto il Teatro Regio di Parma restaurato e decorato a nuovo dal valente Prof Gerolamo Magnani parmense. Fu un lavoro che riempì di meraviglia gli spettatori per la ricchezza delle decorazioni tutte in oro a fondo bianco e per il buon gusto che esse diedero alla splendida sala.

            Reggio in quel tempo stava costruendo il suo Municipale. Gli amministratori d’allora videro e compresero come un buon teatro con buoni spettacoli, poteva solo dare alla città nostra e a suoi cittadini veri e positivi vantaggi, da compensare i sacrifizi che il Comune avrebbe fatto colla sua erezione.

            Difatti colla residenza a Reggio della Corte Ducale per tutto il mese di maggio, colla rinomata nostra fiera, collo spettacolo grandioso al Teatro, la nostra città prendeva l’aspetto di una delle più floride d’Italia e molti in questo solo mese trovavano compenso agli scarsi guadagni di tutta l’annata.

            E che anche oggi il teatro sia di sommo vantaggio per molti l’abbiamo visto anche pochi anni sono cogli spettacoli appestativi per quattro stagioni di Carnevale dalla munificienza del Barone Raimono Franchetti, e si può assicurare per scienza certa e si è potuto toccar con mano come con un buon spettacolo di musica una città possa rialzarsi un po’ dalla decadenza continua, a cui soggiace in ispecial modo la nostra che è priva d’ogni industria, ed avere un utilità da non trascurare, e lasciare almeno ai cittadini che dal teatro traggono un guadagno positivo, una speranza non delusa.

            Reggio posta in mezzo ai due vicini teatri di Modena e Parma, non poteva esimersi dal costruire un teatro che se non superasse almeno pareggiasse per bellezza e per la costruzione i due vicini sopradetti. 

 

 

[XXVIII]

 

 

            Il più esperto e provetto amministratore d’allora non poteva certamente prevedere in sì breve tempo e a così poca distanza la repentina decadenza della nostra città e con essa la decadenza dei teatri e degli spettacoli in genere. Ed ecco perché il Comune largheggiò nelle spese del nuovo Teatro.

            Scacciati gli austriaci e quindi scomparsa la Corte Ducale; soppressa nel maggio la fiera; eliminata dal bilancio Comunale la dote per gli spettacoli di Carnevale e Maggio che resterà del nostro Teatro, e chi si azzarderà più ad aprirlo? che anche oggi dopo oltre quarant’anni dalla sua apertura desta l’ammirazione di chi lo visita e ne loda la ricchezza decorativa ed il suo vero aspetto monumentale, unica gloria e decoro della città nostra?

            Se i nostri vecchi amministratori viste le in allora condizioni economiche di Reggio, con un commercio quasi nullo e nessuna industria, riposero le loro speranze nel Teatro, perché la città non perdesse del tutto quel poco di vita che le restava, non si ingannarono certamente, e non fu errore la costruzione del nuovo Teatro, come da taluni, non amanti del bene cittadino, si volle far credere.

            Ma è ora di descrivere un po’ questo teatro e tralasciare una buona volta disertazioni, commenti e rimpianti oramai inutili. Cercherò di essere beve mandando, se mai, quei lettori desiderosi di una più minuta descrizione all’opuscoletto pubblicato a Reggio il giorno dell’apertura del teatro stesso dal chiarissimo Prof. Bernardino Catellani (1) e all’altro lavoro dedicato al Prof. Costa dai suoi concittadini l’anno dopo (2).

 



Il nostro nuovo Teatro Municipale che sorge nella parte settentrionale della città, isolato da qualunque fabbricato con la facciata volta a mezzogiorno e davanti a un vastissimo piazzale detto Piazza d’armi (era Piazza Cavour), lo disegnò e condusse a termine il valente Prof. Cesare Costa di Modena, 



 

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(1) Reggio - Tip. Torreggiani 21 Aprile 1857

(2) Modena - Tipi di Carlo Vincenzi 1858

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[XXIX]

 

il quale si associò per l’opera muraria il giovine Architetto Antonio Tegani di Reggio. La sua facciata che è estesa metri 54 mentre metri 80 misura il suo fianco, s’innalza sopra pianta regolare, ed ai lati sporgono due portici, che terminano al disopra in due eleganti terrazze. I due portici, il destro dei quali offre comodo smonto a chi va al teatro in cocchio, si continuano con quello della facciata. E’ questa distinta in due riparti, l’inferiore d’ordine dorico, comprende il portico architravato, e dodici colonne di granito poggianti sopra un ripiano su cui si sale per tre gradini, ed il superiore d’ordine jonico con mostra di pilastri. Sopra la cornice della facciata e un’attica che volta a destra ed a sinistra fin dove si prolungano le ali, e sopra cadauna pilastrata posa una statua.

            Osservato nella sua esteriorità quest’edifizio, soddisfa pienamente per l’elegante sua semplicità, per la purezza dello stile, per le sue apparenze, le quali danno immediata idea di teatro nei modi i più acconci sia agli usi sia alla dignità.

            A prima vista sembrerà, a chi guarda nel suo assieme questo fabbricato, troppo gran cosa per piccola città qual’è la nostra. Ma lasciando a parte ogni altra considerazione, oltre a quelle già esposte, è da sapere che non ogni parte di questa fabbrica è necessario accompagnamento di un teatro; e per dirne di una sola noteremo che la parte anteriore e precisamente quanta ne sorregge e abbraccia il Peristilio è destinata a luogo di civili conversazioni e feste con annesse sale di lettura e da giuoco ed occupata da una società che s’intitola del Casino e che con nome più moderno si potrebbe chiamare Club dei Signori.

            Le statue che soprastanno all’attica sono venti e s’alternano fra maschili e femminili secondo che parve più conveniente, esse hanno l’ordine seguente:

            Statue sulla destra dell’attico a partire dal mezzo: 1a Istruzione scolpita da Prudenzio Piccioli di Modena – 2aVero di Antonio Ilarioli di Parma – 3a  Virtù di Prudenzio Piccioli – 4a Dramma di Ilario Bedotti di Reggio – 5a Gloriadi Piccioli – 6a Vizio di Ilarioli – 7a Tragedia di Ilarioli – 8a Rimorso pure d’Ilarioli – 9a e 10a Curiosità e Silenzio di Attilio Rabaglia di Parma.

            Statue sulla sinistra dell’attico a partire dal mezzo: 1a Diletto del Piccioli – 2a Favola di Bedotti – 3a Scherzodi Piccioli – 4a Danza di Piccioli – 5a Estro di Piccioli - 6a Commedia di Ilarioli – 7a Suono di Bedotti – 8a Pittura di Ilarioli – 9a e 10a Pudore e 

 

 

[XXX]

 

Moderazione di Bedotti.

            Statue della loggia verso ponente: 1a Medea di Bedotti – 2a Edipo di Giovanni Chierici parmense – 3a Achilledi Chierici – 4a Attilio Regolo pure del Chierici.

            Sulla loggia a levante: 1a La Concionatrice d’Ilarioli – 2a Il Punitore di  di Chierici – 3a Prometeo del medesimo – 4a Dedalo anch’essa del Chierici.

            Fra gli archi delle cinque porte che sono in mezzo al Peristilio, si vedono incastonate quattro medaglie a fondo cavo, in marmo di Carrara, che sono di fattura di Paolo Aleotti reggiano, e vi sono effigiati i volti di Menandro, di Sofocle, di Euripide e di Aristofane.

            Il Prof. Cav. Girolamo Magnani di Parma curò la decorazione di tutto il Teatro e alcune parti di sua mano condusse. Il vestibolo è una di queste ed è splendente di una graziosa semplicità. Esso è di forma pressoché quadrata e d’ordine composito lombardo. Lo scultore Ilarioli fece le due medaglie che sono in questo Vestibolo; quella nella parete a destra di chi entra contiene effigiato il volto di Terenzio e l’altra nella parete a sinistra mostra il volto di Plauto. In progresso di tempo e in diverse epoche nelle due nicchie furono collocati i busti dell’Architetto Costa (1) e del M° Cav. Achille Peri, dopo la loro morte.

            Tre sono le porte primarie centrali che mettono al vestibolo; di fronte a queste tre altre eguali guidano all’atrio e non si aprono che alla fine dello spettacolo essendo l’ingresso al fianco destro di chi entra.

            L’Atrio fu pure opera del decoratore Magnani ma vi lasciò dodici spazi nella volta nei quali il valente e allora giovane reggiano Giuseppe Ugolini vi dipinse dodici Baccanti, quale con tirso, quale con sistro e altri strumenti loro propri. Fra queste Baccanti vi sono quattro medagliette con putti a chiaroscuro fatte dal Prof. Magnani e che sono una vera meraviglia. Quest’atrio è di forma ottagona allungata trasversalmente, di ordine composito decorato con colonne e ricche cornici e fregi relativi all’ordine.

            Una nicchia sullo scalone che conduce al Casino contiene un busto di Lodovico Ariosto scolpito da Ilario Bedotti. Ai fianchi dell’ingresso della Platea, sempre nell’atrio vi sono altre due nicchie, nelle quali s’ergono i busti di Pietro Pariati e di Francesco Fontanesi, il primo, poeta drammatico, il secondo, gloria della scenografia Italiana, ambedue 

 

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(1) Antonio Peretti di Castelnuovo Monti pochi giorni prima della sua morte scriveva, in Ivrea, una canzone Pel Busto diCesare Costa.

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[XXXI]

 

reggiani, scolpiti dal pure reggiano Paolo Aleotti.

            La Platea tutta a oro su fondo bianco, come il Regio di Parma, si presenta veramente con aspetto imponente. Chiaro si vede la maestria del decoratore nell’abbellire a gradi i diversi ambienti a partire dall’ingresso fino alla sala sfoggiando sempre più, più si inoltrava, in adornamenti affinché l’occhio dello spettatore procedendo per giusti gradi senza stancarsi si ricreasse.

            In questa superba sala vi sono quattro ordini di palchi ed uno di Loggione. La platea che misura 18 metri per 18 con una curva elitica molto aperta, è occupata da oltre 300 comode poltroncine coperte di felpone di lana rosso. I palchi in numero di 106, distribuiti nelle quattro file, sono tutti coperti internamente di carta damascata rosso cupa e del medesimo colore sono i rideau. Nel Loggione vi sono pure otto palchetti e una gradinata di fronte al palcoscenico. Sopra la porta d’ingresso avvi il palco Reale sfarzosamente addobbato. – Dietro ai palchi corre un largo corridoio e contro a ciascun palco vi è un camerino che serve di spogliatoio od altro; a questi camerini poi sono interpolate quà e là alcune salette (in numero di 22) che sono di proprietà del Comune mentre i palchi sono di privati eccettuatone sei al 4° ordine che non fu possibile vendere perché a parte di questi il magnifico lampadario impediva la vista del palcoscenico.

            La bocca d’opera è ad arcata, che può dirsi felicemente ardita, poiché nella costruzione di così grande ed imponente arco, il dotto ed esperto architetto, collegando la scienza calcolatrice degli effetti delle forze coll’arte, e celando con vera maestria tutti i mezzi impiegati onde elidere gli effetti delle spinte, riuscì a conciliare eleganza, leggerezza e solidità, colla grande estensione dei raggi della curva.

            Il prof. Domenico Pelizzi di Reggio dipinse le quattro medaglie che fregiano la volta della Platea come anche le quattro minori interposte alle prime.

            Una di queste medaglie rappresenta l’arte melodrammatica e vi campeggiano le figure del Metastasio e del Pergolesi. – La seconda contiene i più solerti cultori dell’Arte comica in Italia; la principale figura è del Goldoni, la seconda è del Nota e la terza raffigura il fiorentino Cecchi. – La terza medaglia rappresenta l’arte coreografica e vi sono ritratti il Viganò e il Gioia. – La quarta che contiene le figure dell’Alfieri e del Mondi, fa conoscere che in essa si è voluto rappresentare l’Arte tragica. – Le quatto medaglie piccole poi sono allusive al concetto delle quattro maggiori.

            Dai veri cultori della pittura, mentre si ammira nei lavori del Pelizzi il disegno corretto, altrettanto si disapprova il colorito troppo caricato; bisogna 

 

 

[XXXII]

 

nonpertanto considerare che il pittore si è dovuto servire per l’opera sua di una luce artificiale e precisamente di quella a petrolio, la quale essendo gialla lo ha fatto cadere in errore.

            Il Sipario, opera del valente Prof. Alfonso Chierici reggiano, rappresenta: Il Genio delle Arti italiane che loroaddita i più chiari uomini d’Italia in ogni età,  ne’ quali guardando,  s’ispirano esse e risorgono. – Dire degnamente di questo lavoro, che certamente potrebbe più che sipario chiamarsi quadro storico, è opera superiore alle mie forze, e il descriverlo come meriterebbe importerebbe da sé solo un numero troppo grande di pagine, senza che io per questo riescissi a darvene un concetto esatto. Ai miei concittadini poco interesse potrebbe destare tale descrizione perché tutti hanno avuto agio di ammirarlo; in quanto ai forestieri, ai quali capiterà fra le mani questo mio scritto, dirò solo: venite e vedetelo, poiché merita esso solo la spesa e la fatica di un viaggio (1).

            Il secondo sipario o come suolsi chiamare Comodino è invenzione ed opera del Prof. Giovanni Fontanesi pure di Reggio. Rappresenta una danza di Pastori 

 

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(1) Fra gli uomi illustri che figurano in questo sipario si vede alla spalla del Tiziano il Reggiano Cav. Leopoldo Nobili [spazio vuoto] che ragiona con Volta a cui è prossimo il Galilei.

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davanti ad una statua d’Apollo che s’erge in mezzo a ruderi fra terreno incolto e sparso di poche erbusti, cespi, sassi ed altri accessori.

            Il Proscenio è ampio 14 metri e alto 10 – Il Palcoscenico misura 32 metri di lunghezza e 32 di larghezza.

            Il Palcoscenico, in cui vi sono tutti i comodi immaginabili è certamente una delle parti più ammirevoli di questo monumento. In esso, oltre allo sfondo che si presta a qualunque grandioso spettacolo, e allo spazio laterale al di quà delle quinte, conta oltre cinquanta camerini, disposti in quattro piani, per comodo degli artisti, ballerini, coristi, comparse ecc. ecc.

            La soffitta è pure stata condotta maestrevolmente perché i macchinisti possano accedervi e lavorarvi con ogni comodità e sicurezza.

            Pei lavori al Palcoscenico furono scelti i falegnami Ferri e Franceschini ed il fabbro Manfredi tutti reggiani, i quali a spese del Comune furono prima mandati a visitare i principali Teatri d’Europa per imitarne i migliori sistemi.

            Al dispora della soffitta havvi un ampio salone pei pittori, e le scene in esso ultimate, per mezzo di appositi meccanismi e senza che soffrano piegatura alcuna, sono condotti al posto loro destinato sul palcoscenico.

 

 

[XXXIII]

 

            In occasione dell’apertura di questo, per noi, grandioso teatro il Comune impiantò un apposito gazometro per l’illuminazione del palcoscenico e dopo qualche anno tale illuminazione fu adottata per tutto il teatro.

            Non terminerò questa rapida ed incompleta descrizione senza menzionare gli altri artisti reggiani che coadiuvarono l’opera decorativa del Cav. Magnani. Il pittore Prof. Pasquale Zambini diede prova di non comune abilità nei lavori d’ornato del Vestibolo e dell’atrio. Cesare Cervi e Prospero Curti col medesimo Zambini dipinsero la volta dello scalone che mette al Casino; Francesco Ferri la camera d’aspetto per le Signore e Ignazio Vergnanini il Caffè con disegno tutto suo.

            Chiuderò coll’osservare come dopo oltre quarant’anni dalla sua erezione questo fabbricato, nel suo complesso, non abbia nulla sofferto; ma mi permetterò però di rivolgere una calda preghiera agli amministratori attuali e venturi perché sia condotta e sorvegliata con più accurata diligenza la manutenzione degli ambienti e specialmente della sala che nel momento in cui scrivo mi sembra non sia tenuta con quella cura richiesta per la conservazione di un teatro che forma l’orgoglio della nostra città.

            Terminato di descrivere a volo d’uccello, come mi ero proposto, il nostro massimo teatro, ora non resterebbe che fare la storia degli spettacoli in esso dati. Meglio però di quanto io potrei dirne qui sarà pel Lettore lo scorrere la parta 2a dove sono esposti in ordine cronologico tutti gli spettacoli dati in questo Teatro dalla sua apertura a tutt’oggi.

            Tuttavia per non fare cosa incompleta dirò solo dei principali e registrerò i nomi dei più celebri artisti quivi uditi.

            L’inaugurazione del Teatro Municipale fu fatta la sera del 21 Aprile 1857 coll’opera Vittor Pisani del M° Achille Peri Reggiano, versi del M° Francesco Piave, scritta e musicata espressamente per tale circostanza. L’impresa fu assunta dai fratelli Marzi e oltre al Vittor Pisani diedero l’Anna Bolena, il Simon Boccanegra e la Norma. Interpreti di tali lavori i soprani Luigia Bendazzi e la Fortunata Tedesco, il Tenore Pietro Mongini e Leone Giraldoni Baritono; Maestri Concertatori Giuseppe Verdi, Achille Peri e Paolo Giorza. Oltre alle quattro opere suddette furono dati i balli grandi Il Conte di Montecristo e Carlo il Guastatore con Giuseppe Rota Coreografo. In questo corso furono date 39 Rappresentazioni il cui incasso totale, compresa la dote di £ 78500, raggiunse la cospicua somma di £ 157468,94 e così con una media serale di £ 4037,66.

            L’anno dopo nella stagione di fiera, sempre colla medesima Impresa furono date le opere Violetta (Traviata – Verdi), La Norma (Bellini) ed Elda (Donizzetti). Facevano 

 

 

[XXXIV]

 

parte della compagnia di canto la Rosina Penco e la Carmelina Poch soprani e il tenore Luigi Graziani. Le rappresentazioni non furono che 26 e l’incasso raggiunse la soma di £ 97995,51 colla dote però di £ 46000.

            Nell’anno 1859 mentre tutto era pronto per lo spettacolo di fiera, fu sospesa ogni cosa a motivo della guerra per l’indipendenza Italiana.

            Molti altri furono gli spettacoli importanti dati al nostro Municipale e moltissimi gli artisti di cartello che si scritturarono. Mi limiterò ad accennarne i più importanti. – Soprani: Dejean Julienn Eugenie, Vera Lorini, Isabella Galetti-Gianoli, Teresina Stolz, De Maësen Leontina, Ida Benza, Urban Alice, Antonietta Fricci-Baraldi, Luigia Ponti Dall’Armi – Tenori: Bencich Gio:Battista, Raffaele Mirate, Antonio Prudenza, Filippo Patierno, Giovanni Zaccometti, Luigi Bolis, Eugenio Vicini – Baritoni: Saccomanno Luigi, Sebastiano Ronconi, Pietro Silenzi, Zenone Bertolasi, Filippo Bertolini – Bassi: Antonio Garcia, Giulio Petit, Romano Nanetti.

            Gli spettacoli poi che a Reggio faranno epoca sono quelli dati dal Barone Raimondo Franchetti il quale rinunciò anche alla dote che il Comune era solito dare agli impresari.

            Egli ci diede – nel Carnevale 1887-88 L’Asrael (di suo figlio Alberto), il Guglielmo Tell e la Carmen ed il Ballo Excelsior, quest’ultimo dato in modo veramente splendido e sfarzoso; nel Carnevale 88-89 il Mefistofele, la DinorahIl Barbiere di Siviglia e ancora il ballo Excelsior; nel Carnevale 1889-90: RigolettoLucia di Lammermoor e il ballo semi-serio Il Saltimbanco e finalmente nel Carnevale 1892-93 L’EbreaGli Ugonotti e Trecce Nere (del reggiano Vincenzo Gianferrari).

            Il Primo anno furono incassati £ 82872,28; il secondo £ 93578,45; il terzo £ 38365,69 e il 4° 46509.

            Di questi quattro spettacoli il più importante è stato certamente il primo, poiché si dette la prima opera del Barone M° Alberto Franchetti “Asrael”. Alla prima recita di questa grandiosa opera, messa in scena con uno sfarzo straordinario, assistevano molti invitati e personalità artistiche, non che molti corrispondenti di giornali d’Arte e Teatrali italiani ed esteri.

            L’Asrael non fu data che tre sole sere. Lo spettacolo di questo Carnevale 1887-88, fu portato in quaresima a Bologna poi a Firenze, sempre a spese del Barone Raimondo Franchetti.

            Per questi spettacoli il Franchetti scritturò distinti artisti di canto fra i quali mi piace menzionare i segenti: Soprani: Damerini Virginia, Bendazzi Garulli Ernestina, Nadina Bolicioff, Mussiani Rizzoni Giuseppina, Fanny Toresella = Tenori: Mierzwinski Ladislao, Garulli Alfonso, Benedetto Lucignani = Baritoni: Sparapane 

 

 

[XXXV]

 

Senatore = Bassi: Tamburlini Angelo, Rossi Giulio.

            Fra le serate memorabili del nostro Municipale non và certo dimenticata quella del 3 Settembre 1876 nella quale si rappresentava La Forza del Destino ed assisteva allo spettacolo l’in allora Principe ereditario Umberto, venuto a Reggio per inaugurare il concorso regionale agricolo. In tale sera fu portato il biglietto a £ 3 e il posto riservato a £ 5 e si incassarono £ 3557.

            Un altro incasso forte per la nostra città lo si ebbe la sera del 25 maggio 1873 quarta recita degli Ugonottinuova per Reggio. Tale incasso fu di £ 3451; questo avenne per un grande concorso di forestieri specialmente modenesi.

            Non và dimenticata fra gli annali del nostro massimo teatro la serata di Gala datasi la sera del 7 Gennaio 1897 pel centenario della Bandiera Nazionale. In quella sera il Biglietto fu portato a £ 2.50 e £ 2.50 il posto riservato e si incassarono £ 2634,40.

            Fino dall’apertura si solevano dare quattro spettacoli all’anno due di musica e due di prosa. I due di musica nel Carnevale e nel Maggio e i due di prosa nella quaresima e nell’autunno.

            Anche nella parte drammatica si ebbero splendidi corsi di rappresentazioni e distinti artisti.

            La prima Compagnia drammatica che recitò al Teatro Municipale fu quella del Zoppetti diretta da Alemano Morelli nell’autunno 1857.

            Nell’autunno del 1858 venne fra noi la più rinomata Compagnia, che allora percorresse i teatri d’Italia, quella cioè di Bellotti-Bon colla celeberrima artista Adelaide Ristori. Essa diede sei recite con sei Tragedie cioè: Camma (Montanelli), Medea (Maffei), Mirra (Alfieri), Giuditta (Giacometti), Maria Stuarda (Schiller) e Pia De Tolomei (Marenco) – Questa compagnia fu scritturata da un reggiano (F.Bagnoli) che la pagava £ 1000 in oro per sera (1). L’incasso totale compreso il canone dei palchi fu di £ 12469,20 e quindi una media serale di £ 2078,20.

            Molte altre buonissime Compagnie si succedettero che troppo lungo sarebbe enumerarle, mi limiterò perciò ad accennare solo le seguenti:

            1860 Compagnia di Giuseppe Trivelli col celebre Gustavo Modena che diede due sole recite: Luigi XI e Il cittadino di Gand.

            1863 Compagnia di Antonio Stacchini coi celebri artisti Tommaso Salvini e Clementina Cazzola (40 rappresentazioni). Dal Salvini e dalla Cazzola nacque qui in Reggio Gustavo Salvini [a lato: ?] che percorre la carriera del padre e nella 

 

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(1) Così ho saputo da un testimonio del tempo, mentre in un manoscritto in Biblioteca ho trovato che era pagata 2000 zwanziche per recita.

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quale ha acquistato buon nome.

            1874. Pel 4° Centenario di Lodovico Ariosto la Compagnia Emanuel-Pasquali dette 6 rappresentazioni fra le quali L’Ariosto (Anselmi) scritta espressamente per la circostanza.

            1878 Compagnia Italiana di Giacomo Brizzi col celebre artista Ernesto Rossi – 3 recite, 30 Novembre e 1. 2 Dicembre colle produzioni AmletoNerone e Luigi XI.

            1880 Compagnia di Alemanno Morelli e Adelaide Tessero-Guidone, 16 e 17 Marzo colle produzioni Il giovaneUfficiale e Cecilia e il 1° Giugno col Conte Rosso.

            Le quattro stagioni di spettacolo sopra accennate proseguirono regolarmente fino verso il 1870. Da quest’epoca in avanti non sempre si ebbero gli spettacoli drammatici e qualche anno anche la stagione di fiera venne a mancare e l’anno 1886 fu l’ultimo in cui si diede opera in musica nel mese di maggio.

            Nella stagione di carnevale non venne mai meno il solito divertimento musicale; il primo anno che mancò fu il 1890-91 e il secondo 1894-95 fino ad oggi che scrivo.

            L’ultima rappresentazione di prosa fu data dai Filodrammatici Reggiani la sera del 16 Maggio 1886.

            Le doti che il Comune era solito dare per la stagione di Fiera si inaugurarono per l’apertura colla bella somma di £ 78500, il secondo anno £ 46000 e nei seguenti £ 43000 per diminuire in seguito fino a £ 16000 e poi aumentarono ancora a seconda della importanza dello spettacolo.

            Di carnevale la prima dote fu di £ 12922 e negli anni seguenti di 10 mila, poi di 12 ed anche qualche anno di 14 o 18 mila. Ma nei quattro ultimi spettacoli del Franchetti avendo questi rinunciato alla dote, abituò il Comune a non pensare più alla dotazione degli spettacoli tranne qualche meschino sussidio di tre o quattro mila lire, cosicché ora le imprese si presentano ben difficilmente.

            Un altro danno che dagli spettacoli Franchetti ebbe il nostro Teatro, fu la soppressione della Direzione Teatrale, da allora risorta solamente nel Carnevale 1898-99. Il nostro Municipio non doveva mai, per qualsivoglia considerazione, rinunciare ad avere i suoi rappresentanti in Teatro, responsabili del buon andamento degli spettacoli non solo ma che dovevano avere per scopo la tutela e la conservazione di un tale importante fabbricato, e che anche avrebbero certamente curato (e questo doveva essere il loro scopo principale) che non venissero mai a mancare i soliti spettacoli o quanto meno quello di Carnevale.

            Visto che la mancanza di dote rendeva difficile l’apertura del teatro al solito spettacolo di Carnevale, le masse Orchestrale e Corale si unirono formando una Società Cooperativa Filarmonica avente per scopo principale l’assunzione degli spettacoli qualora non 

 

 

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si presentasse nessun impresario. Diffatti nei Carnevali 1895-96, 96-97 e 97-98 tale Società assunse l’impresa dello Spettacolo al Municipale. I due primi anni funzionò abbastanza bene, ma nell’ultimo, sia per la scelta degli spettacoli, sia per le condizioni economiche di quell’annata o che altro gli affari andarono male e il non vistoso capitale sociale se ne andò in fumo.

            Anche nella stagione di Carnevale 1898-99 la Cooperativa Filarmonica, dopo aver decretato il reintegro del capitale sociale aveva deciso di aprire il teatro Comunale, ma essendo venuto meno il solito sussidio del Comune (£ 3000!!) poiché il Consiglio non volle approvarlo e per essere quasi abortita la sottoscrizione pubblica, dovette rinunciare all’impresa.

            All’ultimo momento però si presentò l’impresario Sigr Ottorino Paterni il quale senza dote, senza sottoscrizione e col canone minimo pei palchi, ci dette un discreto spettacolo e se non riuscì a guadagnare nemmeno subì una perdita.

            Nell’anno 1899, ricorrendo al 30 Aprile il centenario di Lazzaro Spallanzani, si formò un comitato pei festeggiamenti di tale avvenimento. Una società di reggiani decise pure di aprire in questa occasione il Teatro Municipale con spettacolo di musica. Fu data infatti la Manon Lescaut del M° Puccini; ma per la scelta di quest’opera, data da poco tempo e che anche allora non piacque molto, l’impresa non fece buoni affari, sebbene avesse scritturato il tenore Pietro Zeni.

 



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§ 7.°

Teatro del Seminario e Collegio

 

             

            Il Concilio di Trento decretò nel 1546 la istituzione dei seminari per educare e mantenere giovani che si incamminassero nella via del sacerdozio; ma a Reggio soltanto nel 1613 fu fondato un seminario per opera di Monsignor Vescovo Claudio Rangoni. Tale seminario cominciò con cinque chierici e fu tenuto in Vescovado, ma, mancando di mezzi propri, languì, fino a che nel 1650 cessò e stette chiuso per 24 anni.

            In questo periodo di tempo (1650-1674) non mancarono benefattori al Seminario per dargli una stabile esistenza. Il Conte Lattanzio Ruggeri lo istituì suo erede e il Cardinale Rinaldo d’Este prima di morire avevagli donato il convento di Monte Falcone con tutte le sue ragioni in San Polo.

            Colle entrate di quei due lasciti e il cumolo delle medesime durante il periodo di sospensione suddetto, si poté riaprirlo nel 13 Agosto 1674 con dieci allievi ed anche questa volta ebbe sede in vescovado.

            Aumentato di beni e di alunni, nel 1700 fu acquistata parte del Palazzo Bussetti in via Emilia di fronte al Monte di Pietà e ivi fu trasportato il Seminario nel 1722 dopo averne adattato il locale per quell’uso.

            In seguito si pensò d’istituire un collegio secolare da unirsi al Seminario; ma tante erano le richieste per darvi allievi da educare che il locale era troppo ristretto, e per allargarlo fu fatta una convenzione enfiteutica colla Eredità Bussetti, per la quale l’intero palazzo fu destinato ad uso di seminario e di collegio.

            L’apertura del nuovo Collegio avvenne nel 1750 sotto il vescovado Castelvetri e l’anno dopo con molte spese si fissarono nel piano nobile del maestoso Palazzo Bussetti le pubbliche scuole di legge, medicina e matematica e tutte quelle del Liceo onde fossero comode ai Convittori e ai Seminaristi.

            Nei programmi per l’ammissione nel Seminario-Collegio che da quell’anno e in seguito si pubblicarono, è pure indicata l’istruzione del Ballodella schermadel suono e simili esercizi ed è pure fatto cenno di rappresentazioni sceniche e di accademie.

            Eravi perciò nel fabbricato stesso una sala destinata a dette rappresentazioni; ma in essa, nel 1765, essendosi trasportata la Cappella Domestica, per riparare alla mancanza della sala, si cominciò nel palazzo medesimo la costruzione di un teatro che in breve fu compiuto.

            Questo teatro, ora affatto distrutto, era stato edificato per le annuali carnevalesche rappresentazioni 

 

 

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e pei saggi e le accademie scolastiche dei Convittori, su disegno del valente Architetto Andrea Tarabusi. Era elegante armonioso e capace di più che seicento persone che comodamente vi si potevano disporre nella platea e nei tre ordini di logge ond’era cinto. Aveva pure un vasto e ben ideato palcoscenico provvisto di tutti gli attrezzi ed accessori indispensabili alle rappresentazioni sceniche.

            Ma nel 1796 il Seminario-Collegio si scioglieva al sorgere della Repubblica Cisalpina e stette chiuso e sospeso per 13 anni. Fu riaperto, per opera del Vescovo Monsignor d’Este, nel Gennaio 1809, occupando solo la parte davanti del Palazzo Bussetti e nel 1815 Francesco IV destinava la parte posteriore del medesimo palazzo a scuole pubbliche.

            Volendo aprire un Collegio Convitto di giovinetti Civili e Nobili sotto la direzione della Compagnia di Gesù, il Duca Francesco IV veniva ad una transazione col Seminario Vescovile al quale cedeva completamente il Palazzo Bussetti nella parte in via maestra, di più aggiungeva, comperandola a proprie spese, la casa Carri e nella parte a nord del Palazzo suddetto istituiva questo Collegio-Convitto. In mezzo a queste cessioni e compensi rimase senza destinazione il Teatro del Collegio-Seminario, che sebbene dal Duca, con Chirografo 8 Giugno 1830, fosse dichiarato di proprietà del Comune rimase pur sempre in mano del Seminario. Pare che le cose rimanessero così fino al 1840, nel quale anno il Seminario ne acquistava definitivamente la proprietà dal Comune per £ 4741.

In questo Teatro del Seminario-Collegio vi furono pure dati, oltre alle rappresentazioni dei Convittori e Seminaristi, anche altri spettacoli, fra i quali non va certo dimenticato quello datosi nel 1765, per una straordinaria solennità dagli Accademici Ipocondriaci alla presenza di Maria Teresa Cybo d’Este nella quale occasione si eseguì, con grande sfarzo, la cantata a quattro voci I profeti al Calvario di Vincenzo Manini reggiano, musicata dal veronese Giuseppe Gazzaniga.

Il Conte ritorni nei suoi annali teatrali all’anno 1809 registra: “Se non erro o in questo o nell’anno precedente una compagnia di scarsi ed oscuri attori, prima timida nel Teatro del Collegio, ma incoraggiata, credé di poter spiegare le penne ad un volo più alto e si trasferì al Teatro grande” (1). Io posso dire invece che fu nell’Agosto del 1808 e la Compagnia Comica era diretta da Francesco Battistini.

Nel Carnevale del 1814 non essendo libero il Teatro Comunale, pei restauri e abbellimenti che vi si faceva-

 

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 (1) Memorie degli spettacoli rappresentati in Reggio dall’anno 1807 all’anno 1824 pag. 16 – Tipi del Nobili e Comp. Bologna 1826.

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no in occasione dell’arrivo del Duca Francesco IV, fu rappresentato nel Teatro del Seminario-Collegio il SerMarcantonio opera buffa in musica.

            Il rammentato Collegio Convitto gesuitico ebbe vita fino al Giugno 1859 nel quale anno pel cambiamento di governo si sciolse il Collegio colla espulsione dei Gesuiti.

            Nel 1860 nello stesso locale si aprì un collegio militare alla Direzione del quale fu destinato il Prof. Bernardino Catellani. Anche in questo nuovo istituto havvi un locale ridotto a Teatrino capace di 300 persone circa e dove i Convittori in Carnevale hanno date rappresentazioni in prosa e in musica a cui erano invitati le autorità, i parenti degli alunni, i professori ecc.

 

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                                                                               § 8.°

Teatro di Corte

 

             

            Nel palazzo di Cittadella in Reggio (sede del Governatore) eravi un’ampia sala dove godevansi talvolta i Principi in loro dimora in questa città dare alcuni divertimenti o feste di ballo.

            Pochissime sono le notizie potute raccogliere su questa sala e sui divertimenti dativi prima del 1700; solo il Fantuzzi registra nella sua Cronaca Teatrale manoscritta che si conserva nella Biblioteca Comunale di Reggio, che l’anno 1672 di Carnevale vi fu data una farsa drammatica: La Gara del Genio che servì d’introduzione ad un balletto fatto da dodici dame in occasione di una bella Festa da Ballo. (Il libretto fu stampato da R.Vedrotti 1672.)

            Il 12 Febbraio 1720 il principe ereditario Francesco Maria figlio del Duca di Modena Rinaldo I. si era ammogliato, pei maneggi del Re d’Inghilterra e del Conte Selvatico da Padova precettore del Principe e poscia favorito del Duca, colla Principessa Reale Carlotta d’Aglae di Valois figlia del Duca d’Orleans Reggente di Francia.

            I novelli sposi entrarono in Modena il 29 Giugno accolti con feste splendidissime.

            Al Duca Rinaldo, uomo d’austeri principii, non eran piaciute le nozze del figlio, poiché la sposa veniva 

 

 

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da una corte, come quella di Francia, nota per soverchia libertà in fatto di costumi.

            Carlotta, capricciosa, amante di nuovi usi, seguace di una morale rilassata, costrinse il suocero ad allontanarla da Modena, onde il 28 Dicembre 1721 i giovani sposi vennero ad abitare a Reggio accompagnati dal Francese Cardinale di Rhoano e presero stanza nel suddetto palazzo di Cittadella (essendosene fatto traslocare il Governatore), allestito ed abbellito per la circostanza dal Duca Rinaldo stesso.

            Colla occasione che i principi sposi erano dediti alle rappresentazioni Teatrali, Reggio si divertiva. Nel Febbraio 1722 due teatri erano aperti per recite, uno nella casa della Siga Contessa Isabella Tassi-Arlotti con l’opera Bajazette, l’altro in casa del Conte Ippolito Malaguzzi con l’Alessandro ed in ambedue furono spettatori i Principi e la loro Corte. – Le opere poi date nel teatro Comunale erano delle più spettacolose, e nell’Agosto recitavasi alle Due Torri (Villeggiatura della Principessa) dai Cavalieri e Paggi di Corte non che dai principi sposi La scuola delle donne, commedia di Molier con intermezzi di balletti nei quali si distinsero il Marchese Gherardini ed il francese l’Evesque con abiti bellissimi.

            La Principessa specialmente addimostrava un genio particolare e sensato per le recite e per la musica, e talvolta godeva nella sala del suo Palazzo di Cittadella di recitare ella stessa colle sue Dame e Cavalieri – così si fece la sera del 5 Settembre 1722 rappresentandosi il Berengario ossia l’Adelaide.

            Dal buon esito di questa recita nacque la felice idea in quei Principi di formare nel loro Palazzo un novello teatrino addattato ad essi ed alla loro Corte. Furono tosto gettate le fondamenta del nuovo edifizio (10 Ottobre) e in men d’un mese il teatro fu ridotto a perfezione e con bell’ordine intorno di palchetti, cosicché poté inaugurarsi il 4 Novembre recitandosi dai Principi, Cavalieri e Dame L’Ifiginia di Racine, con intermezzi di balletti, decorazioni magnifiche e pezzi di scelta musica.

            Nell’autunno del 1723 si diede L’Enigma disciolto, Opera pastorale, (datasi in quello stesso anno al Teatro Municipale), colla musica diretta da Antonio Tonelli e da D. Allegro Allegri e con ariette da lui composte; e fu la prima operetta in musica sentita in quel particolare teatrino.

            Da questo spettacolo in poi non trovo più menzionato alcun altro divertimento ma è a supporsi che altri molti ne siano stati dati non solo nel tempo che ebbero dimora in Reggio i due summenzionati Principi, ma anche nel lungo periodo che quì ebbe stanza la Duchessa Maria Teresa Cybo.

            Maria Teresa, d’Alberigo Cybo Malaspina Duca di Massa e Carrara, nacque il 29 Giugno 1725. Era ric=

 

 

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chissima e sposò nel 1741 Ercole III d’Este Principe ereditario del Ducato di Modena, Reggio. Queste nozze non furono felici. Essa era saggia e di carattere molto dolce, ma alle volte presuntuosa e difficile a cedere da’ suoi impuntamenti. Ercole non amava soltanto la moglie e si fingeva geloso e per non stare con essa accampava il pretesto della propria complessione resa gracile dai disordini.

            Molte furono le sue favorite e fra le altre è celebre una certa Chiara Merini da lui creata Marchesa di Scandiano.

            La gelosia destò le prime discordie fra gli sposi. Nulla si poté tener nascosto, tanto che i coniugi si separarono. Maria Teresa si ritirò a Reggio ove passò il restante di sua vita ed ove morì il 25 Dicembre 1790 in conseguenza di una rottura ad una coscia per una caduta nel suo appartamento.

            E’ certo che durante la lunga permanenza a Reggio di questa Duchessa (che governava anche indipendentemente dal marito l’avito Ducato di Massa-Carrara) coll’occasione di avere nel proprio palazzo un teatro vi abbia dato o fatto dare spettacolo per divertire sé e la propria Corte, ma nessuna memoria su ciò mi è 

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(1) Vedi Litta: Famiglie Nobili Italiane.

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stato dato di trovare e neppure per molti anni dopo la sua morte.

            Solo nel libro I Teatri Reggiani a pag. 51 e nell’altro Illustri Reggiani a pag. 645 ambidue di Enrico Manzini è detto che nel 1820 “la Compagnia di dilettanti Reggiani diretta dal Ruozi Zaverio dava pubbliche rappresentazioni nel Palazzo di Cittadella.” Non so poi se esistesse ancora a quest’epoca il Teatro di Corte, e se le recite dirette dal Ruozi fossero date in esso o in altro locale del Palazzo medesimo non avendo potuto rintracciare nulla sulla sua fine. Quello che sò di certo è che quel Palazzo fu convertito in Caserma sotto l’ultimo Duca Francesco V. e che fu demolito nell’occasione che l’antica Cittadella fu convertita in pubblico giardino o passeggio poco tempo dopo il 18[due cifre mancanti]

 

 

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§ 9.°

Arena Nazionale

e Teatro Diurno Sociale

 

Cambiatosi finalmente nel 1859 forma di governo nella nostra penisola e fattesi ormai più facili le comunicazioni da provincia a provincia, le compagnie drammatiche, equestri o d’altro, giravano più spesso i teatri d’Italia. Queste compagnie accresciute di personale, avevano di conseguenza aumentate le spese anche pel maggior lusso nei vestiari e negli apparati scenici. Perciò ben raramente potevano difendersi al nostro Municipale per l’aggiungersi dell’ingente spesa serale occorrente per aprirlo al pubblico; oltre a ciò si deve considerare ancora che esso non era per nulla adatto nella stagione estiva per l’ecessivo caldo che vi si accumulava. Era quindi sentito il bisogno di un altro teatro più popolare e al quale si potesse accedere con minor spesa e nel quele le compagnie potessero agire con minore dispendio.

Nella primavera del 1861 i cittadini reggiani Prospero e Luigi Curti, Prospero Catellani e Luigi Cartinazzipensarono di fare un teatro in legno, scoperto, per la stagione estiva, e la loro idea fu messa subito in esecuzione. Cotesto nuovo teatro, che fu chiamato Arena Nazionale, sorse nel piazzale davanti al vecchio teatro comunale bruciato dieci anni prima e si componeva della platea e di una Galleria abbastanza comoda e fu inaugurato dalla Compagnia Drammatica condotta e diretta da Giovanni Internari, il giorno 23 Giugno colla commedia del Cicconi Troppo Tardi, datasi di giorno, e con Amelia Principessa di Baden, datasi di sera.

La Compagnia Internari diede un lungo corso di commedie (48) ed anche il riuscitissimo vaudeville Lamascherata dei pagliacci del Codebò; onde il pubblico vi accorse numeroso.

Dopo l’Internari si diedero alcune serate di prestidigitazione poi pel sopragiungere della stagione fredda l’Arena fu chiusa.

L’anno dopo i medesimi soci a cui credo si aggiungesse qualche altro, fecero costruire, nella vecchia Cittadella vicino al fabbricato del comunale macello, un Teatro diurno, che a differenza del precedente fu fatto in laterizi e che assunse il nome di Teatro Diurno Sociale.

Il disegno di questo Teatro fu opera del Prof. Ing. Giulio Bergonzi ed imprenditori della costruzione del medesimo furono Masini Prospero e Prospero Marchiò sotto la direzione del Bergonzi stesso. Alla costruzione del fabbricato servirono i materiali ricavati dalla demolizione dell’antica Porta di S. Pietro e per l’allestimento del palco scenico si adoperò il materiale del chiuso teatro 

 

 

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Comunale Filodrammatico (Vedi §. 5°)

Questo teatro si componeva della platea, abbastanza spaziosa, tanto che serviva anche per Circo Equestre, e di due Gallerie. Ai lati delle Gallerie vicino al Proscenio eranvi alcune divisioni che potevano contenere da 4 a 10 persone e che denominavansi palchi. Come il precedente esso era scoperto e nelle sarate rigide o nelle recite di giorno per difendere il pubblico dal sole veniva coperto da un ampio velario.

Fu portato a compimento in un mese ed inaugurato dalla Compagnia Equestre di Emilio e Natale Guillaume nell’Aprile del 1862

Questo teatro popolare, per la sua posizione, per la mitezza dei prezzi d’ingresso, per la nessuna pretesa di lusso in chi vi andava e pei buoni spettacoli in esso dati, fu caro ai reggiani che sempre numerosi vi accorsero e sempre vi si divertirono.

Fra le compagnie in esso udite solo citerò le principali e cioè: Drammatiche – Sterni, Stacchini, Romagnoli, Capodaglio, Salussoglia, Borisi, Casilini-Biagi-Rosa, Pietriboni e Bellotti Bon N. 2 – Equestri – Guillaume, Gillet e Fascio. Vi si rappresenterono anche alcune opere, come il PipeletLe precauzioni e Le Educande di Sorrento. Per ultimo non tralascio di menzionare la Compagnia di Operette di Filippo Bergonzoni che per la prima ci diede LaFiglia di Madama Angot e che tutte le sere doveva rimandare molti degli accorsi per non esservi più posto.

Ma, come abbiamo detto in principio, codesto Teatro Diurno Sociale fu costrutto con materiale vecchio, onde dopo di aver servito per quindici anni ai pubblici spettacoli, non presentando più una grande sicurezza, si pensò a costrurre il Politeama Ariosto che fu inaugurato nel 1878.

L’ultima compagnia che agì al Teatro Diurno fu la Drammatica diretta da Carlo Borisi, poi il fabbricato fu venduto ad una società che lo ridusse ad uso di Bagni pubblici, a cui serve ancora, conservando sempre la medesima facciata.

 



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§ 10.°

Teatro Croppi

 

Fra i minori di Reggio questo piccolo ma grazioso Teatro merita forse più di ogni altro di essere menzionato a motivo del nobile e speciale scopo per cui fu costruito.

Dopo il 1820 a Reggio non si era potuto formare nessuna società filodrammatica perché i governi che si succedettero nel nostro Ducato non lo permisero mai, come meglio avremo occasione di vedere in altra parte di questo lavoro e precisamente al paragrafo delle Società Filarmoniche e Filodrammatiche.

Solo nel 1865 si costituì una società filodrammatica fra gli operai ed artieri, i quali si diedero alacremente all’istruttivo e dilettevole esercizio della recitazione. Essi furono soccorsi ed incoraggiati da un bel numero di cittadini i quali si unirono ai primi nella qualità di soci contribuenti e così ebbe vita la Società Filodrammatica degliArtisti che diede la sua prima recita in un locale in via Farini.

Della raccolta dei volenterosi artieri fu promotore e capo certo Faustino Borretti di professione barbiere ed amantissimo dell’arte drammatica. Ma la Società non avendo locale proprio ove formare un teatro, fu costretta per qualche anno di passare dall’una all’altra casa che avesse ambienti adatti allo scopo, quantunque non fosse sempre facile trovarne, onde vedeva in continuo pericolo la propria esistenza.

Ad evitare quindi tale inconveniente, nell’anno 1869 venne in pensiero ad alcuni soci di costruire un apposito teatro esclusivamente per la società, la quale in pochi anni aveva già fatto un soddisfacente progresso. A questo fine, decisa la emissione di apposite azioni, e formata una seconda serie di soci, detti azionisti, tosto si dette mano all’impresa dell’edificando teatro nella casa di proprietà del Sigr Carlo Croppi (posta in via Emilia a S.Pietro), il quale sotto certi stipulati patti, cedette il locale di una vecchia e disusata Chiesa che era adoperata da tempo ad uso di fabbricazione di mobili in legno.

Il pensiero di questi ben intenzionati azionisti (la maggior lode va data al Presidente della Società stessa Conte Prospero Liberati Tagliaferri) fu quello di procurare appunto nella Città alla classe degli operai ed artieri una onesta ed educatrice ricreazione, la quale potesse anche offrire a coloro che ne avessero favorevoli disposizioni un istruttivo mezzo di iniziarsi e percorrere con fortuna ma onorata e lucrosa carriera nell’arte drammatica, nobile anch’essa al pari di ogni altra quando non è profanata né avvilita dalla ingordigia di disonesti guadagni. E così quei benemeriti signori pensarono 

 

 

[XXXXVI (ma è scritto XXXXIV)]

 

di convertire in un vero vantaggio ciò che prima non era che un semplice divertimento e cambiare in tal modo in una istituzione permanente la momentanea, benché lodevole ricreazione. Come pure ebbero in animo di sempre più concorrere, con questo mezzo, alla civile educazione della classe operaia ed artiera, ed al morale rialzamento di coloro, i quali nel presentarsi sulla scena si sarebbero guadagnata la stima e la simpatia dei concittadini.

Il teatro fu inaugurato dai dilettanti della Società suddetta la sera del 21 Febbraio 1870 e l’esito ne fu lietissimo e molto soddisfacente. Ma, come spesso succede delle buone cose, anche questa nuova e, nel suo spirito, filantropica istituzione, ebbe ad urtare contro la malevolenza degli invidiosi e degli oppositori, per cui la Società si sciolse. Gli azionisti, oltre la perdita del denaro impiegato nella costruzione del Teatro, ebbero il dolore di vedere sfumate e perdute le loro buone ma non abbastanza ben comprese intenzioni, e venuti ad un accomodamento conciliativo col proprietario sovra lodato, rescissero il contratto e a lui restituirono il teatro.

Dalle migliori Compagnie che vennero nei primi anni a dare rappresentazioni in questo teatro furono eseguiti per la prima volta i lavori principali dell’epoca, come il Nerone del Cossa, La partita a scacchi del Giacosa, Cause ed effetti del Ferrari, il Rabagas del Sardou. Vi fu pure eseguito egregiamente Il Matrimonio Segreto del Cimarosa e diverse altre opere, perché questo teatro quantunque piccolo si presta ugualmente bene a rappresentazioni tanto drammatiche quanto musicali; essendo stata intenzione degli azionisti costruttori che esso, oltre che servire alla Società, fosse utilizzabile anche per spettacoli dell’uno e dell’altro genere, per trarne profitto, prima per rimborso delle spese di costruzione, poscia per fondo sociale.

L’Ingegnere che lo disegnò e sopraintese alla fabbrica fu l’ottimo ed ora defunto Ingre Comunale Antonio Tegani. La decorazione per la parte di stucchi e bassi rilievi fu affidata ai Flli Sassi e per la pittura a figura della volta al Prof. Zambini.

La sala, come abbiamo detto, è piccola, ma molto alta e attorno sonvi due gallerie con alcuni palchi vicino al proscenio e al disopra delle due gallerie trovasi il Loggione. La sua entrata, per tre porte, è situata sotto i portici di Via Emilia S.Pietro quasi di fronte al Distretto Militare.

Morta la Società Filodrammatica Artistica nel 1871, ne era già sorta un’altra “La Società Filodrammatica Ariosto” che dava le sue rappresentazioni nella sala Superiore del vecchio Teatro Comunale. Essa nel 

 

 

[XXXXVII]

 

1879 prese in affitto e trasportò la sua sede nel Teatro Croppi e vi stette fino alla sua morte avvenuta nel 1883.

Istituitasi nel 1892 una nuova Società col titolo di “Circolo Filodrammatico Reggiano” anch’essa prese in affitto questo teatro e vi diede varie rappresentazioni, ma dopo un anno si sciolse.

In questi ultimi tempi il Teatro Croppi ha servito a qualche rara accademia o recita di dilettanti; ma presentemente il suo proprietario Sigr Giuseppe Croppi ben difficilmente ne accorda l’uso.

 

 

§ 11.°

Politeama Ariosto

 


L’Ingegnere Achille Grimaldi, Ispettore di scena della Società Filodrammatica Ariosto fino dalla sua formazione e che aveva ridotto l’antico teatro comunale Filodrammatico (Vedi §. 5°) per la detta società, visto che, verso il 1877, il Teatro Diurno Sociale non presentava più sicurezza per il pubblico per le ragioni già esposte in fine del §. 9°, concepì l’idea e delineò un prgetto di Politeama, incoraggiato anche a questa impresa dall’egregio Cav. Avv. Federico Ferri Presidente della suddetta Società Filodrammatica.

Secondo questo primo progetto l’ossatura del Politeama, da erigersi sulle fondamenta del vecchio teatro co=comunale, era quasi tutta in ferro; la platea ampia perche si allargava anche sotto l’area dei palchi essendo il piano del 1° ordine elevato a non meno di m. 2,30 da quello della platea stessa poggiando sopra svelte colonnette di ghisa. Gli ordini dei palchi eran due e al disopra di essi si elevava un’ampia 

 

 

[XXXXVIII]

 

galleria.

Il Politeama, così concepito, era dotato di molta aria e luce, poiché tutta l’ampia parte centrale della volta, del diametro di 13 metri, si scopriva col muoversi meccanicamente scorrendo sopra apposite guide, e così il teatro poteva servire benissimo anche nella stagione estiva e per recite di giorno.

Tale progetto presentato al chiarissimo Prof. Cesare Costa ed al distintissimo decoratore Ferdinando Manzini di Modena, nel riscosse la piena approvazione, sicché invogliò il detto Presidente Ferri e non pochi altri reggiani a tentare di mettere assieme una società per la sua esecuzione.

Dietro iniziativa dell’ora Senatore N. U. Ulderico Levi si costituì un comitato per questo scopo; ma siccome la spesa per l’esecuzione di tale primo progetto, dalle perizie fatte, risultava di oltre 100 mila lire, si credette impossibile attuarlo e venne incaricato lo stesso Ingre Grimaldi ad elaborarne un altro di minor spesa e precisamente tale che non sorpassasse le 60 mila lire di spesa.

Fissato così questo limite ristrettissimo, si imposero anche al predetto Ingegnere parecchie altre considerazioni, cioè che il Politeama presentasse una galleria, con ringhiera in ferro, poco elevata dal piano della platea e sporgente più dei palchi, che sopra di questa vi fosse un ordine di palchi dotato ciascuno del suo retropalco; e finalmente sopra i palchi un’altro spazio circolare diviso in due piani, nell’inferiore dei quali vi fosse una seconda galleria e nel superiore una loggia elevata due metri su la predetta seconda galleria.

Con tali disposizioni il Comitato si era prefisso di soddisfare a tutte le esigenze del pubblico e di rendere accessibile a tutte le borse gli spettacoli del politeama, avendo in animo di far si che vi fossero prezzi decrescenti nei diversi ordini delle gallerie, e che nella loggia vi si potesse accedere con una spesa tenuissima.


 

L’Ingegnere Grimaldi, date le prescrizioni imposte dal Comitato, ebbe a superare non poche difficoltà. Si noti come la condizione posta al medesimo che la prima galleria sporgesse nell’interno della sala sensibilmente più dei palchi e questi più della seconda galleria abbia reso apparentemente minore della vera l’ampiezza della sala a chi guarda dalla platea; mentre man mano che si ascende nell’ordine dei palchi e poscia nella seconda galleria, il teatro si mostra qual’è, sempre più grande.

È pure da osservare che nella esecuzione del progetto, 

 

 

 

 

 

 

[XXXXIX]

 

a motivo della estrema economia imposta all’architetto (volendosi nelle suddette 60 mila lire comprendere anche le spese di decorazione, arredo del palcoscenico ecc.) si ommise la costruzione di un corridoio curvilineo nella galleria superiore, dimodoché guardando dalla platea la detta galleria, presso la sua estremità anziché i muri internamente curvi come dovrebbero essere, si veggono i muri rettilinei esterni, con grave danno dell’estetica. A danno dell’estetica ha pure contribuito molto un altro fatto avvenuto alcuni anni dopo l’apertura dello stesso Politeama: la soppressione cioè della loggia. Gli amministratori di questo teatro si accorsero che, sia per la qualità di pubblico che frequentava detta loggia, sia perché gli inservienti non potessero prestare la debita sorveglianza, molti spettatori da questa si calavano nella seconda galleria, sebbene fosse alta due metri e difesa da parapetto in ferro, recando gravi disturbi agli accorrenti alla galleria superiore, cosicché il pubblico cominciò a disertarla per non trovarsi immischiato alla ragazzaglia.

Non è men vero però che tale soppressione ha deturpato l’aspetto della sala e molti che non conoscono questo fatto non si sanno rendere ragione della grande altezza della seconda galleria.

Malgrado la cifra estremamente modesta fissata dal comitato promotore per rendere possibile l’esecuzione del progetto per azioni, il politeama non si sarebbe potuto costruire non essendo stato possibile trovare altro che 70 sottoscrittori a £ 600 cadauno, se non veniva in aiuto del Comitato stesso l’inesauribile generosità della Nobil Casa Levi, avendo il Sigr Roberto Levi donato 15mila lire per completare la somma occorrente, mentre il Senatore Ulderico Levi dovette rendersi mallevadore verso gli azionisti del rimborso delle azioni.

L’apertura del Politeama Ariosto (come venne intitolato) ebbe luogo la sera dell’11 Maggio 1878 dopo soli 10 mesi dalle prime fondazioni dei muri e fu inaugurato con un corso di Operette della brava Compagnia di Filippo Bergonzoni, prima delle quali il Giroflè-Giroflà.

A meglio dimostrare l’esito di tale inaugurazione mi piace quì riportare alcuni articoli tolti dal giornale L’Italia Centrale di quell’epoca:

Dichiarazione – Riceviamo e pubblichiamo:

L’apertura del Politeama Ariosto soddisfa ad un bisogno al quale ha sino ad ora provveduto in modo insufficiente il Teatro Diurno Sociale. I proprietari di questo hanno perciò deliberato di tenerlo chiuso, non essendo conveniente per alcun riguardo, né forse economicamente possibile il tenere aperti due teatri per spettacoli congeneri. Essi ritengono di fare così cosa gradita ai 

 

 

[L - 50]

 

loro concittadini, di rendere omaggio alla generosità dei benemeriti azionisti del Politeama e di dare prova di amicizia e simpatia al Nobile Commendatore Ulderico Levi che promosse e rese possibile così utile impresa.”

Italia Centrale – Sabato, 11 Maggio 1878 N. 111

 

 

“Sabato sera, siccome è stato annunziato, si è fatto l’apertura di questo nuovo Teatro dalla valente Compagnia Bergonzoni con l’operetta Giroflè-Giroflà. – Il pubblico vi accorse abbastanza numeroso specialmente alla platea e alla 2a Galleria. Il giudizio di esso sulla sala è stato dei più favorevoli. Prima che la rappresentazione incominciasse si diedero gli spettatori con alti battimani a volere al proscenio l’egregio architetto Ingr Grimaldi, il quale più volte poi fu costretto a mostrarsi, salutato sempre da imponente ovazione.”

Italia Centrale – Sabato, 13 Maggio 1878 N. 112

 

 

“Il Prof. Grimaldi con tale opera architettonica seppe procacciarsi l’approvazione de’ suoi concittadini. Le buone proporzioni colle quali fu costrutta la sala principale, la volta, il lucernario, nonché l’archivolta della bocca d’opera congiunta ai piedritti con dolcezza di linee che rendono tale unione più graziosa all’occhio, unite d’altronde alla leggerezza dell’insieme per le costruzioni in ferro e la modesta decorazione producono un tutto sì allegro, gentile e grazioso che lo spettatore non può a meno di trovarsi soddisfatto. – Aumenta ancora il merito dell’Architetto se si riflette come esso abbia saputo condurre a termine un’opera sì comendevole con una spesa relativamente modesta non allontanandosi punto al preventivo fissato.”

Italia Centrale – 20 Maggio 1878 N. 118

 

 

Il comitato esecutivo in seguito alla buona riuscita del Teatro deliberò, che l’autore del Politeama avesse il diritto d’ingresso libero a tutti gli spettacoli del medesimo, e in secondo luogo incaricò l’insigne letterato Prospero Viani a stendere una epigrafe a ricordo del fatto e della munificiente cooperazione dei Nobili Fratelli Levi; epigrafe che qui si riporta, e che incisa in lastra di marmo doveva essere collocata sopra la porta dell’Atrio, ma che per eccessiva modestia del munifico Commre Levi venne da esso ritirata e ora trovasi in sua casa.

 

SOPRA L’AREA D’ALTRO TEATRO ARSO L’A. MDCCCLI

CONCESSA DAL COMUNE

LXX REGGIANI

PROMOTORE E MALLEVADORE ULDERICO LEVI

DONANTE ROBERTO LEVI XVM LIRE

ARCHITETTO ACHILLE GRIMALDI

FECERO EDIFICARE

 

 

[LII (assente la numerazione LI)]

 

A COMODO D’OGNI ORDINE DI CITTADINI

AD ORNAMENTO DELA PATRIA

MDCCCLXXVIII

 

Alla Compagnia d’operette di Filippo Bergonzoni succedette un grandissimo numero di compagnie di ogni genere fra le quali solo accennerò le principali:

Compe Drammatiche: Pietriboni = Aliprandi-Rosa = Zerri-Lavaggi = Leopoldo Vestri = Luigi Monti = Giuseppe Palamidessi = Nazionale = Achille Dondini = Adelaide Tessero e Ettore Paladini = Cesare Vitaliani = Zago e Borisi = Giuseppe Rizzotto = Ferravilla = Maggi = Cesare Rossi = Ermete Novelli = Ferrucco Benini ecc.

Comp. di Canto: Il Violino del Diavolo (colle sorelle Ferni) = Comp. d’opere Buffe di Pietro Cesari = Il Barbiere di Siviglia = Tutti in maschera = Norma = Trovatore = Lucrezia Borgia ecc.

Comp. d’Operetta: Gaetano Tani = Pietro Franceschini = Bruto Bocci = Antonio Scalvini = Giovanni Gargano = Forlì = Raffaele Scognamiglio = Maresca = Crescenzio Palombi ecc.

Circhi Equestri = Steckel = Flli Amato = Guillaume = Wulff = Zaeo = Capitain James ecc. 

Eccentriche e Varietà: Flli Girards = Chiarini = Mandolinisti Romani = Nani ecc.

Ma mentre principale scopo del Comitato promotore per l’erezione di questo Teatro era stato quello di renderlo accessibile a tutte le borse, oggi i prezzi per accedere al Politeama sono troppo alti, quindi le pretese del pubblico sono in proporzione della spesa e molte, per non dire moltissime volte succede che le Compagnie che ivi agiscono non sono tali da soddisfare queste giuste pretese e perciò avviene bene spesso che gli accorrenti agli spettacoli sono pochi. Ne viene di conseguenza che anche quei pochi non si divertono per la mancanza di pubblico, poiché il teatro quasi vuoto rende malinconia e le compagnie fanno cattivi affari, e una volta partite ben difficilmente ritornano. L’impresario del Politeama bisogna che si persuada che in una città piccola come la nostra è sempre il medesimo pubblico che frequenta il teatro e che quindi bisogna allettarlo ad accorrervi col buon mercato.

Un altro danno pel Politeama è l’essere subentrato in questi ultimi anni ai corsi regolari delle Compagnie nelle epoche propizie, i frequenti debutti di compagnie primarie, tanto che il pubblico non si accontenta più di compagnie secondarie.

Quello poi che è a rimproverarsi maggiormente a chi ha la sorveglianza del Politeama è il modo con cui è tenuto sia per quanto riguarda la manutenzione, sia per quanto ha riflesso al mobilio. Le sedie dei posti riservati rasentano l’indecenza sì per la loro qualità come dal lato della comodità, ed è sperabile che presto 

 

 

[LIII]

 

cessi questo stato di cose e vi si ponga riparo una buona volta se non si vuole vedere disertato totalmente questo simpatico ritrovo che ha avuto una splendida pagina nei nostri annali teatrali.

 

 

§ 12.°

Società e Scuole Musicali

 

Vivo fu sempre nei secoli scorsi, ma specialmente in questo di cui parliamo crebbe l’amore nei reggiani per gli spettacoli teatrali, al quale contribuirono non poco le patrie accademie letterarie, quelle cioè dei Muti che durò dal 1696 al 1749 e l’altra detta degli Ipocondriaci che da quest’epoca si mantenne fino al 1814. Queste accademie univansi ordinariamente tre volte all’anno per cantare nel piccolo teatro del Seminario-Collegio. Sarà sempre memorabile per l’Accademia degli Ipocondriaci e di gloria per Reggio la straordinaria solennità che ebbe luogo nel 1765 nel suddetto teatro, in cui alla presenza di Maria Teresa Cybo d’Este, si eseguì, con grande sfarzo, la cantata a quattro voci: I profeti al Calvario di Vincenzo Manini Reggiano, musicata dal veronese Giuseppe Gazzaniga e le altre due, date nella sala che serve ora pel Consiglio Comunale, nel 1811 e nel 1814 in occasione del ritorno degli estensi in questi stati.

Non solo nei pubblici teatri menzionati di sopra, e in quello privato del Seminario, si addestrava in quei tempi la gioventù reggiana ai trattenimenti vocali e istrumentali, ma oltre le compagnie reggiane istituite da Arrisinel 1800 e da Ruozi nel 1820, parecchie altre Società si formarono in Reggio; la prima delle quali è quella chiamata Società Filarmonica dei Concordi fondata a Reggio nel 1813. Dalle rispettive Costituzioni si rileva che questa Società era composta di 33 Soci Accademici e di 40 Soci aggregati. Ciascun socio pagava quella quota che preventivamente veniva fissata ogni anno dalla Direzione, e, oltre alle molte altre private, davano ordinariamente tre accademie pubbliche all’anno. Coloro che facevano parte di questa Società, come risulta dall’Elenco dei Soci Accademici, erano: Advocati Paolo, Borrini Ce Giuseppe, Bedogni Ignazio, Casali Gaetano, Casali Giovanni, Cassoli CeFilippo, Chierici Angelo, Cagnoli Avvo Prospero, Ferrari Alderano, Ferrari Francesco, Guidetti Dr Francesco, Galliani Giuseppe, Gazzoli Dr Giuseppe, Lucini Sante, Morenghi Giovanni, Montavosi Ercole, Morselli Dr Pietro, Malagoli Prof. Gaetano, Malaguzzi Ce Ippolito, Palazzi Ce Ferrante, Pedrazzi Dr Pietro, Piazzi Bartolomeo, Pozzetti Cristoforo, Pozzetti Giuseppe - Reggi Dr Pellegrino, Rossi Giuseppe, Ruffini Dr Basilio, Scalfi Giuseppe, 

 

 

[LIV]

 

Silva Prospero, Soncini Dr Francesco, Sirotti Natale, Vezzani Ce Antonio.

Il Conte Carlo Ritorni parlando di questa Società nei suoi Annali Teatrali di Reggio (anno 1827 pag. 160) dice che dessa soleva dare le sue accademie in casa Reggi, e che durò alcuni anni. Infatti da memorie più esatte ho trovato che cessò nel 1817 e nel brevissimo tempo in cui visse diede buoni risultati.

 

. . .

 

Nel 1818 si istituì una Società Filodrammatica di dilettanti reggiani che davano private rappresentazioni in Casa Vallisneri. Ne era Presidente Vincenzo Bosisio; Ispettore il Conte Bernardino Grillenzoni Faloppio; Direttori Pier Giacinto Terracchini e Prof. Luigi Cagnoli. Ma dopo pochi anni inaridì, finché non diede più segno di vita.

 

. . .

 

Nel 1826 fu aperta in Reggio la Civica Scuola di canto e suono, presieduta dal Podestà, della quale era Censore il celebre maestro Bonifazio Asioli di Correggio, Direttore il Sigr Prospero Silva e Maestro il Cav. Giambattista Rabitti reggiani.

Questa scuola che durò solo fino al 1835 recò grandi vantaggi alla nostra città ed ebbe la sua sede nel locale che ora è degli Orfani Mendicanti, presso la Chiesa di S. Agostino.

Ad essa successe nel 1851 la Società della Banda Filarmonica, formatasi dietro iniziativa d’alcuni cittadini, la quale era diretta da due Commissioni: l’una amministrativa composta dei Sigi Gioacchino Paglia Presidente, Pietro Prampolini, Giovanni Dall’Ara, Ce Giulio Cesare Vezzani, Francesco Morenghi; l’altra musicale affidata alle cure del Direttore e Maestro Achille Peri

 

. . .

 

Un’altra società che ha una certa attinenza coi divertimenti teatrali, e di cui ho fatto cenno parlando dei locali del teatro Municipale nuovo, è la Società del Casino, istituita nel 1° Luglio 1860, al fine di procurare ai suoi componenti istruzione e ricreamento. Tale scopo lo ottengono mediante l’abbonamento ad ogni sorta di giornali e periodici, Sale con bigliardo e giuochi, conversazioni, trattenimenti di musica, di poesia e di declamazione, con feste di ballo, conferenze ecc. La sua sede è nei locali del Teatro Municipale e precisamente quelli compresi fra le due logge e che hanno le finestre sulla facciata del teatro stesso.

Come ho detto in altra parte della presente narrazione tale Società dovrebbe più propriamente chiamarsi Club dei Signori. Essa, dopo un’epoca splendida, viveva ora di vita stentata e meschina, poiché a Reggio oramai i ricchi scarseggiano. E che le sue condizioni sieno poco floride lo denota il fatto che i divertimenti musicali sono 

 

 

[LV]

 

rarissimi e delle feste da ballo è molto se se ne dà una in carnevale ed anche questa fatta per sottoscrizione fra i soci perché i fondi sociali non permettono una tale spesa.

I borghesi si ristanno dal sottoscriversi in questa società dalla paura di trovarsi fra elementi poco omogenei e dalla imponenza sfarzosa dei locali (i restauri apportatovi pochi anni sono costarono la bella cifra di £ 25 mila): e se i giovani che ora fanno parte di questa società non si mettono una buona volta a lasciar da parte certi pregiudizi di casta e procurare di attirarvi con ogni mezzo l’elemento borghese, il solo che ancora può spendere in divertimenti, abolendo se non in tutto almeno riducendo a più miti proporzioni quella rigorosa etichetta, contraria al ben divertirsi, vedremo a poco a poco e sempre più languire e fra non molto perire anche questa Società.

 

. . .

 

Nel 1861 il Consiglio Comunale di Reggio deliberò la formazione di un corpo d’orchestra Civica addetto al servizio del Comune e più specialmente del Teatro Comunale. Era composto di ventotto Professori effettivi e diciassette soprannumerari, dei quali il Cav. Achille Peri era Maestro di Cappella, il Sigr Giuseppe Tebaldi Direttore, e il Sigr Nicola Barchi direttore per le commedie. A questo Corpo d’orchestra erano affidate le Società musicali in cui il Cav. Peri era istruttore nel canto; Giuseppe Tebaldi maestro di viola e violino, Giacomo Setti maestro di violoncello e contrabasso; Curti Giuseppe maestro per gli istrumenti d’ottone e Lodovico Casilini maestro di flauto e clarinetto.

In seguito all’Orchestra fu aggiunto l’altro Corpo dei Coristi composto di un maestro istruttore di 24 coristi e 12 coriste, il cui regolamento venne approvato nella seduta pubblica tenutasi dal Consiglio Comunale nel 25 febbraio 1862; ma tanto l’uno che l’altro furono sciolti nel 1867.

Rimase però ferma la scuola musicale coi medesimi insegnanti e Direttore e maestro di canto il Cav. Achille Peri fin che visse al quale succedette il M° Reginaldo Gazzini dal 1° maggio 1882 al 28 Febbraio 1883, Pio Ferrari dal 15 marzo al 30 Settembre 1883, Manlio Bavagnoli dal 1° Gennaio 1884 a tutto il 1890, Guglielmo Mattioli dal 1° marzo 1891 al 1° agosto 1896 e il M° Felice Boghen dal 1° Novembre 1896 al 1° novembre 1900, cambiandosi a seconda dei bisogni anche gli altri insegnanti.

 

. . .

 

Breve vita ebbe pure la Banda Cittadina detta anche della Guardia Nazionale, istituita dal Municipio nel 1860 per questa Milizia. Ne fu Direttore il Cav. M° Achille Peri col grado di Capitano, poscia il M° Lodovico Casilini col grado di Sergente maggiore. Era composta di circa 40 suonatori, i migliori della Città. 

 

 

[LVI (scritto L-IV)]

 

Cessò di funzionare nel 1868.

. . . 

 

Per iniziativa di Antonio Notari Censore dell’Orfanatrofio maschile di Reggio, nel 1874 si costituì un Patronato Musicale il quale aveva per scopo di coadiuvare gli alunni dell’Orfanatrofio stesso che avevano disposizione alla musica, procurando loro gli istrumenti e facendo loro percorrere gli studi necessari per tale carriera (1). In questa opera il Notari ebbe non solo a collega ma un valido aiuto nell’Avvo Carlo Caraffa. Questi due benemeriti cittadini cooperavano a che questa filantropica istituzione avesse vita e le furono larghi ancora nel concorrere al suo incremento sovvenendola del proprio.

Il patronato suddetto si componeva di soci scelti in ogni ceto di cittadini mediante una sottoscrizione annua libera.

Dopo alcuni anni di vita l’istituzione non ebbe per solo obbiettivo di aiutari gli alunni dell’Orfanatrofio, ma allargò il proprio programma venendo in soccorso anche agli alunni della Scuola musicale Comunale.

Un altro dei principali benefattori di questa istituzione fu il Caver Dr Federico Ferri.

Dopo un discreto periodo d’anni e dopo aver dato

 

_ _ _

(1) Vedi Biografia di Prospero Montecchi e Guglielmo Zuelli.

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buoni risultati il Patronato musicale capitò nelle mani di un presidente poco energico perché già troppo preoccupato de’ propri affari che poco si curò del Patronato il quale da oltre 10 anni non da’ segni di vita sebbene abbia ancora fondi disponibili.

 

. . .

 

Dal 1820 in poi nessuno aveva potuto formare in Reggio una Società Filodrammatica. Più volte Stanislao Ruozi, Giovanni Grillenzoni e Antonio Lugli l’avevano tentato, ma sempre indarno, perché il governo degli Estensi che aborriva le Società, e se ne capisce il perché, non lo permise mai, mentre invece approvava gli spettacoli pubblici assegnando larghe doti pei medesimi, perché pensava, mentre i cittadini si divertono non attendono a congiurare.

Il solo nostro concittadino Faustino Boretti, dilettante suonatore di clarino e diligente e disinteressato cultore di cose teatrali riuscì, non senza grandi fatiche e dispendio, a mettere assieme nel 1865 una compagnia di dilettanti reggiani, che chiamò Società Filodrammatica Artistica, la quale soleva dare pubbliche e private rappresentazioni in un locale posto in via Farini, poscia dal 1867 al 1868 in casa del Conte Brami, indi sul Corso della Ghiara nella Casa Bassi, infine nel Teatro Croppi che fu costrutto, come dicemmo più sopra, 

 

 

[LVII]

 

nel 1820 per uno di questa Società (Vedi §.10).

Il Boretti che ne era direttore, istruiva i giovani dilettanti con tanta cura e amore che in breve tempo fu in grado di portare la sua numerosa Compagnia in parecchi teatri della provincia e riscuoterne sinceri applausi. Applauditissima fu pure questa Società in Reggio ogni volta che si presentò al pubblico o che desse recite ai propri soci, e meritati elogi ottennero dalla stampa cittadina i dilettanti che vi prendevano parte, de’ quali fra gli altri si distinguevano i Sigi: Menozzi Luigi, Barberina Lugli, Emilio e Riccardo Beccaluva, Antonio Corbelli, Luigia Barbieri, Zeffirino Barchi, Maria Spagni, Enrichetta Costi, Giuseppe Landi, Maria Cappelli, Annunziata Cappelli, Ceciliano Caselli, Cleonice Sassi, Angelo Vezzani, Giulia e Catterina Camuncoli, Giuseppe Franchini, Maria Branchi, Conte Decio Arlotti, Maria e Lucia Facchini, Eugenio Braglia, Luigi Vantini, Dorinda Sassi, Primo Degani, Luigia Sassi e Antonio Lugli uno dei promotori.

 

. . .

 

Dopo l’esempio della Compagnia Boretti altre due ne ne sorsero nel 1868 la principale delle quali è la Società Filodrammatica Ariosto istituita e presieduta fino al suo finire dal Cav. Avv. Federico Ferri e diretta dai SigiCav. Prof. Demetrio Livaditi e Pietro Casali Vice-presidente

Questa Società dava i suoi trattenimenti nella Sala Superiore del Politeama Ariosto, poscia passò al Teatro Croppi. Fra i dilettanti che essa annoverava vanno distinti i seguenti, alcuni dei quali avevano già fatto parte della Società Boretti: Antonio Corbelli, Enrichetta Costi, Giuseppe Franchini, Cleonice Sassi, Matilde Rinaldi, Gaetano Terzi, Virginia Gallinari, Antonio Aguzzoli, Alfredo e Adriano Rinaldi, Enrico Camparini, Cleonice Ciarlini, Alfredo Farri, Virginia Sacchi ecc. i quali riscossero applausi tanto in città che nei diversi teatri della Provincia, ove spesso si portavano a dare pubbliche rappresentazioni.

 

. . .

 

Di minore importanza non però meritevole d’essere quì dimenticata l’altra Società Filodrammatica parimenti istituita nel 1868 per iniziativa del Dr Boali Reggiano e diretta prima dal Dr Giusepppe Boali medesimo, poscia dal Prof. Ulisse Poggi di Firenze, che nel breve corso di sua vita soleva rappresentare commedie in Casa Corradini in via del Gioco del Pallone. Ne era Presidente il Sigr Alfredo Soliani. In essa agivano con lode, fra gli altri, i Sigi Giuseppe Ferrari, Adele Sacerdoti, Vincenzo Pedrelli, Leocadia Poli, Francesco Gasparotti, Elisa Borri, Carlo Soliani, Pio Mantovani e Leopoldo Liuzzi.

 

 

[LVIII]

 

. . .

 

Nell’anno stesso 1868 coll’impulso dato dal Boretti pei geniali divertimenti nacque in Reggio per opera del Mse Gian Francesco Gherardini, un’altra lodevole ed interessante società, la Società Filarmonica, che per parecchi anni, ora in casa Benizzi, ora in casa Venturi, ultimamente in una sala appositamente costrutta in casa Ferrari in via Emilia a S.Pietro, diede applauditissimi trattenimenti di canto e suono in cui si distinsero in ispecial modo le SigneGazzoli, i fratelli Eugenio, Alfredo e Dante Soliani, la Ca Leocadia Venturi-Palazzi, la Signa Irene Nobili, il distinto pianista reggiano Stanislao Ficcarelli ed altri suonatori e dilettanti reggiani di canto, quali il M° Cav. Achille Peri, il M° Cav. Gioacchino Paglia, il M° Enea Liuzzi, Giovanni Guicciardi, Flaminia Munari, Filippo Bertolini e Lucia Ferretti. – A questi trattenimenti prendevano spesso parte gli artisti dello spettacolo del Municipale. Questa Società fu in diversi tempi diretta dal M° Cav. Achille Peri, da Giovanni Dall’Ara e dal M° Gioacchino Paglia.

 

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Sul finire del 1891 diversi dilettanti della cessata Società Filodrammatica Ariosto tentarono di ricostruirne una nuova e non senza fatica vi riuscirono. Questa che prese il titolo di Circolo Filodrammatico Reggiano si compose come tutte le altre di cui abbiamo fatto cenno, di soci contribuenti e di soci dilettanti cona a Presidente l’Avvo Cav. Antonio Chiloni e a Direttore il Prof. Biagioni poscia Giuseppe Franchini. Fra i soci dilettanti vanno annoverati i Sigi Giuseppe Franchini, Antonio Bandieri, Umberto Bedotti, Secondo Barberis, Alberto Perroux, Eugenio RasinaDualco Fretta, Floranz Montanari e le Sige Sorelle Ce Nasalli, Amelia Feretti-Fretta, [spazio vuoto] Bonati Marina Curti ecc.

Questa nuova società prese in affitto il Teatro Croppi e diede la sua prima recita la sera del 20 Gennaio 1892 e durante l’anno si riprodusse per altre dieci volte poi per la partenza da Reggio di tre dei principali dilettanti non essendo stato possibile sostituirli il Circolo Filodrammatico dovette sciogliersi.

 

. . .

 

Sui primi del 1899 si è pure costituita in Reggio la Società del Quartetto e nella sera dell’11 gennaio di detto anno ebbe luogo la nomina del Consiglio Direttivo con a Presidente il Prof. Comm. Augusto Tamburini – Direttore Artistico Prof. Felice Boghen – Consiglieri: Prof Naborre Campanini, Prof. Giuseppe Picciola, Dr Enrico Vivi, Guido Monganelli, e Piero Curti Segretario.

Venne pure eletta per acclamazione la Commissione onoraria composta dei Sigi Conte Federico Calvi, CeCommre

 

 

[LIX]

 

Luigi Sormani Moretti, senatore del Regno, Me Gian Francesco Gherardini pure senatore, Ce Pio Brazza di Savorgnan, Ce Guglielmo Linari, Prof. Avv. Alberto Borciani, Cav. Avvo Carlo Bergonzi, Maestro Enea Liuzzi, M° Pietro Meloni, Alfredo Soliani.

Durante il 1° anno (1899) questa Società diede cinque concerti ed altri cinque ne diede nel secondo (1900) e si spera che essa viva lungamente e non segua la sorte delle Filodrammatiche che, a motivo della difficoltà di trovare Signore e Signorine che ne vogliano far parte, per un malinteso pregiudizio, hanno dovuto cessare, e questa difficoltà ha vinto i pochi che tentarono di formarne alcuna allo scopo di istruire dilettando.

 

. . .

 

Non va dimenticato che in questi ultimi anni vari istituti e stabilmente educativi hanno fatto un loro teatrino, come il Collegio di S. Catterina, l’Istituto Artigianelli, l’asilo Infantile, ove si addestrano i giovanetti e le fanciulle nel canto, nel suono e nella recitazione, e perfino nel Manicomio di S. Lazzaro in Carnevale ed in quaresima si danno alcuni trattenimenti di recitazione, suono e canto.

 

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§ 13.°

Sommosse, Trambusti e Aneddoti

 

Una sommossa in Reggio nel 1791 

a cagione dello spettacolo teatrale

 

 

La Rivoluzione Francese del 1789 portò il suo contraccolpo in tutta l’Europa: i regnanti sentirono vacillare i troni e le nuove idee, diffuse con grandissima velocità, scossero i popoli che bentosto proruppero in aperte manifestazioni contro i vecchi sistemi di governo, cosicché i governi stessi vedevano nelle minime cose, gravi colpe e gli indizi di una prossima rivolta. Prova ne sia il seguente fatto avvenuto a Reggio.

Come abbiamo visto facendo la storia dei Teatri Municipali di Reggio, era consuetudine fossero splendidi e grandiosi gli spettacoli che si davano nella stagione di fiera, nei quali si ammiravano i primi artisti di canto. Nel 1791 senza che se ne conoscesse il motivo, si volle fare un’eccezione a tale consuetudine e in luogo del solito spettacolo di prim’ordine venne annunziata una meschina opera buffa, cioè “La bella pescatrice” (1) che non è certo fa le più belle 

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(1) Dopo di questa doveva darsi l’Incredulo deluso del Cimarosa e i balletti Nina pazza per amore e Divertimento campestre.

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[LX]

 

del maestro Pietro Guglielmi. I reggiani non volevano che il teatro mancasse alla sua buona fama; ed inoltre temevano che, mancando un buon spettacolo venisse meno ogni altro lucro. Infatti fin dal marzo avevano protestato i mercanti e gli osti contro l’impresa che era assunta da certo Ghedini di Bologna, perché veniva dato un così meschino spettacolo, il quale impresario non solo non si rimosse dal suo proposito ma si permise parole petulanti ed insultatrici verso la cittadinanza.

Questa apparentemente fu la causa del gran trambusto che ne seguì e che minacciò ben più gravi conseguenze.

Si trapelò che la Signora Chiara Marini, che, dall’umile condizione di cantante appena tollerabile, era giunta ad essere la favorita del Duca di Modena Ercole III°., era interessata nell’impresa e che ella stessa, forte dell’appoggio del suo augusto protettore, consigliava il Ghedini di non cedere alle giuste rimostranze dei cittadini.

La cosa rivestì tosto un carattere politico ed il patriziato reggiano, che già vedeva di mal occhio quella tresca di Corte, si pose alla testa del movimento, aizzando il popolo ad impedire con qualsiasi mezzo che lo spettacolo fosse posto in scena.

Era costume che il 29 aprile, primo giorno della fiera, si aprisse anche il teatro, ma in quell’anno cadendo tal giorno in venerdì, l’opera andò in scena nel sabbato 30 Aprile. – Immensa fu la folla che si recò al teatro, ma appena alzato il sipario, urla, gridi, fischi, insulti soffocarono la voce dei cantanti: e queste dimostrazioni ostili non venivano soltanto dalla platea e dalle logge, ma ben anco dai palchi signorili e Cavalieri e Dame dell’alta aristocrazia ne erano i più energici promotori.

Le cronache di quel tempo raccontano che la Contessa Torello Rangone nel suo palco in 2° Ordine teneva un’enorme oca di terra cotta con sette code nelle quali contemporaneamente zufolavano sette persone.

I cantanti dopo aver resistito un po’ di tempo, sperando che si dileguasse la burasca, cedettero il campo e si dové calare la tela fra un pandemonio universale. Furono scagliati sassi alle porte e alla finestre del teatro, rotte le panche della platea, scassinato l’uscio dell’ufficio della vendita dei biglietti e divelte le serrande che vennero lanciate nel Canale di San Cosimo, prossimo al teatro. Così ebbe termine la prima rappresentazione dello spettacolo.

Il giorno dopo1° Maggio, il Ministro degli Affari Esteri, Conte Giambattista Munarini, verso sera si portò a Reggio e sceso al palazzo del Senato, lo fe’ tosto radunare 

 

 

[LXI]

 

e ingiunse ai Senatori di recarsi in corpo al teatro ove egli stesso si sarebbe portato con tutta l’Ufficialià. Intanto che il Senato deliberava, ed erano già pronte nella piazza maggiore tutte le carrozze, il Ministro, salito nella sua s’avviò al teatro. Colà trovò ressa immensa di popolo che l’attorniava, occupando anche le vie circonvicine. Il Munarini sceso dal cocchio, ordinò che si aprisse il teatro ed egli stesso si pose dinnanzi alla porta; ma il custode non riuscì ad aprirla interamente per l’urto continuo del popolo che gridava a squarciagola: Si chiuda il teatro – Abbasso Munarini – Abbasso il Duca – Morte a Ghedini – Il Ministro, urtato e incalzato dalla moltitudine tumultuosa, vista l’inutilità di insistere, con grave stento e fatica poté guadagnare la sua carrozza e si allontanò restituendosi a Modena per dare notizia al Duca del grande trambusto.

Il Senato che trovavasi tutt’ora raccolto nel palazzo di città e che aveva avuto contezza dell’insuccesso del Ministro, stimò cosa prudente lo sciogliersi, aspettando a prender norma nel giorno seguente dal contegno dei cittadini. Tutta la notte si fece un gran chiasso nella Città per l’ottenuto intento di avere il teatro chiuso.

Nel pomeriggio del Lunedì 2 maggio si sparse nella città la notizia che prima di sera dovevano giungere molti uomini di truppa regolare, spediti da Modena e coll’ordine espresso del Duca di frenare la tracotanza (1).

La notizia venne confermata dall’apparire del seguente 

Proclama

Informata Sua altezza serenissima del popolare tumulto risvegliatosi ne’ giorni scorsi, tanto in Teatro che fuori nella sua Città di Reggio tendente a frastornare ed impedire la recita dell’Opera Buffa posta in scena all'occasione della corrente Fiera, non ha potuto che con somma sua sorpresa sentire che sudditi, li quali ha sempre considerati come fedeli alla sua sovranità, ed ha riguardati con distinto Paterno Amore dell’animo Suo abbiano traviato da quei sacri, ed inviolabili doveri che obbligano li medesimi per ogni Legge a dar prova in qualunque incontro di somma obbedienza, fedeltà ed attaccamento verso il loro Sovrano e Padre.

“Quindi benché persuasa l’A. S.S. che una siffatta sommossa non sia pervenuta da alcun pravo fine, ma unicamente da sconsigliatezza ed irriflessione, ha creduto essere della Sovrana Sua Autorità per garantire la pubblica quiete, e sicurezza, di rinforzare questa Guarnigione, onde dar maggiore vigore agli ordini che verranno dati ed alle seguenti Providenze.

“I. Ordina, e comanda espressamente l’A. S.S., che 

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(1) I soldati mandati furono trecento al dire del Rocca e Silvetti, il Viani li computa 1200

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[LXII]

 

in tempo massimamente di notte nessuno ardisca di girare, o lasciarsi vedere per Città sotto qualunque titolo o pretesto in compagnia maggiore di cinque persone, e molto meno poi portare armi, bastoni o qualsiasi altra cosa, o istrumento, a riserva di quelli, ai quali per legge, o privilegio compete il diritto di portar la spada, sotto le pene comminate alle vigenti leggi e d’altre ad arbitrio e misura delle circostanze.

            “II. Che ad un’ora in punto di notte, niuno eccettuato di qualunque grado, o condizione esser si voglia sia ciascuno tenuto andare per la Città con lume, altrimenti contravvenendo sarà irremissibilmente arrestato, e multato nelle vigenti leggi.

            “III. Che all’oggetto di conservare la pubblica tranquillità, e quiete e per impedire qualunque disordine debbano di notte tempo girare per la Città diverse pattuglie tanto del Militare, che degli Esecutori di giustizia, le quali senza verun riguardo ad ogni più piccolo rumore, e disordine che venisse ad iscoprire, dovranno procurare l’arresto dei Disturbatori, o contravventori alle leggi secondo quegli Ordini che verranno dati loro particolarmente dal Governo

            “IV. Volendo l’A. S.S. dare in ogni circostanza costanti prove dell’imparziale Sua Giustizia, e rettitudine ha pure ordinato che l’Impresario Ghedini già detenuto nelle forze del Militare sia tradotto nelle Carceri di Modena per ivi essere assoggettato al dovuto processo ed indi subire quelle pene se, e come sarà di ragione.

            “V. Che in occasione di Recite o di pubblici spettacoli nessuno abbia ardire di promuovere o suscitare schiamazzi, o derisioni in qualsiasi modo sotto quelle pene, che saranno giudicate convenienti, avuto riguardo alle circostanze, ed alla qualità e condizione delle persone.

            “VI. Siccome le presenti provvidenze dirette sono all’importante fine di assicurare, e mantenere la pubblica tranquillità, così l’A.S.S. va persuasa che ogni buon cittadino saprà vegliare sopra la condotta de’ loro servitori e d’altri da loro dipendenti, né permetterà mai che s’uniscano con persone tumultuose, o che siano sospette di partito per non rendersi così responsabili della reprensibile condotta, o contegno di tali loro serventi.

            “VII. Resta espressamente proibito d’ora in avanti a qualunque persona di qualsiasi grado, o condizione esser si voglia il poter promuovere o introdurre discorsi nelle Botteghe, ne’ Caffè, nelle Conversazioni, ed in qualsivoglia altro luogo di adunanze, tendenti a porre in discredito e derisione le pubbliche Rappresentanze, o che in qualunque modo atti fossero anche per qualsivoglia altro oggetto a fomentare l’animo 

 

 

[LXIII]

 

delle persone, sotto quelle pene arbitrarie in caso che giusta le circostanze saranno credute proporzionate alle rispettive contravvenzioni.

            “Si ripromette l’Altezza Sua Serenissima che ciascun suddito della diletta sua Città di Reggio massime in questa occasione si farà un impegno particolare di dare sincere, e costanti prove di fedeltà, ubbidienza, e rispetto verso la Sua Sovranità, uniformandosi pienamente alle date disposizioni per non obbligarla a prendere delle forti e disgustose risoluzioni contro li Contravventori, dalle quali la Sovrana sua Autorità, e fermezza dell’animo suo in qualunque evento non potrebbe dispensarla.

“Dato a Reggio li 2 Maggio 1791

            Gio: Conte Munarini”

 

Le notizie sparsesi come abbiamo detto più sopra e la comparsa di questo Proclama esasperarono e crebbero il malcontento dei cittadini e, l’adunarsi quà e là in gruppi e capanelli faceva temere che le cose volgessero a mal termine.

Ad inasprire maggiormente gli animi, già troppo eccitati, s’aggiunse l’imprudente e audace spavalderia del Modenese Maggiore Fabbrici comandante la piazza, il quale in un pubblico caffè si lasciò sfuggire parole di sfida alla cittadinanza. Ma male gliene incolse, perché, avuto avviso dell’appressarsi dei soldati spediti da Modena, mosse col suo aiutante ad incontrarli e, pervenuto sotto i portici della Via Emilia a S.Pietro, presso il Vicolo della Pulce, improvvisamente investito e trafitto alle reni da uno stilo, poté soltanto attraversare la strada e rifugiarsi nella bottega di un falegname (certo Gattamelata) ove tosto morì. Ne’ allora né poi fu scoperto da qual mano fosse colpito.

La notizia di quest’omicidio giunse in breve alla truppa che già trovavasi nella Villa suburbana di Ospizio e, sul dubbio che nella Città stesse per iscoppiare un’aperta rivolta, dopo breve consiglio dell’Ufficialità fu deciso di entrarvi con quattro cannoni a miccia accesa. Ma, giunti alla porta, vedendo la via affatto sgombra e temendo che si celasse qualche agguato sotto i portici che d’ambo i lati la costeggiavano, fu stimato cosa prudente di volgere a destra su le mura e indi, per le vie dell’Ospedale e Stufa portarsi al quartiere loro assegnato nel Convento de' Francescani, ora Istituto Tecnico.

Deluso il popolo, che attendeva il loro passaggio nella via Emilia, si riversò sulla piazza d’Armi dinanzi al quartiere ove i soldati paurosamente si erano rinserrati. Vedendo tanta debolezza in costoro, i cittadini presero ad insultarli con urla, grida, invettive e scagliando sassi contro la porta e le finestre. 

 

 

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Lo schiamazzo durò sino a notte avanzata senza che alcuna ronda o agente di polizia vegliassero al buon ordine.

Giunta la mattina del Martedì 3 maggio, l’impresario Ghedini a pubblica vista e carico di catene, fu posto in vettura e, scortato dalla truppa, tradotto a Modena. Si credette che ciò fosse consigliato dalla speranza che i Reggiani, avuta questa soddisfazione, si rendessero più miti e tranquilli. Il Ghedini giunto appena a Modena, fu rilasciato in libertà.

Nel pomeriggio fu eseguita dalle Autorità Civili e Militari una diligente ispezione in ogni parte del teatro nella tema di qualche mina o d’altro apparecchio incendiario. Finalmente la sera la truppa acquartierata che per ben 24 ore non si era lasciata vedere, uscì in ordinanza armata e divisa in quattro corpi i quali coi pezzi d’Artiglieria circuirono il teatro come se si trattasse di smantellare una fortezza. Con tanto apparato guerresco si riaperse il teatro, al quale non intervenne alcun cittadino e nemmeno il Senato e soltanto vi si recò il Ministro Munarini reduce da Modena, per risarcirsi della patita offesa, l’ufficialità e ben pochi forestieri.

Così dopo poche sere si dovè chiudere il teatro e finirla.

 

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Dimostrazione contro la cantante

Eugenia D’Alberti

 

L’esimia artista Teresa De Giulj che con tanto plauso aveva cantato a Reggio nel Carnevale 1840-41 nelle opere Bellisario di Donizzetti e Beatrice di Tenda del Bellini si trovava ancora fra noi all’approssimarsi del Maggio, ma essendo a disposizione di un impresario, le venne da questo imposto di recarsi a Fiume. Fosse uno dei soliti capricci propri degli artisti di teatro, fosse, e ciò è molto più probabile, la speranza fattale balenare dai molti suoi ammiratori che l’assicuravano che avrebbe cantato nello spettacolo di fiera, si rifiutò recisamente di partire.

In questo mentre l’impresario Carlo Redi di Bologna stava allestendo lo spettacolo di Fiera del 1841 colle opere Roberto Devereux del Donizzetti e Il Solitario del M° Achille Peri reggiano. Era scritturata e cantò come prima donna Eugenia D’Alberti che non seppe cattivarsi la simpatia del pubblico per la sua indole altera e sprezzante ed anche perché l’opera scelta male s’adattava ai suoi mezzi vocali. Non ostante, si formò un piccolo partito a lei favorevole che manifestamente si pose ad osteggiare quello più forte che rivoleva la De Giuli sulle scene e spiegava siffattamente la sua attività che aveva quasi indotto l’Impresario ad acconsentirvi. 

 

 

[LXV]

 

Questa lotta dava occasione a scene spiacevoli e tali che l’ordine pubblico minacciava d’essere seriamente compromesso. Il Duca informato dello stato delle cose e udita la D’Alberti che si era a lui presentata invocando giustizia e protezione, decretò che questa dovesse cantare sino al termine del corso già prestabilito. Ma continuandosi le quistioni e facendosi anzi più minacciosi i due partiti, la Polizia fece una severa ammonizione a quei giovani patrizi che erano i principali fautori della De Giuli, e intimò a questa lo sfratto dalla città entro il giorno medesimo.

La D’Alberti menò tal vanto di questa vittoria e fu tale l’alterigia che dimostrò da rendersi insoffribile ai suoi partigiani stessi. Ma l’antipatia dei cittadini, più che a lei, si volse a certo Bonfanti milanese, un villan rifatto che voleva farsi credere suo marito e non ne era che l’amante. Costui ignaro d’ogni legge d’educazione e di prudenza non si peritava di sparlare pubblicamente dei cittadini non risparmiando loro ingiurie e motteggi.

Inutile dire qual fosse il malcontento della città e come ogni sera si facessero più manifeste le disapprovazioni alla malaugurata cantante che manifestava sulla scena stessa la bile che la rodeva; ma nella sera del 2 Giugno in cui tali disapprovazioni del pubblico maggiormente si accentuarono, il Bonfanti ebbe l’audacia di farsi vedere fra le quinte e si permise atto piazzaiuolo d’insulto diretto ad un palco dal quale più ancora che dagli altri partivano i fischi.

Offesi i cittadini da tanta improntitudine giurarono di non lasciarla invendicata e il giorno appresso scontratosi alcuni giovani con quel farabutto non solo lo fecero segno a mille improperi ma vennero altresì alle vie di fatto e buon per lui che giunti alcuni gendarmi riuscirono a porre in salvo il malcapitato assicurando gli assalitori che avrebbero avuto la ben dovuta soddisfazione. Difatti il Bonfanti fu arrestato e tosto rimandato al suo paese.

Ma i cittadini non vollero più oltre tollerare la sfacciata cantante e al suo apparire sulla scena furono tanto ostili le dimostrazioni contro di lei che la Direzione teatrale fu costretta a troncare lo spettacolo.

Il dì seguente fu pubblicato dalla Polizia il seguente avviso:

 

            “Il Cavaliere Consultore

“Delegato del R. Ministero di Buon Governo

“Incaricato dell’alta e bassa Polizia di questa Città e Provincia

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“Volendosi ritenere che i trambusti accaduti lo scorso 

 

 

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giovedì in questo Teatro siano stati conseguenza di un malumore insorto in taluni a causa del riprensibile contegno spiegato dall’estero Cesare Bonfanti e di qualche altra imprudenza, trambusti che si ha tutto il fondamento di credere che non abbiano a replicarsi, al riflesso specialmente che il promotore Bonfanti è già stato punito ed alla sua patria diretto, non devesi defraudare il Pubblico delle recite che mancano al compimento del numero prestabilito.

            “Nel mentre perciò che sopra Ministeriale autorizzazione si lascia corso alle medesime, si rende noto ad opportuna regola, che per qualunque più che minimo chiasso fosse nuovamente ad insorgere, si procederà contro l’autore od autori rigorosamente, e con misure straordinarie a norma delle circostante, oltre quelle altre disposizioni che fossero dal Ministero di Buongoverno adattabili, non escluse eziandio la prescrizione di chiudere il teatro per alcun tempo.

            “Dalla Residenza della Direzione Provinciale di Polizia

                       “Reggio, questo giorno 5 Giugno 1841

                                   Vincenzo D’Odiardi

                                                          Il Cancelliere

                                               Dr Camillo Gianotti.”

            Furono riprese le rappresentazioni, ma i cittadini avevano pur essi preso il loro partito, sì che, tranne le Autorità politiche, il teatro rimase completamente deserto. È bensì vero che si riempì in un attimo al tempo del ballo (ché a quei il ballo veniva eseguito prima dell’ultimo atto dell’Opera), ma fu di nuovo abbandonato al cominciare dell’ultimo atto dell’opera.

            Questa nuova, inattesa e imponentissima dimostrazione conquise siffattamente l’orgoglio e l’albagia della D’Alberti che non ebbe più il coraggio di ripresentarsi sulle scene e nelle sere susseguenti fu giocoforza di ricorrere a centoni o accademie per compiere il numero delle rappresentazioni promesse agli abbonati.

            Nella sera del 10 Giugno ultima del corso fu concessa all’Impresario una tombola per risarcirlo in parte dei danni patiti in questa malaugurata stagione.

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Aneddoto sul tenore Carlo Boucardé

 

Per lo spettacolo di Fiera del 1854 erano annunciate le Opere Viscardello del Verdi (Rigoletto) e I Puritanidel Bellini non che i balletti Flora ed il Mago e L’alloggio Militare.

Gli impresari, fratelli Marzi, per tale spettacolo avevano scritturasi la 1a donna Virginia Boccabadati, il 1° Tenore Carlo Boucardé il basso Ghini Marco.

L’andata in scena con tali artisti fu un vero successo. Il tenore Boucardé, con voce un po’ ingolata, ma bianca 

 

 

[LXVII]

 

e potente e per la sua bravura essendo artista finito, seppe subito cattivarsi le simpatie del pubblico, il quale, in seguito, non seppe mai perdonargli l’amicizia da lui contratta cogli eleganti e bon viveurs di Reggio specialmente perché trovandosi a continui convitti e banchetti si lasciava facilmente padroneggiare dal vino e non eseguiva sempre la sua parte con vera coscienza.

Per questi motivi il popolino aveva giurato di dargli una lezione, ma si era giunti all’ultima rappresentazione senza che questo proponimento avesse avuto effetto, perché il Boucardé aveva saputo sempre e in molti punti strappare gli applausi.

In quest’ultima recita si davano I Puritani e il pubblico aveva visto giungere a cavallo il tenore, reduce da un banchetto cogli amici, datosi in una villa vicina, quasi al momento di andare in scena, cosicché vestitosi in fretta sortì mettendosi i guanti davanti al pubblico non avendolo potuto fare forse in camerino.

Questo atto fu interpretato un insulto e il pubblico cominciò a mormorare, ma il Boucardé seppe imporsi e i suoi amici cercarono di sostenerlo.

Si arriva al terzo atto e il tenore intuona la frase: Son salvoalfin son salvo = No! grida il pubblico, e giù fischi; Boucardé rimane calmo e aspetta che la bufera diminuisca, poi riprende: I miei nemici falliro il colpo, e mi smarrir di traccia. – No! No! grida ancora il pubblico e giù un subisso d’altri fischi. Boucardé rimane sempre impavido e calmatosi un po’ il baccano riprende il canto e lo continua in mezzo a un continuo sussurro finché, a farla breve, arrivato a un punto culminante i fischi si cambiano in applausi e così seguita fino alla fine riconquistando il pubblico coll’Arte sua magica, come sempre aveva fatto.

 

 

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CENNI BIOGRAFICI

 

 

 

 

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Architetti - Scenografi
e Pittori teatrali



Bartoli Francesco - Buon pittore d'Architettura e d'ornato; discepolo di Pellegrino Spaggiari di cui diremo a suo luogo. - Dipinse molte scene teatrali a Reggio e altrove. - Morì nel Febbraio 1779.


Bazzani Giuseppe - Nacque nel 21 Aprile 1701. Furono opera sua le scene più magnifiche vedute nel teatro di Reggio tra il 1750 e il 1760, nella qual epoca era uno dei più rinomati scenografi d'Italia. Fu adoperato da Francesco III° a Milano e da Ercole III° a Mugnano e fu ancora chiamato a dipingere a Genova, Parma, Bologna, Ferrara e Siena. - Morì nel Maggio del 1780.


Bolognini Lodovico - Nato a Bologna il 24 Aprile 1739 dopo compiuti i suoi studi venne a stabilirsi a Reggio nel 1760 come Ispettore ai lavori della Casa Ducale di delizia a Rivalta, e nel medesimo tempo fu nominato Professore di Architettura civile e militare a Reggio, Ingegnere Ducale, Provveditore camerale, Commissario militare, Ingegnere della Congregazione d'acque e strade, Commissario di Annona, e finalmente architetto della Comunità di Reggio, ed ebbe dal Governo Italiano sotto la Repubblica Francese quello di Consultore idraulico e poi di Ingegnere in Capo per le opere straordinarie. Fra le moltissime sue opere, in Reggio e fuori, va annoverato il Teatro Comunale di Sassuolo da lui costruito. - Morì l'8 Giugno 1816 a Parma.


Carnevali Cesare - Eccellente allievo del Fontanesi - Dipinse scene pel Teatro di Reggio nel 1784 e 1795. Si acquistò bella fama a Parigi ove si era trasferito e ove morì nel 1841.


Carnevali Vincenzo - (n. 1771) Fratello di Cesare e rinomato Professore d'ornato e prospettiva nelle scuole di Belle Arti in Reggio dal 1831 al 1842 nel quale anno cessò di vivere. Dipinse bei scenari pel teatro di Reggio dal 1803 al 1825 parecchie delle quali furono riprodotte in litografia da Carlo Zucchi reggiano.


Chierici Alfonso - di Nicola e Laura Gallinari, nacque a Reggio il 9 Gennaio 1816. Fino da suoi teneri anni dimostrò particolare attitudine alla pittura e cominciò i suoi primi studi alle scuole di belle Arti diretto dal 

 

 

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Prof. Prospero Minghetti, e il suo primo lavoro, Il Riposo, un quadretto ad acquerello che fece a 13 anni, piacque sommamente. Nel 1831 passò alla scuola di Belle Arti di Modena; colà condusse ad olio il suo primo lavoro del genere, un S. Giovanni Battista che fu premiato con la medaglia al merito - Nel 1834 andò a Roma nello studio del Prof. Minardi. Ne quì mi dilungherò più oltre a dire e degli studi e dei trionfi del Chierici essendo fuori del mio compito; solo rammenterò che è autore del Sipario del Teatro Municipale inauguratosi la sera del 21 Aprile 1857 di cui ho già parlato in altra parte di questo mio lavoro. - Morì a Roma il 27 Settembre 1873 nella non grave età di anni 56


Cervi Cesare - Questo distinto scenografo, sulla nascita, sugli studi e sulla vita del quale non ho potuto trovare traccia o documento ma che io ritengo allievo di Prospero Minghetti, dipinse scene nel Teatro Comunale per molti anni di seguito. Difatti fra gli spettacoli teatrali trovo il suo nome registrato per la prima volta quale scenografo nel teatro filodrammatico per la Fiera del 1852 e nel Teatro Municipale nuovo dalla sua apertura fino al Carnevale 1887-88 (primo spettacolo dato dal Barone Franchetti). Molte volte fu pure chiamato a dipinger scene in teatri di altre città. Dopo l'88 si ritirò a Torino presso una sua figlia e colà è morto credo nel 1900 o nel 1899.


Cugini Antonio - Architetto Ducale; nacque circa nel 1678. Fu uno di quei rari uomini che al loro solo talento dovettero i progressi che fecero nelle belle Arti. Figlio di poveri genitori e destinato da essi al mestiere di falegname, cominciò da sé stesso lo studio del disegno in cui si avanzò poscia colla direzione di Ferdinando Bibiena. Molte sono le fabbriche col disegno di esso inalzate, fra le quali la Ducale Armeria e il Teatro di Corte di Modena (1730), il Teatro del Collegio di Parma e i Teatri di Brescia e di Padova; ma quella onde ricevé maggior fama fu il bel Teatro del Pubblico di Reggio inauguratosi nel 1741. Egli finì di vivere agli 8 Febbraio 1765.


Fontanesi Francesco - Vera gloria della Scenografia italiana, morto a Reggio l'8 Ottobre 1795 in età di anni 44. Per quindici anni consecutivi decorò il patrio teatro di stupende scene, poscia andò a Roma, Livorno, Barga, Pisa, Milano, Firenze, Venezia chiamatovi dalla sua fama di scenografo perfetto. Non fu solamente l'Italia piena del suo nome, poiché fu chiamato a Francoforte, Londra e Vienna. Delle costui scene esistono 12 bellissime incisioni eseguite dal Prof. Giovanni Rocca di Reggio.

Fontanesi Giovanni - nipote del sopra descritto, nacque a Reggio il 

 

 

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28 gennaio 1813. Fu allievo del Prof. Minghetti. Egli dipinse il Comodino del nuovo teatro Comunale inaugurato nel 1857 e di cui abbiamo fatto cenno a suo luogo. Un giornale Milanese, La Cronaca, parlando dell'esposizione triennale che si tenne a Modena nel gennaio 1857 così si esprime: "Se la scuola di paesaggio e di scenografia è grandemente accreditata, è tutto merito del Prof. Giovanni Fontanesi che, sapendo trasfondere la scienza e l'amore dell'Arte ne' suoi scolari ha fatto sì belli allievi." - Morì in età di 62 anni il 14 Febbraio 1875.


Forti Francesco di Correggio - Nacque il 23 marzo 1713 e morì l'11 giugno 1779 - Pittore ed architetto - Parecchie delle sue opere di pittura adornavano il Teatro di Corte di Modena e il teatro pubblico di Correggio.


Fossetti Giambattista - Nacque a Reggio nel 1686 da padre e madre genovesi venuti costì a impiantarvi una fabbrica di velluti. Fu allievo dei celebri Giuseppe Dellamanno, Bezzi, Francesco Bibbiena, Girolamo Massarini ed Orazio Talami, coi quali viaggio quasi tutta l'Italia per perfezionarsi nella scenografia, nella quale infatti s'acquistò buon nome in patria e fuori.


Grimaldi Achille - Ingegnere e Professore di [spazio vuoto] al nostro Istituto Tecnico. Nacque a Reggio il [spazio vuoto] ed è tuttora vivente. Sopra suo disegno e sotto la sua direzione fu inalzato, sugli avanzi del Teatro Comunale bruciato nel 1851, l'attuale Politeama Ariosto che fu inaugurato nel 1878, nel modo e come abbiamo avuto campo di dire parlando di questo teatro.


Lucini Giuseppe - Nacque nel 1770. Oltre a molti altri lavori dipinse con Cesare Carnevali le scene del teatro di Reggio nel 1795 e altre nel 1815 insieme a suo fratello Sante Lucini. Il Lucini Giuseppe per la sua malferma salute abbandonò presto l'arte e andò in Spagna ove morì a Barcellona nel 1845.


Marchetti Ingr Pietro nato a Reggio il 9 Marzo 1806. Fu allievo della Scuola del Genio Militare in Modena. Successe al padre Ingr Domenico, Architetto del Comune di Reggio, nel 1832. - Fu Prof. di Architettura nella scuola di Belle Arti. Fra i suoi lavori vanno annoverati il Foro Boario, stupendo fabbricato poggiato sopra [spazio vuoto] colonne, ora però chiuso da muri è cangiato in caserma d'Artiglieria, il Palazzo Ducale sul Corso Garibaldi, e il tempio maggiore Israelitico. -
            Va annoverato nella presente serie pei lavori di 

 

 

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ristauro fatti al Teatro Comunale nel 1838.

            Morì alle Quattro Castella il 29 Aprile 1874.


Menozzi Domenico detto il Vignoletta e conosciuto anche sotto il nome di Menego. Nacque in Reggio il 27 luglio 1777. Si diede alla pittura per prepotente volere di natura. Recatosi a Milano in cerca di fortuna nel 1801, trovò aiuto presso il reggiano Conte Giovanni Paradisi dal quale fu introdotto a dipingere in diverse case e in breve, lodato per la sua maniera, venne cercato da quanti avevano squisito gusto nelle arti. In Milano lasciò molti dipinti fra i quali il Comodino del Teatro della Scala, rappresentante una fiera campestre, che si ammira ancora, come pure furono ammirate molte sue scene in detto teatro. Dopo la morte del Sanquirico, avvenuta nel 1832, il Menozzi associato al Cavallotti assunse l'impresa di condurre le decorazioni del teatro della Scala; ma tale ardua fatica, di molto superiore alle sue forze, abbatté non poco l'animo suo, finché morì nell'8 dicembre 1841 a Milano, dove l'Accademia di belle Arti gli eresse un busto nelle logge del Palazzo di Brera.


Mingetti Prospero _ Nacque a Reggio il 2 Gennaio 1786 da padre oriondo Bolognese della famiglia dell'Illustre uomo di Stato Marco Minghetti. I parenti volevano porlo agli studi legali mentre egli si sentiva portato per la pittura. Allora fu posto sotto il Camuncoli e dopo a Bologna alla scuola del Frulli, poi a Firenze dove si ebbe più volte premi dall'Accademia Fiorentina; passò quindi a Roma dove vinto dalle meraviglie del Canova studiò plastica; contemporaneamente però studiava pittura sotto il Minardi.

            Nel 1831 fu chiamato in patria a sostituire il Camuncoli nella scuola di Belle Arti insegnando pittura e plastica, nel quale ufficio durò sino alla sua morte avvenuta nel 1853.
            Nel 1814, come abbiamo detto nei cenni storici dei teatri fu incaricato di pitturare il Teatro Comunale e come dicemmo dipinse la soffitta e il Sipario. Queste pitture disgraziatamente perirono nel 1840.


Mantovani Ercole - (n. 1779) - Coltivò con amore la musica, la scenografia, la plastica e l'incisione. Dipinse le scene del teatro di Reggio nel 1805 e 1814 col Pozzetti e ne incise altre del Fontanesi Cav. Francesco. Fu per parecchi anni Prof. d'Architettura e maestro di clarino nel Collegio Convitto di Reggio fino al 1858 

 

 

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in cui cessò di vivere ai 6 di Ottobre.


Paglia Giannantonio - Pittore ed Architetto teatrale di S.A.S. il Duca di Modena. Scolaro di Ferdinando Bibbiena. Fu spesso e con molta lode impiegato a dipingere le scene pei teatri di Reggio, Padova e Torino, e fu stimato uno dei buoni scenografi de' suoi tempi. Morì il 6 Gennaio 1765.

Paglia Giovanni figlio del sopra indicato Giannantonio. Anch'esso fu valente nell'Architettura e Scenografia- Dipinse in Reggio, ora da solo, ora con Vincenzo Carnevali, le scene del patrio teatro dal 1800 al 1804.


Pelizzi Domenico - Nato in provincia di Reggio a Vezzano sul Crostolo il 30 Aprile 1818. Studiò pittura fino dai primi anni sotto il Prof. Prospero Minghetti. Nel 1842 da Reggio passò all'Accademia di Parma ove stette per tre anni; nel 1848 andò a Firenze e dopo un anno a Roma. Tornato in patria, ove eseguì molti lavori, fu incaricato di dipingere la soffitta del teatro nuovo Municipale, delle quali pitture ho già fatto parola descrivendo quel fabbricato. Succeduto al suo maestro Prof. Minghetti nel 1854 nell'insegnamento della figura nelle scuole di Belle Arti, al 21 Luglio 1859 fu nominato aggiunto al Direttore, Prof. di Pittura e Segretario nelle quali cariche fu confermato con R. Decreto 15 Gennaio 1861.

            Morì dopo lunga malattia il 4 Maggio 1874.


Pozzetti Lodovico - nato nel 1782 - Benché fosse di nobile famiglia reggiana, non sdegnò di abbracciare una professione e si dedicò alla scenografia. Dipinse nel 1805 e 1814 con Ercole Montavoci le scene del patrio teatro e da solo quelle del 1816. Alcune sue scene furono riprodotte per le stampe da lui stesso incise. - Morì in Reggio il 22 Maggio 1854.


Prampolini Alessandro - nato a Reggio il 2 Settembre 1823 - Fu mandato, dietro consiglio del Prof. Fontanesi, a Roma per studiare scenografia. Reduce da Roma con bella fama, venne chiamato a dipinger scene nei teatri di Venezia, Mantova e Fermo ove ebbe successo splendido, il che gli procurò altre scritture nei teatri di Sinigalia, Udine, Torino, Rimini e in quello della sua città natale. Fu professore di disegno lineare nelle scuole Normali; ma forse pel molto occuparsi fu colto da repentina morte il 18 Aprile 1865 nella fresca eta di 41 anni e mezzo.



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Spaggiari Pellegrino - Allievo dei fratelli Bibbiena. Dipinse le scene del Teatro di Reggio nel 1726-1728-173 e nel 1728 quelle di Milano (per la Didone abbandonata) e si ebbe il titolo da S.A.S. il Duca di Modena di pittore teatrale. Lasciò l'Italia nel 1733 col Duca di Vandome e passò in Francia ove morì nel 1746.


Tarabusi Andrea - Pittore teatrale e valoroso Architetto. Fu compagno al Bazzani nelle opere di pittura. Esistevano suoi lavori nell'Atrio e nel Teatro del Seminario costrutto sopra suo disegno. Morì ai 24 di Giugno del 1776.


Vigarani Giuseppe - (n. 1586 circa) - Architetto del secolo XVII di cui pochi eguagliarono la fama, specialmente in ciò che appartiene alla costruzione, all'ornamento e alle macchine di teatri. Nel 1659 fu chiamato da Luigi XIV a dirigere le feste e l'erezione del teatro della Tuilleries. Molti suoi lavori esistono ancora a Carpi, Mantova e Modena ove morì il 9 settembre 1663 di 77 anni. Il primo teatro costruttosi a Modena è opera del Vigarani.


Zinani Francesco - Scolaro del Bibbiena col quale lavorò in molti teatri d'Italia. Nel 1775 trovandosi nel teatro di Lisbona, il terribile terremoto di quell'anno lo spaventò pel modo che non seppe più intraprendere alcun lavoro. Ritornato in Italia morì poco dopo a Mantova.


Zucchi Carlo nato a Reggio nel 25 Febbraio 1789. Giovinetto ancora fuggì da' suoi genitori e andò in Francia. Tornato in Italia, dopo aver percorso la Francia e altri paesi, si arruolò sotto Napoleone I°; ma stancatosi presto della vita militare, andò a Milano e vi lavorò d'incisioni (vedi biog. di V. Carnevali). Nel 1822 arrestato nel Teatro di Reggio, come carbonaro, fu dal Tribunale Statario condannato a tre anni di carcere, dalla quale sortito nel 1825 prese la via dell'esilio, si portò in America e là si diede alla professione dell'Architettura. - Dal Governo di Buenos-Ayres si ebbe la direzione di pubblici stabilimenti come si può vedere dalle opere che pubblicò per le stampe, una delle quali è la seguente: "Projecto di Teatro compuesto y dibuyardo por el Ingeniero Arquiteco Carlos Zucchi por encargo del los senoros de la Comision Directiva de la Sociedad de Accionistas - Montevideo, Febbraio 1841." di pagine 70 con una tavola incisa = Questo progetto però non ebbe esecuzione. Morì l'8 Settembre 1843 a Nebiara nei subborghi di Reggio.

 

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Commediografi e scrittori

di cose teatrali



Agosti Giulio – morto in età di anni 26 nel 5 Ottobre 1702. Ha alle stampa due tragedie: Artaserse (Reggio Tip. Vedrotti 1700) e Cianippe (Reggio Tip. Vedrotti 1700) – Scrisse pure e pubblicò un Oratorio per musica: Le lagrime di Maria nella passione d Cristo (Reggio Tip. Vedrotti 1701) e che fu posto in musica da Clemente Munari maestro di cappella della nostra Cattedrale.

 

Ariosto Lodovico l’autore dell’Orlando Furioso e delle satire. Nacque in Reggio l’8 Settembre 1474 da madre reggiana, Daria Malaguzzi Valerj. Scrisse La CassandraI suppositiLa LenaIl negromante e La Scolastica, coi quali componimenti dimostrò di essere commediografo, e dei primi, che in tal genere meritò secura lode. Morì a 58 anni alli 6 Giugno 1533.

 

Arlotti Decio figlio del Conte Aliprando di antichissima famiglia reggiana. Morì il 1° Maggio 1759 in età avanzata. E’ autore di una rappresentazione teatrale intitolata: Trionfo di Pompeo Magno contro Mitridate Re di Ponto(Modena 1724) – di una tragedia in versi il Meemet che dedicò al Serenissimo Principe ereditario di Modena Francesco Maria d’Este (Reggio, Vedrotti 1728) – e La Rosmina tragedia pure in versi (1745)

 

Balletti Pietro figlio del fu [spazio vuoto] Segretario di Prefettura e della Ca [Vittoria, cancellato] Fossa, allievo della Scuola Militare di Modena, nato nel 1880 circa. Ricorrendo nella scuola suddetta la festa annuale Mak π. 100 del 1899, dettò per tale occasione un lavoro rappresentativo in versi L’ultima notte di Campo con addattati con musica da lui scelta fra le migliori opere e la cui partitura fu eseguita da Attilio Vergerio suo collega di scuola. L’esecuzione di tale lavoro riscosse gli applausi dei molti invitati alla rappresentazione, nella quale il Balletti stesso sostenne la parte di donna.

 

Bojardo Ce Matteo Maria l’autore dell’Orlando innamorato. Nacque a Scandiano nel 1434 e morì a Reggio il 21 Febbraio 1494 – Scrisse il Timone che il Macchiavelli disse la più antica commedia italiana, e che al dire del Tiraboschi 

 

 

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“rinnovò il Teatro italiano e in Ferrara diè i primi esempi di solennissime rappresentazioni.”

 

Bertolini Donnino nato a Bibbiano di Reggio il 19 Marzo 1763, scrisse parecchie commediole morali e facete in dialetto reggiano che faceva rappresentare coi burattini dagli alunni del Conservatorio di S. Pietro. Nel 1811 pubblicò in Reggio una cantata: l’Aristodemo, posta in musica da Francesco Sirotti ed eseguita nella sala della Società Filarmonica dalli Signori Natale Sirotti e Carlotta Zaccheria. È pure autore della commedia in prosa Il filantropoLe avventure di Saffo dramma serio per musica, Il Conte di Culagna dramma buffo, La famiglia democratica commedia in prosa. Scrisse anche un’altra Cantata Pastorale per l’arrivo di S.A.R. Maria Beatrice, edita in Reggio nel 1816 – Morì il 16 Maggio 1819.

 

Bigolotti Cesare – Fu il primo che introdusse in Lombardia le macchine per ridurre a miglior gusto gl’intermezzi delle commedie. Fu pure autore di un dramma per musica intitolato Odoacre stampato a Reggio dal Vedrotti nel 1687.

 

Bombace Gabriello – Autore di due tragedie: L’Alidoro rappresentata in Reggio con grande apparato nel 1568 in occasione della venuta di Barbara d’Austria Duchessa di Ferrara; e la Lucrezia Romana, ambedue inedite – Egli morì sotto le rovine della sua casa il 2 Febbraio 1550.

            L’Alidoro fu corretta poi da suo figlio Asdrubale che morì nel 1626.

            Il Tiraboschi nella sua Biblioteca Modenese dice che una copia manoscritta dell’Alidoro conservasi nella libreria dei Canonici della Cattedrale di Reggio eseguita da Jacopo Vezzani che vi appose la seguente nota degna di essere riportata: “Alidoro Tragedia del Signor Gabriele Bombasi Accademico Trasformato, da nuova cura e molta diligenza del Signor Asdrubale Bombasi (essendo stato prevenuto e impedito dalla morte) revista, ornata e non poco abbellita per essere stato gentilhomo non men del padre della Toscana e Latina favella, nella quale eccellentemente ha scritto, intendentissimo, come si vedrà dall’opere di Lui, che un giorno usciranno alla pubblica luce del mondo, che furono da lui poco avanti la morte raccomandate a me D. Giacomo Vezzani, che di presente ho scritto la presente Tragedia, e mi è paruta 

 

 

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quanto alla favola, quanto all’ordine, artificio & alla gravità delle sentenze, alla scielta, e maestà delle parole degno parto di così elevato ingegno, qual ho inteso essere stato il Signor Gabriele Bombasi da me di faccia (per esser vissuto quasi sempre & morto in Roma in Corte dell’Illmo Sigr Cardinale Odoardo Farnese mentre io ero giovinetto) non mai conosciuto (1)”

 

Cagnoli Luigi – Nacque in Modena da genitore reggiano il 7 Dicembre 1772. E’ autore di due composizioni: Francesco Sforza al Castello di Casanova melodramma (Reggio 1840) musicato dal M° Giambattista Rabitti, ma non rappresentato, e Ruth azione sacra edita a Milano nel 1845, oltre al Ritorno d’Alberto Signore d’Este cantata in Reggio nel 1814 per l’arrivo di S.A.R. Francesco IV. – Morì in Reggio nel 1854.

 

Campanini Naborre – Nacque a Novellara il 28 Agosto 1850 – Cominciò i suoi studi nel Collegio di Correggio da dove passò a quello di Reggio e frequentò il nostro Liceo Spallanzani. Addotoratosi in Giurisprudenza nel 1873 a Modena, insegnò lettere italiane nella R. Scuola Normale poi nel R. Istituto Tecnico di Reggio (1876), dove insegna ancora e del quale e anche Preside. – Poeta che 

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(1) Tiraboschi – Biblioteca Modenese – Vol. VI P.Ia pag. 37

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fa buoni studi e buoni versi, come disse il Carducci, oltreché in poesia ha scritto non pochi lavori letterari e storici in prosa. Ed è anche scrittore di diverse commedie. – Il suo primo tentativo credo sia una semplice traduzione: L’uomo di mondo datasi al Teatro Croppi la sera del 22 Aprile 1880 dalla Società Filodrammatica Ariosto. Nel 1885 la sera del 26 Marzo la Compagnia di Amato Lazzari gli rappresentò Il matrimonio di Giorgio e nel 1894 diede da rappresentare alla Compagnia Chiavelli-Majone Diaz due altri suoi lavori: Ride bene chi ride ultimo (23 Maggio) – Scacco al Re (30 Maggio), sempre al Politeama Ariosto.

 

Calcagni Cte Carlo – di antica nobile famiglia. Lasciò molti saggi del suo comporre in versi ed in prosa, per cui molti letterati del suo tempo l’ebbero in grande stima. Scrisse ancora una tragicommedia in versi sotto il finto nome anagrammatico di Alarco Gnacci che venne rappresentata in Reggio nel Carnevale del 1645 con molto plauso e che porta per titolo L’Innocente Giustificato. Fu stampata a Parma da Francesco Cervi nel 1646 e di nuovo ivi nel 1650 da Erasmo Vigna e finalmente in Milano per Giuseppe Morelli (senza data) – Fioriva il suddetto Conte intorno al 1640.

 

Casali Pietro – morto nl 1898 d’anni 70 circa. Fu Vice-Direttore della società Filodrammatica Ariosto fin che questa ebbe vita. Ha alle stampe La statua di carne dramma romanzo di Teobaldo Cicogni ridotto a dramma lirico (Reggio Tip. Calderini 

 

 

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1869 e Milano Tip. Ricordi 1873), musicato dal M° Eugenio Marchiò, e Amore e Vendetta melodramma con prologo e tre atti (Reggio Tip. Torreggiani 1875) musicato dallo stesso M° Marchiò – Ha pure diversi lavori drammatici inediti alcuni dei quali furono rappresentati al Teatro Diurno Sociale.

 

Chiesa Sebastiano della Compagnia di Gesù, che sotto il nome anagrammatico di Tisabesano Secchia, lasciò inedito, ma divulgatissimo, il poema burlesco Il Capitolo dei Frati. E’ autore di diverse commedie e tragedie perdute, fra le quali il Demetrio rappresentato a Parma nel 1644 e l’Enrico recitata pure a Parma per le nozze del Duca Rannuccio nel 1644 – L’Odilia tragicommedia in versi – La Rosalia azione drammatica spirituale in versi – Il Guaschi aggiunge, che scrisse ancora sei commedie, fra le quali erano piacevoli ed ingegnose Li quattro simili, il Presciutto, il Potacchio ossia il Figliuol Prodigo, e la Commedia in commedia. - . Morì verso il 1690

 

Corbelli Paolo – (n. 1810 circa) – Ha alle stampe Tiberio in Capri tragedia lirica edita a Reggio coi Tipi Bondavalli e Gasparini ma non per anco musicata. E’ pure autore della commedia Il nastro rosso e il nastro verde rappresentata al Teatro diurno sociale di Reggio la sera del 28 luglio 1881 dalla Compagnia Drammatica dell’Emilia diretta dall’Astista Carlo Borisi.

 

Dall’Olio Giambattista nacque in Villa Sesso, Comune di Reggio, il 19 Febbraio 1739. – Oltre a diversi scritti: Sul primo pubblico dramma musicale italiano e sull’inventore del recitativo (Firenze 1790), Sulla musica (Modena 1802), e molti altri, scrisse cinque commedie: L’Ospite onoratoLa figlia rispettosaGeltrudeIl MaledicoIl marito senza moglie, che ottennero plausi nei teatri di Modena e Parma nel 1784. Morì a Modena nel 1823 d’anni 85.

 

Denti Prospero – Direttore del Seminario Convitto di Reggio, morto nel 1795. Oltre a varie tragedie che scrisse per i suoi alunni, pubblicò a Reggio nel 1754 il Carlo Magno azione scenica.

 

Donelli Gaetano nato nel 1819 e di cui parleremo fra i cantanti, scrisse in appendice alla Gazzetta di Reggio una Proposta di riforme teatrali ([spazio vuoto]) e nell’altro Periodico reggiano Il Cittadino stampò alcuni brevissimi ed incompleti 

 

 

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cenni sopra i Cantanti viventi. (1863 Anno I° = N. 61)

 

Faieti Luigi abate nato a Reggio il 24 Giugno 1750. Buon compositore di musica ed inventore d’un meraviglioso istrumento Armonico che dalla Società delle Arti meccaniche di Reggio fu premiato della medaglia d’oro nel 1809. All’età di 23 anni pubblicò in Reggio tre graziosi componimenti drammatici: Il disinganno (1773), Il trionfio dell’amore divino (1779), La Galleria dei sacrifici antichi (1780), ed altri tre ne diede alla luce nel 1834 cioè: Giuseppe vendutoGiacobbe che riceve la falsa notizia della morte di GiuseppeIl ritorno di Davide dal trionfo di Golia. – Lasciò pure inedite altre operette drammatiche e morì nel 1841 a 91 anni.

 

Fantuzzi Gaetano dotto sacerdote (n. [spazio vuoto]). Scrisse diverse commedie per gli alunni del Seminario Vescovile di Reggio, che sono menzionate nelle Notizie Biografiche e Letterarie degli scrittori dello Stato Estense(Reggio Tip. Torreggiani Tomo 5°.)

 

Fantuzzi Prospero nipote del sopradetto, morto a Reggio nel 1863. Oltre a molti scritti di Storia patria lasciò anonimo un catalogo delle rappresentazioni in musica date nei teatri di Reggio dal 1701 al 1825 (Tip. Torreggiani 1826), il quale catalogo continuandolo fino al 1839 fu riportato da Giuseppe Pini ne’ suoi Diari: Ogni giorno unfatto storico.

 

Favalli Ercole viveva nel 1596 circa. Si applicò in particolar modo alla poesia tragica, nella quale riuscì felicemente, come lo dimostrò nell’Eraclea, inedita.

 

Ferrari Benedetto sopranominato della Tiorba perché eccellente nel suonare questo istrumento. Nacque nel 1597 circa. Ebbe fama di uno dei migliori poeti che vivessero e ne fa prova il plauso con cui i drammi da lui scritti, e talvolta anche musicati, furono accolti a Venezia, Bologna, Parma, Piacenza, Vienna ed altrove.

            La sua Andromeda rappresentata a Venezia nel Teatro S. Cassiano nel 1637 è il primo dramma per musica, secondo lo Zeno, datosi in quel teatro non solo ma anche in quella città. Sono sue opere:

            = La Maga fulminata, Dramma recitato in Venezia nel tearo S. Cassiano (1638)

            = L’Armida, Dramma rappresentato nel teatro de’ SS.Gio: e Paolo in Venezia (1639)

            = Il Pastor Regio, Dramma rappresentato in

 

 

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Venezia nel teatro di S. Mosè (1640), in Genova (1645), in Venezia, Bologna, Genova, Milano e Piacenza (1646).

            = La Ninfa avara, favola boschereccia rappresentata al teatro S. Mosè di Venezia – la musica fu dello stesso autore. (1641)

            = Il Principe Giardiniero, Dramma rappresentato nel teatro de’ SS. Gio: e Paolo di Venezia (1644).

            = L’inganno d’amore, Dramma per musica con musica dello stesso autore – Ratisbona 1653.

            = Licasta, Dramma per musica – Parma 1664 – con musica dello stesso Ferrari.

            = Vittoria d’Imeneo, Balletto nelle nozze di Francesco d’Este Duca di Modena colla Principessa Vittoria Farnese (1648).

            Le poesie drammatiche del Ferrari furono raccolte e pubblicate a Milano nel 1644 e ristampate nel 1654 nella stessa città.

            Morì nel 1681 di 84 anni

 

Ferrari Giuseppe – nato a Reggio il 19 Marzo 1845 si laureò in Giurisprudenza presso la R. Università di Modena nel 1868. E’ professore da molti anni, nel nostro Istituto Tecnico, di lettere italiane. – Anch’egli come il Campanini suo Collega è autore di diversi lavori drammatici, alcuni dei quali non volle ancora far rappresentare, diede però la sera del 25 Aprile 1885 al Politeama Ariosto La Saracena il cui soggetto è tolto dalla storia reggiana (Compagnia Amato Lazzari) e nel 31 maggio 1894 Scongiuro, monologo (Compagnia Chiavelli-Majone Diaz)

 

Fiastri Virginia Maria Adelaide figlia del Cav. Giovanni e della Contessa Giustina Salimbeni, nata a Reggio nel 1865 e sposata nel 1885 al Dr Giuseppe Guicciardi, figlio del cantante. Scrisse fra altri lavori letterari: Il maestro di scuola Vaudeville per bimbi (1895) – Gabriele il Pastore Vaudeville per fanciulli (1896) – Gnint in tûtt scherzo comico in un atto in dialetto reggiano (1897) – Sleppa commedia in due atti pure in dialetto (1898) – Servitour pustezz monologo in dialetto dedicato al Dr Francesco Ponti e detto dallo stesso per la prima volta nel teatro del Manicomio di S.Lazzaro (1896) – Fui vera monologo pubblicato nella Tribuna Illustrata – Che sugo c’è monologo pubblicato nell’Illustrazione Popolare e recitato in una casa privata nel Dicembre 1893. – Devo prender moglie monologo recitato dal Dr Ponti nel teatrino del Manicomio la sera del 10 Marzo 1898 – Prime Luci dramma minimo per bimbi rappresentato al suddetto teatrino la sera del 14 Marzo 1898.

 

 

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Fontanelli Marche Alfonso Vincenzo – Nobile reggiano figlio del Marchese Giulio e di Violante Mastellari nacque il 10 Aprile 1706 e fu tenuto al sacro fonte dal Serenissimo Duca Rinaldo I° = Morì a Modena il 3 Dicembre 1777.

            Abbiamo di lui alle stampe:

            = S. Francesco di Paola, azione sacra a cinque voci da camera da cantarsi in Bruna innanzi al Card. Vescovo d’Olmutz, Poesia del March. Alfonso Fontanelli – Bruna: presso lo Svvoboda (1734).

            = L’Alzira, Tragedia di M. de Voltaire tradotta in prosa – Bologna: per Lelio della Volpe 1737 in 4.

            = Le nozze del piacere e dell’allegria, Festa teatrale tradotta dal francese – Modena per Francesco Torri 1748 in 8.

            = Gustavo, Tragedia di M. Piron tradotta in prosa – Bologna 1746.

            = Il Bruto, Tragedia di M. Voltaire tradotta in prosa – Bologna 1747.

            = La Zaira, Tragedia di M. Voltaire tradotta in prosa – Bologna 1747.

            = Il Maometto, Tragedia di M. De La Noûe tradotta in prosa – Bologna 1750.

            Manoscritti:

            = Il Nicomede, Tragedia di Pier Cornelio in prosa 1733.

            = I Fratelli nemici, Tragedia di M. Racine in prosa 1736.

Il Poliuto, Tragedia di Pier Cornelio in prosa 1738.

Il Mitridate, Tragedia di M. Racine in prosa 1738.

Roma salvata, Tragedia di M. de Voltaire in prosa 1745.

L’Olimpia, Tragedia di M. de Voltaire in prosa 1745.

La Berenice, Tragedia di M. de Voltaire in prosa 1746.

La Merope, Tragedia di M. de Voltaire in versi Martelliani 1748.

Il Cesare, Tragedia di M. de Voltaire in prosa 1752.

Il Varrone, Tragedia del Sigr Visconte della Grave in Versi 1756.

Il Catilina, Tragedia di M. de Voltaire in prosa 1757.

Il Conte di Warwick, Tragedia di M. de la Harpe in versi 1768.

 

Fontanelli Ce Decio nacque a Reggio il 16 Maggio 1624 

 

 

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dal Conte Vincenzo e dalla Contessa Aspasia Manfredi. Morì nel 1707; scrisse il Maurizio dramma stampato a Modena nel 1689 e dedicato a Francesco II°.

 

Fossa Alessandro morto nel 1735; una cui commedia rusticale intitolata: Il bravo in credenza si recitò per molti anni in parecchi teatri

 

Franceschi abate Domenico Aurelio nato nel 1695. Nel 1715 fu nominato Professore del Seminario, a 28 anni Rettore e nel 1730 Rettore della Parrocchia di S. Lorenzo. – Mentre era Prof. del Seminario scrisse diverse azioni sceniche ed accademie poetiche che furono recitate da’ suoi scolari, fra le quali:

Li presagi d’una virtù matura, azione scenica rappresentata l’11 Agosto 1716.

La virtù emulatrice del regnare, azione scenica rappresentata il 12 Agosto 1717.

Le brame del retorico principale, accademia recitata nel 1718.

Li prodigi della felicità nelle lettere, accademia recitata il 12 Agosto 1719.

Li disegni di Dio a favore dell’immacolato mistero di Maria, 18 Dicembre 1719.

Li Rettorici in Pindo, azione scenica recitata nel 1720.

Il desiderio delle belle arti, accademia recitata nel 1721.

Il divertimento di Pindo, accademia recitata nel 1722.

Trasportò ancora in verso italiano il Tieste di Seneca e lo accomodò all’uso del teatro italiano e compose per fine una tragedia latina intitolata il Perolla.

 

Friggeri Enrico nativo di Brescello già Professore della Scuola Tecnica di Montecchio poi di quella di Nicosia poi direttore, ora in pensione; ha alle stape Onoratezza e lavoro ossia Veri e falsi amici dell’operaio, scene popolari in 5 atti.

 

Garimberti Pietro nato a Campegine nel 1706. Studiò a Reggio nelle scuole dei PP. Gesuiti; fatto sacerdote fu scelto a maestro di Grammatica poi di Umanità e Rettorica nel Seminario di Reggio – Morì Rettore della Parrocchiale di S. Biagio nel 1772 – Mentre era Professore compose alcune sceniche rappresentazioni in verso jambo latino che furono pubblicamente rappresentate da’ suoi scolari, ed ei ne 

 

 

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pubblicò colle stampe il programma indicante non solo l’argomento e gli attori della medesima ma anche la trama di tutte le scene per agevolare agli uditori l’intelligenza. – Una di queste è il Romulus et Remus a cui trovasi unito il programma: Lo scoprimento di Romolo e Remo tragedia in verso latino da rappresentarsi nel Collegio Seminario di Reggio dai Sigi Grammatici l’anno 1738 – Reggio pel Vedrotti in 4°

            Altre tragedie del Garimberti rappresentante nel Seminario Collegio sono: La morte d'Artaserse (1736) - L'Eneo, o la morte di Meleagro (1737) - Il Nicomede vendicato (1743) - La morte di Annibale (1744).

 

Germani Giuseppe diede in luce un’operetta teatrale in tre atti intitolata La superbia depressa e l’umiltà inalzata, edita a Parma nel 1701.

 

Guasco Giovanni Sacerdote, dottore in Legge e storiografo Reggiano. Nacque nel 1671 e morì il 7 Dicembre 1746. Era figlio di Guglielmo e di Angiola Gnosi. Anch’esso va annoverato fra gli scrittori teatrali pel suo Oratorio per musica: La purità trionfante del sospetto, edito a Reggio nel 1703 per Ippolito Vedrotti. 

 

Lamberti Luigi, profondo ellenista nato in Reggio il 27 Maggio 1759. Dopo compiuto gli studi fu nominato dalla Accademia degli Ipocondriaci in sua adunanza 15 Maggio 1783 Segretario perpetuo. – E’ autore di una azione scenica, Alessandro in Armozia, applauditissima che fu recitata nel gran teatro della Scala di Milano nel 1808 – Morì il 4 Dicembre 1813 a Milano.

 

Lusetti Grisanto – Reggiano Poeta e Pittore, ha dato in luce: Li contrapposti amorosi o li rotti incanti, in Modena per Bart. Soliani 1648 in 12. È una commedia pastorale in prosa, ma con parte del prologo in versi, e con alcuni madrigali al principio e al fine degli atti.

 

Malaguzzi Ce. Flaminio – Nell’età di soli 15 anni, in cui morì nel 1552 a Padova, compose una commedia, Teodora, edita nel 1572 a Venezia dal Decani per Domenico Ferri.

 

Malaguzzi Ippolito – Compose nel 1812 La Congregazione di Carità rinnovata per un terzo, succosa e leggiadra commedia inedita, di cui vi hanno però in Reggio diverse copie. Morì nel 1854.

 

 

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Malaguzzi Veronica onore del suo, figlia del Conte Valerio e della Contessa Leonida Majoli, nacque in Reggio ai 26 Febbraio 1630 un giorno dopo che la madre ebbe data alla luce un’altra bambina. Lasciò due drammi, l’uno edito, L’Innocente riconosciuto, dedicato alla Ser. Altezza della Signora Duchessa Laura di Modena (Bologna 1660); l’altro inedito, La sfortunata fortunata, dedicato alla Principessa di Toscana Luigia Margherita d’Orleans

Il Tiraboschi nella sua Biblioteca Modenese al Vol. VI P. I pag. 113 dice: “Una copia MS. dell’Opera della Contessa Malaguzzi trovasi in Venezia presso il Sigr Jacopo Morelli con questo titolo: La fortunata sfortuna de’ Principi Infanti d’Orissa – Opera scenica ordita dalla Conta Veronica Malaguzzi Valeri da Reggio dedicata alla SerenAltezza di Margherita Luisia d’Orleans Granduchessa di Toscana – L’Opera è in prosa e divisa in tre atti.”

 

Manini Vincenzo scrisse un graziosissimo componimento drammatico: I profeti al Calvario, cantata a quattro voci messa in musica dal celebre Gazzaniga e rappresentato in Reggio nel 1765 e 1792, stampato due volte, la prima a Parma nel 1765 e la seconda a Reggio nel 1832.

 

Mattacoda Tommaso Scandianese, figlio di Cristoforo e di Francesca di Francesco Bismantova. Il Tiraboschi nella già citata Biblioteca Modenese dice: "Pare ancora che il Mattacoda fosse scrittore di tragedie, perciocché nel supplemento MS. alla cronaca di Scandiano del Prampolini si narra, che essendo venuto a Scandiano nel 1545 Giberto Pio Signore di Sassuolo, il Conte Guido Bojardo vi fece recitare l’Egisto, Tragedia di Tommaso Mattacoda.”

Questo Mattacoda viveva ancora nel 1522 ma non si sa la data della sua nascita, né quella della morte

 

Menozzi Andrea – Nato il 12 Marzo 1720, morto il 2 Agosto 1766. Nel triennio in cui insegnò Rettorica nel Seminario di Reggio, compose tre poetiche accademie che si recitarono pubblicamente da’ suoi scolari, le quali furono: 1a La Poesia vendicata dalle Calunnie; 2a La critica della critica; 3a Il congedo della Rettorica.

 

Merli Feliciano di Correggio. È autore di un’opera scenica MS. intitolata il Numa. Manca l’epoca del suo vivere e non si sa altro che era Auditore del Duca di Guastalla Vincenzo Gonzaga.

 

 

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Miari Alessandro – Fioriva sulla fine del secolo XVI. Scrisse il Mauriziano favola pastorale (Reggio 1584); La caccia favola boschereccia, la prima di tal genere che vedesse la luce (Reggio 1589); Il Principe Tigridoro, Tragedia (Reggio 1591); Il Vociferonte ovvero Metamorfosi amorose, Tragicommedia boschereccia (Macerata 1612).

 

Mingelli Mario – È noto soltanto per una tragedia intitolata Artemisia, scritta in versi – Manca l’epoca in cui visse.

 

Ottolenghi Giuseppe – nacque a Reggio nel 1845 circa da famiglia israelita. Dopo compiuti gli studi nel R. Istituto Tecnico di Reggio si allontanò dalla città natale e andò a stabilirsi a Venezia dove per molti anni insegnò nell’Istituto Ravà e in seguito dal 1885 fu Direttore della Gazzetta del Popolo. – Il 20 Giugno 189[spazio vuoto] diventa pazzo e il successivo 3 Luglio è chiuso nel manicomio Tomba dove morì credo entro l’anno.

Egli è autore di In Pretura che ha percorso con successo tutti i teatri d’Italia, Tavolozzo drammatica – Goldoni e Ferrari – El sciopero dei barcarioi – La luganeghera a Parigi – Il divorzio di uno scapolo – Conferenza a piena orchestra sui debiti.

 

Paradisi Ce. Agostino nato ai 25 Aprile 173[spazio vuoto] da Giammaria Paradisi e Teresa Castaldi. – Fu letterato, filosofo, poeta ed economista distinto. Si occupò anche a tradurre azioni drammatiche dal francese e nel 1764 in Modena stampò una Scelta d’alcune eccellenti tragedie francesi tradotte, in tre tomi in cui si trova Gli Epitidi tragedia originale da lui composta.

 

            Paradisi Ce. Giovanni, filosofo, matematico, poeta. Oltre a un Ragionamento sulla commediaLa Lusinghieradel Nota, scrisse: Il Vitalizio (Milano 1822) e insieme al Cav. Luigi Lamberti compose La Stratonica, melodramma giocoso che fu stampato a Bologna nel 1828 e a Reggio due volte.

 

            Pariati Dr Pietro nato il 27 Marzo 1665 da Giambattista Pariati e da Lucrezia Corretta. Verso il 1700 cadde in disgrazia del Duca Rinaldo e dovette abbandonare la sua città natale dopo essere stato per non breve tempo prigioniero nella fortezza di Modena, né si è potuto (al dire del Tiraboschi) saperne la cagione. Uscito dalle carceri passò a Venezia e cominciò a comporre Drammi per musica. Ivi conobbe Apostolo Zeno dalla cui amicizia dovette non pochi lumi ed 

 

 

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assieme a lui contribuì non poco alla riforma della poesia drammatica. I drammi che scrisse a Venezia da solo e in concorso collo Zeno gli ottennero tale rinomanza che nel 1714 fu chiamato alla Corte Cesarea a servire l’Imperatore Carlo VI nel comporre drammi per musica per quell’Imperiale Teatro. Quivi pure ebbe a compagno lo Zeno prima, poscia il Metastasio. Morì a Vienna nel 1733 lasciando moltissime composizioni drammatiche cioè:

1.     Sidonio, Dramma recitato nel Teatro di S. Cassiano di Venezia (1706);

2.     Caio Marzio Coriolano, Opera in prosa (1707);

3.     Pimpinone, intermezzi comici, musici rappresentati nel Teatro di S. Cassiano nell’autunno 1708;

4.     Ciro, Dramma recitato al teatro S. Cassiano (1709);

5.     Humilitatis exaltata, sue Esther Regina, Oratorium Musicum: habebatur in templo D. Lazari Mendicantum. Venetius (1712);

6.     I satiri in Arcadia, Favola pastorale (1714);

7.     Teseo in Creta, dramma per musica (1715);

8.     Il finto Policare, tragicommedia per musica (1716);

9.     Angelica vincitrice d’Alcina, Festa teatrale (1716);

10. Sesotri, Opera in prosa (1716);

11. Caio Marzio Coriolano, Dramma (1717);

12. Elisa, componimento teatrale per musica (1717); 

13. Archelao Re di Cappadocia, Tragicomedia per musica (1722);

14. Costanza e fortezza, festa teatrale (1723);

15. Meleagro, festa teatrale (1724);

16. La Penelope, Tragicommedia per musica (1724);

17. Arianna e Teseo, Dramma recitato nel Teatro di San Gio: Grisostomo di Venezia (1727);

18. La corona d’Arianna, Festa teatrale (1727);

19. Le nozze dell’Aurora, Festa teatrale (in Tedesco) per le nozze dell’Arciduchessa Maria Amalia col Principe Elettorale di Baviera Carlo Alberto – Stampata a Vienna nel 1732.

Compose assieme allo Zeno:

1.     Ambleto, Dramma rappresentato nel Teatro S. Cassiano di Venezia (1705);

2.     Antioco, Dramma rappresentato nel Teatro suddetto (1705);

3.     Artaserse, Dramma recitato nel Teatro S. Angiolo in Venezia (1705);

4.     Satira, in Venezia (1706);

5.     Anfitrione, dramma per musica recitato nel Teatro S. Cassiano Venezia (1707);

6.     Astarto. In Venezia 1708;

7.     Flavio Anicio Olibrio. In Venezia 1708;

8.     Il falso Tiberino, Dramma recitato nel Teatro S.Cassiano Venezia (1709); 

9.     Sesostri Re d’Egitto, Dramma. In Venezia (1710);

10. Costantino. In Venezia (1711);

11. Don Chisciotte in Sierra Morena, Tragicommedia per musica (1719);

12. Alessandro in Sidone, Tragicommedia. In Venezia 1721.

 

 

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Parisetti Flaminio che visse costantemente alla Corte di Wolflembutel, lasciò quattro drammi tutti editi in quella città nel 1691, cioè: La grotta di SulzohelGli inganni di CupidoL’IsioneIl Re pastore ovvero Basilio in Arcadia. – Morì a Reggio ai 19 Settembre 1693.

 

Parisetti Leone morto nel 1700, scrisse tre drammi editi in Reggio: L’Antioco (1668) – L’Argia (1671) – Le fontane di Rodope e di Amira (1674).

 

Peretti Antonio nato a Castelnovo Monti il 13 Giugno 1815, ci ha lasciato due eleganti componimenti drammatici: Beatrice di Tolosa Melodramma (Modena 1841) e Carattaco Tragedia lirica (Modena 1842), amendue musicati dal M° Catellani, ma solo l’ultimo fu rappresentato a Modena nel 1842. Compose anche alcuni Cori e Cantate per musica, fra le quali La fata (Modena 1842) – Morì a Ivrea nel 1858.

 

Pini Giuseppe nato a Scandiano l’11 Novembre 1798. Studiò nel Collegio Convitto sotto i PP. Gesuiti. Compiuto il corso filosofico, depose l’abito ecclesiastico e si mise ad istruire privatamente la gioventù finché da un ufficio all’altro passò Segretario della Tipografia e Libreria Rossi di Modena ove morì ai 27 Agosto 1867. E’ autore di un Diario intitolato: Ogni giorno un fatto storico Reggiano (1842 al 1845) nel quale si trovano raccolti gli spettacoli musicali dati al Teatro Comunale di Reggio dal 1800 al 1839. Scrisse pure un Inno all’Arciduca Francesco IV edito nel 1840 e musicato dal M° G.B. Rabitti.

 

            Prati Anton Maria. Autore dei drammi editi: La Margherita ravveduta (Parma 1612) – La Taide convertita(Parma 1612) – La Maria racquistata (Parma 1614) – Tito convertito (Parma 1617) – L’Egizia pentita (Parma 1615) – La Vittoria migliorata (1621).

 

            Pratissoli Ippolito è autore di un dramma Tullia superba edito in Reggio nel 1679.

 

 

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            Raimondi Luca scrittore di diverse opere drammatiche edite a Reggio, Parma, Bologna, Venezia dal 1672 al 1681, cioè: L’innocenza difesa nel tradimento occulto ovvero Il perdono è cosa grande – I trionfi d’amore ne’ deliri dell’inganno ovvero La propria passione accieca – La forza del ritratto ovvero Gli equivoci nelle gelose vendette – L’onorata povertà di Rinaldo o La virtù trionfante – Nel tacere mai si ritrovò fallo – La Stratonica, Dramma musicale.

 

            Ravicio Domenico di Correggio – Nacque agli 8 Marzo 1568 da Federico Ravicio e da Barbera Carisi. Morì circa nel 1629 – Abbiamo di lui L’astrologia amorosa commedia nuova in prosa (Venezia 1610)

 

            Ritorni Ce Carlo nato al Finale il 6 Giugno 1786. È questi il principale storiografo del Teatro di Reggio di cui scrisse gli annali dal 1807 al 1840 editi in Bologna dal Nobili in 16 volumi. È forse il primo scrittore di cose teatrali d’Italia. Fra i suoi lavori oltre gli Annali Teatrali sono da ricordarsi: Consigli sull’arte di dirigere gli spettacoli (1825) – Ammaestramenti alla composizione d’ogni poema e d’ogni opera appartenenti alla musica (1841) – Gli autori patrii e i patrii Teatri (1855) – Commentari della vita e delle opere di Salvatore Viganò (1838) – Commedie: L’Impresario di Smirne – Le cantatrici villane ossia L’impresa di Montefosco – La sposa di due sposi – Uno sbaglio di Sipario – tutte edite e delle inedite esistono nell’archivio Turri (che ora fa parte della Biblioteca Municipale di Reggio): Potrocolo – La Gioventù di Ciro – L’innocenza tradita – Ruggero – Rosmonda – Arciparda e gli schizzi degli Orazi della Polissena e delle Traiane.

            Egli cessò di vivere in Reggio il 27 Marzo 1860 in età di 74 anni.

 

            Salandri Abate Pellegrino – Questo Reggiano va annoverato fra i più illustri poeti dello scorso secolo. Nacque in Reggio ai 30 Aprile 1723 da genitori poveri e ad una persona pia ed agiata di beni di fortuna dovette l’essere posto in educazione nel Seminario di Reggio. Quivi seppe ben presto distinguersi e conseguita la laurea in teologia sortì dal Seminario dedicandosi poscia singolarmente agli studi dell’amena letteratura e in special modo alla poesia. – Morì a Mantova (ove era Segretario dell’Accademia di scienze e belle lettere e Segretario del Tribunale Araldico) per una caduta di carrozza ai 17 Agosto 1771 mentre si recava in Villa per passarvi alcuni 

 

 

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giorni. - Fra i molti suoi lavori sono alle stampe: 1° Componimenti recitati nella solenne apertura del Teatro Scientifico della R. Accademia di scienze e belle lettere di Mantova seguita la sera del 3 Dicembre 1769 – In questo libro sono: una cantata per musica, un breve discorso per la pubblicazione dei premi e un’ode intitolata La Notte – 2° Un’azione Lirico-Drammatica intitolata Il Certame (Mantova 1771).

 

            Scandianese Tito Giovanni – Egli non prese mai altro nome che quello della sua patria dicendosi semplicemente Scandianese – Nacque nel 1518 e morì nel 7 Agosto 1582 – Si hanno di lui, fra le molte sue opere, le seguenti per le quali è qui annoverato: Il Palemone, Pastorale recitata nel 1563 – La Cloride, Pastorale per nozze in cinque atti colle sue allegorie – La Venere Asolana, pastorale Italiana e Latina – La Clelia, commedia in verso sciolto.

 

            Scardova Pietro canonico – È autore di molte composizioni teatrali smarrite. Rimane però La nave edita a Bologna nel 1554 e il Cornacchione stampato a Bologna nello stesso anno. Lo Zeno dice che La nave è la prima commedia marittima che siasi veduta, e il Cornacchione la prima commedia pastorale.

 

            Sironi Ippolito nato l’anno 1698 in Rolo, morì il 23 Dicembre 1772. Si hanno di lui alle stampe due tragedie: l’Alceste e l’Adonia.

 

            Spaggiari Gaetano nacque a Reggio il 7 Agosto 1829. Sebbene abbandonasse presto gli studi costrettovi per un diverbio avuto coi PP. Gesuiti pure seguitò gli studi da solo e salì in fama. È autore di una Tragedia Olimpia Veneta che rifece più volte in prosa e poesia coll’idea di darla alle stampe, ma questo suo tentativo rimase però inedito. Morì a Londra il 16 Settembre 1863.

 

            Valla Prospero reggiano ha alle stampe: Orazione in occasione di un oratorio in musica intitolato Conforti nel divino amore recitato nell’ Oratorio della Visitazione di M. V. presso S. Agostino la sera del Martedì Santo – Reggio 1700 – Erimia in Siracusa, Tragedia – Ferrara 1704.

 

            Viganò Salvatore – Da Giacomo Braglia di Jano (Prova di Reggio Em.) e dalla Giuseppina Viganò, donzella della Duchessa d’Orleans moglie di Francesco III° 

 

 

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d’Este, nacque Onorato a Milano nel 1739, il quale lasciato il cognome paterno assunse quello della madre. Da questo Onorato che sposò, col favore della Imperatrice Maria Teresa, Maria Ester Boccherini lucchese danzatrice applauditissima, e che, ora coreografo ora pantomimo, percorse i principali teatri d’Italia e quelli di Vienna, nacque Salvatore Viganò a Napoli il 25 Marzo 1769.

            Abbandonò da giovane, sebbene avesse buona disposizione, gli studi per darsi all’arte coreografica. Studiò però oltre al ballo anche la musica dove fece profitto. In Roma cominciò a ballare in ispoglie femminili essendo allora bandite le donne dalle scene romane. – Andò con suo zio in Spagna e prese parte agli spettacoli di Madrid per l’incoronazione di Carlo VI e quivi sposò la bella Maria Medina danzatrice spagnuola di lui ben degna.

            Nel 1790 tornò in Italia. Nel 1791 compose il ballo Raul Signore di Crequì che diede a Venezia nel Teatro San Samuele ove era impresario- Nel 1794 alzossi in Vienna a maggior volo col Riccardo cuor di leone – Nel 1798 a Venezia diede il Riccardo e compose I serviani – Nel teatro di Ferrara ricompose e fece sua in parte La figlia dell’Aria, di suo padre – A Vienna nel 1799 diede la Clotilde Duchessa di Salerno poscia I giuochi IstmiciMarzilli ed OrisioGli spagnuoli nell’Isola CristinaIl noce di Benevento e qualche altro balletto buffo.

            Nel 1804 venne per la prima volta a Milano ma nel Teatro Carcano. Vi tornò, nel più degno Teatro, quello della Scala, nel 1812. Ivi creò l’eroico ballo Coriolano e l’anno dopo Sammete e Tamiri e il Prometeo che destò e desterà sempre un sublime incanto. Questo lavoro dimostrò come il Viganò tenesse il primo posto fra i Coreografi italiani.

            Al Prometeo tenne dietro il Numa Pompilio. Dopo Milano passò Salvatore al Teatro San Carlo di Napoli dove nel 1817 rappresentò il famoso ballo Mirra.

Fra le principali sue opere vanno pure annoverate il Dedalo, la Vestale, i Titani.

            Colla Didone finì il Viganò la serie de’ suoi componimenti e chi sa quali grandi opere avrebbe potuto fare, se la morte non lo avesse rapito ai 10 di Agosto 1821.

            Venne tumulato nel cimitero di Porta Orientale di Milano e sulla sua tomba si legge:

 

A

SALVATORE VIGANÒ

 

 

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PRINCIPE DE’ COREOGRAFI

LA FIGLIA E LA SORELLA INCONSOLABILI

NACQUE IN NAPOLI AI XXIV MARZO MDCCLXIX

FU RAPITO IN MILANO AI X AGOSTO MDCCCXXI

IN MEZZO ALL’UNIVERSALE COMPIANTO

 

            Vigarani Carlo fratello dell’Architetto – Nacque ai 15 di Maggio 1562. Scrisse un dramma per musica l’Erosilda stampato a Modena nel 1658.

 

            Zinani Gabriello – Si crede proveniente da un ramo della famiglia Ginani di Ravenna e non si sa da quanto stabilita a Reggio. Da Bartolomeo e Lucrezia Calcagni nacque Gabriello il 10 Febbraio 1557.

            Scrittore facondo di molte opere in prose ed in versi ed in particolar modo drammatici fra i quali: Il Caride, Favola pastorale (Parma per gli Eredi di Seth Viotto 1582) – L’Almerigo, Tragedia – Le meraviglie d’amore, Pastorale nelle nozze di Lodovico XIV Re di Francia e d’Anna d’Austria (1627).

            È anche autore di un Discorso della Tragedia (Reggio 1590) e di un altro Discorso della Pastorale, (Venezia 1627).

 

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Maestri di musica e suonatori

 

 

            Affarosi Antonio eccellente nella musica, nel suono di diversi istrumenti e nella composizione de’ Motetti da contarsi nelle funzioni sacre. Viveva in Reggio nel 1638.

 

            Asioli Bonifacio nato a Correggio il 30 Aprile 1769. Cominciò a studiare la musica a cinque anni e certo Don Luigi Crotti organista di San Quirino fu il suo primo maestro. A dieci anni fu mandato a Parma per studiare composizione sotto la direzione di Morigi – Due anni dopo fu a Venezia ove diede due concerti nei quali fu ammirato per la sua valentia al piano e per la sua facilità ad improvvisare delle fughe; poco dopo tornò a Correggio dove fu nominato Maestro di Capella – A 18 anni fra altri suoi lavori aveva composto due intermedi La Gabbia de’ Pazzi e il Ratto di Prosperina, una cantata La gioia pastorale, un oratorio Giacobbe di Galaad, tre opere buffe La volubileLa contadina vivaceLa discordia teatrale. Nel 1787 fu a Torino ove dimorò nove e quivi scrisse nove cantate: La PrimaveraIl NomeIl ConsiglioIl CiclopeIl ComplimentoQuella

 

 

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cetra pur tu seiPiramo e TisbeLa scusa e La tempesta, più due drammi Pigmalione e La festa d’Alessandro e infine Gustavo opera seria in due atti per il teatro reale di Torino.

            Nel 1796 accompagna il Marchese Gherardini a Venezia e vi sta fino al 1799 epoca in cui va a stabilirsi a Milano dove tre anni dopo il Viceré d’Italia lo nomina suo maestro di cappella e censore del Conservatorio musicale di quella città; poi fu a Parigi nel 1810 e nel 1820 si ritirò a Correggio a riposarsi, dopo aver dato alla luce moltissimi lavori, e quivi morì il 26 Maggio 1832.

 

            Asioli Francesco – Diede in luce i Primi scherzi di chitarra – Bologna pel Monti nel 1674 in 4°

 

            Barbieri Gianfrancesco – Maestro di Cappella, passò da Reggio alla Mirandola poi a Roma, a Piacenza e infine un’altra volta a Reggio ove morì in età di 77 anni nel 1730. Ha molte opere alle stampe fra le quali un Oratorio: Il Conforto del divino amore (Reggio 1691) – Gli scherzi poetici del Parisetti (Reggio 1694) e Il Trionfo delle spine (Reggio 1700).

 

            Bertani Natale discepolo di Giambattista Rabitti, maestro di musica al servizio del Comune di Reggio, diresse per parecchi anni e con onore gli spettacoli teatrali in patria e musicò diverse belle messe ed inni sacri che sono tuttora lodati dagli intelligenti. – Morì in Reggio il 1° Agosto 1846.

 

            Boyer Luigi – Maestro di musica al servizio del Comune di Reggio, primo violino e Direttore d’Orchestra. Era nativo di Parma ma da molto tempo domiciliato in Reggio ove morì ai 25 Giugno 1869 d’anni 78.

 

            Catellani Luigi – Professore di contrabasso e violoncello. Maestro dell’Orfanatrofio maschile di Reggio; Accademico Filarmonico di S. Cecilia, membro dell’Accademia Filarmonica di Ravenna, del Comitato musicale Rossiniano di Pesaro, primo contrabasso del Regio di Torino e della Scala di Milano. È morto

 

            Cattania Padre Arcangelo dell’ordine dei Servi di Maria. Teologo, Predicatore e Professore di Musica. Nel 1558 era maestro di Cappella nel Duomo di Siena e nel 1574 serviva nello stesso impiego il Cardinale Luigi d’Este. Pose in musica alcuni madrigali in Siena ed in Reggio.

 

 

[93]

 

            Conti Dr Antonio (n. 1791) - Valentissimo organista della Cattedrale di Reggio, maestro di pianoforte nel Collegio Convitto e compositore di scelti pezzi sacri concertati. Morì improvvisamente a Reggio, mentre accompagnava coll'organo un Tantum Ergo cantato da giovinetti nella Chiesa di Santa Teresa, la mattina del 24 Maggio 1858 nell'età di anni 67.

 

            Curti Enrico - Suonatore distintissimo di fagotto. Da molti anni stabilitosi al Cairo insegnante in quel Liceo musicale. Nel 1893 venne a Reggio e nel maggio, al Politeama Ariosto, mise in scena una sua opera: Triste Amorecolla quale dimostrò la sua attitudine al comporre.

 

            Ferrari Benedetto menzionato fra gli scrittori di drammi dei quali molti ne musicò egli stesso e fra questi l'Andromeda.

 

            Fornasari Dr Antonio (n. 1699) - Valoroso suonatore di violino poi maestro di Cappella della Cattedrale di Reggio, ove morì nel 1773. Pose in musica il Giuseppe riconosciuto del Metastasio, l'Amor platonico rappresentato in Reggio nel 1729 e molti altri componimenti teatrali e cose sacre e scrisse pure gli Elementi di musica necessari a sapersi per accompagnare la parte del basso nel cembalo.

 

            Friggeri Prospero primo tenore. Cantò a Modena nel Teatro di Corte, nel 1829, la Semiramide del Rossini. Fu buon maestro di suono e di canto nella quale arte fece non pochi e non ignobili allievi quali: le sorelle Donelli, la Grassi, la Tiranti, la Giavarini, il Fabi e Ceresini, cantanti reggiani di cui si parlerà a suo luogo. Morì in Reggio il 6 Febbraio 1846.

 

            Gianferrari Vincenzo - Maestro di Musica - Direttore attualmente della scuola musicale di Rovereto. È autore dell'Opera in un atto Treccie nere premiata al 3° Concorso Sonzogno, rappresentata al Municipale di Reggio nel 1893 e a Rovereto l'anno dopo. Fu anche direttore della Scuola musicale di Ferrara.

 

            Grimaldi Prospero Conte e Dottore in Legge. Fu studiosissimo della meccanica, intelligente delle belle arti e specialmente della musica. Francesco IV lo nominò Ciamberlano e il Comune di Modena lo volle parecchi anni fra i suoi Direttori degli spettacoli. Fu anche Direttore della R. Accademia dei Filarmonici di Modena - Morì il 14 Aprile 1837 a Modena in età di 37 anni.

 

 

[94]

 

            Liberati-Tagliaferri Ce Germano nativo di Parma, ma per adozione cittadino di Reggio, ove morì ai 5 maggio 1874 d'anni 74, e ove fu per molti anni, con somma lode, Direttore degli spettacoli del nostro Teatro Comunale. Era valente suonatore di Violino, e lasciò due spartiti inediti e alcune messe ed inni sacri che sono lodatissimi.

 

            Malagoli Gaetano Dottore in medicina e appassionato cultore di Musica; non fu buon compositore ma lasciò un buon Metodo breve, facile e sicuro per apprendere bene il canto, edito a Bologna nel 1834 (Tip. di S. Tomaso d'Acquino). Era maestro di musica onorario di S.A. l'Infante di Spagna Duca di Parma. - Morì a Modena il 25 Dicembre 1848 di anni 80.

 

            Marchiò Eugenio discepolo del Conte Germano Liberati-Tagliaferri. Maestro di Cappella al servizio del Comune di Novellara poi di Scandiano. È autore, oltre di varie composizioni, di due spartiti: La statua di Carne e Amore e Vendetta rappresentati diverse volte a Modena Reggio e Novellara (1873-75) e di cui abbiamo fatto cenno alla biografia di Pietro Casali. 

 

            Martelli Bartolomeo - Maestro di musica al servizio del Comune di Reggio ove morì nel 1818 ai 30 di Novembre. Anch'esso ha lasciato alcune composizioni musicali non ispregievoli pe' suoi tempi.

 

            Mattioli Guglielmo - Allievo dell'Orfanatrofio Maschile di Reggio come il Zuelli, di cui diremo a suo luogo, e suo collega. È autore di pregievolissime messe a voci sole e con orchestra premiate nei più importanti concorsi. Si è dedicato esclusivamente al genere sacro - Organista distinto insegnò l'Organo al R. Conservatorio di Parma; fu Direttore delle Civiche scuole musicali di Reggio e presentemente è Vice-Direttore del Liceo Rossini di Pesaro.

 

            Melii Pier Paolo - Musico di Camera di S. M. Cesarea. Sul principio del secolo XVII diede in luce: Prime musiche, cioè madrigali, arie, scherzi a più voci (1608); Seconde musiche (1609); Terze musiche (1609) e nel 1625 Itavolature di liuto attorbiato edite a Venezia pel Vincenti (cinque volumi).

 

            Merulo Claudio di Correggio il cui vero casato è Merlotti. Organista di gran merito. Fu nominato nel 1557 organista del primo organo di San Marco a Venezia. 

 

 

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In occasione del passaggio in quella città di Enrico III il Doge Mocenigo incaricò il Merulo di musicare una Tragedia del Frangipane - fu essa composta in stile madrigalesco come comportava l'epoca ed ottenne uno splendido esito.

            Al Merulo si debbono gran copia di madrigali, mottetti, toccate non che la musica scritta pel matrimonio di Francesco De' Medici con Bianca Cappello (1579). Ebbe la più grande influenza nello sviluppo musicale de' suo tempi.

 

            Montecchi Prospero distintissimo suonatore di violoncello e ricercato concertista. Fu allievo della scuola musicale dell'Orfanatrofio a spese del quale venne mandato a perfezionarsi a Bologna dal Prof. Serrato. Compiti gli studi fu nominato maestro alla nostra Scuola musicale - Presentemente e da diversi anni è direttore del Conservatorio musicale di Rennes in Francia.

 

            Paglia Cav. Gioacchino - Maestro di musica, allievo del Conservatorio di Milano, e intelligente cultore d'ogni arte bella - Ha posto in musica diversi graziosi Inni e Romanze ed è autore di un pregievolissimo lavoro: Pensieri sulla musica Rossiniana edito a Bologna dal Zanichelli nel 1875. Morì improvvisamente nella nostra Biblioteca Municipale di cui era sopraintendente la sera del 19 Maggio 1880 mentre stava per disporsi ad andare a teatro.

 

            Peri Cavr Achille - Maestro di Cappella al servizio del Comune di Reggio, istruttore nel canto delle Scuole musicali, socio delle principali Accademie d'Italia - È autore delle seguenti opere: Il solitario (rappresentato a Reggio nel 1841) - Dirce (Reggio 1843) - Ester d'Engaddi (Parma 1843) - Tancreda (Genova 1849) - I Fidanzati(Genova 1854) - Orfana e Diavolo (Reggio 1855) - Vittor Pisani (Reggio 1857 composta espressamente per l'apertura del nuovo Teatro Municipale) - GiudittaEspiazioneCola da Rienzo (Scala di Milano 1862) - Fu pure compositore di bellissima musica sacra.

 

            Pisi Dr Onofrio - Poeta, cantante e maestro di musica. -  Morì il 31 Agosto 1873 in età di 57 anni - Lasciò, oltre a diverse poesie edite, alcune composizioni musicali non dispregievoli.

 

            Pratissoli Stanislao - Era, si può dire, un genio nel suono di diversi istrumenti, quali il violino, il pianoforte, 

 

 

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il clarino e la chitarra. Come primo violino di balli diresse in patria per molto tempo questi spettacoli fino alla sua morte avvenuta a Reggio il 2 Febbraio 1849.

            Di lui si racconta il seguente aneddoto -

            Essendo a Modena allo spettacolo quale 1° violino, un giorno di Domenica fu pregato dal prof. Manni organista della Chiesa di S.Francesco ad andarlo a sostituire in tale qualità essendone egli impedito. Il modo di suonar l'organo del Pratissoli fece molta impressione sui fedeli e sui frati, tanto che fu pregato da questi ultimi a ritornarvi. Alla seconda sua andata, essendosene sparsa la notizia per la Città, fu tale il concorso dei cittadini che la Chiesa ne fu piena. Ma fu peggio alla terza, poiché la gente, desiderosa di udirlo a suonare con tanta valentia, stazionava davanti a S.Francesco fino dalle otto del mattino e giunta l'ora della messa cantata fu tale la ressa che molte donne svennero e successero altri malanni. Il Duca, che pel cavalcavia passava dal suo Palazzo nella tribuna Ducale in detta Chiesa, si trovò presente e poté vedere gli inconvenienti accaduti, fece un Decreto col quale proibiva - sotto pena dello sfratto da Modena -  allo Stanislao Pratissoli di mai più suonare organi in alcuna chiesa della Città! 

 

            Rabitti Antonio - Maestro di Cappella, buon suonatore di cembale e maestro di Pianoforte nel Collegio Convitto di Reggio. Morì agli 8 Giugno 1846. Fu padre di due figli valenti nella musica, l'uno, cioè Luigi, maestro di pianoforte, morto a Marsiglia nel 1833 d'anni 37, l'altro Giambattista di cui diremo qui di seguito.

 

            Rabitti Giambattista nato a Reggio il 3 Novembre 1797 fu allievo dei celebri Maestri Asioli, Mattei e Rossini. Aveva in moglie la Nobile Anna Herley d'Oxford Contessa di San Giorgio (di cui assunse anche il nome) già promessa sposa di suo fratello, morto come abbiamo detto più sopra. - Fu maestro di Cappella al servizio del Comune di Reggio (1822) - Maestro della scuola reggiana di suono e canto (1826) e membro delle principali Società Filarmoniche d'Italia. Oltre alle varie sue produzioni musicali profane e sacre che si odono tuttora in patria con piacere, musicò Il Constabile di Chestre del Giraldoni, che fu rappresentato a Reggio con buon esito nel Carnevale 1840, Francesco Sforza al Castello di Casanova del Cagnoli, Il Capuano di Peretti e il Nuovo Colombo di Felice Romani, le quali opere inedite, eccettuata la prima, insieme ad altre composizioni, furono 

 

 

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dalla sua vedova date in dono al celebre Verdi. Il Rabitti morì a Parma il 5 Novembre 1844 in età di 47 anni.

 

            Ruozi Luigi - Maestro di musica e distinto suonatore di piano - Oltre a diverse sinfonie è anche autore di un'operetta comica Habaca-Kaan rappresentata a Reggio nel Maggio del 1897 dalla Compagnia di Crescenzio Palombi, che non fece grande incontro specialmente pel libretto del reggiano Bertolini.

 

            Savi Ventidio - Dopo aver servito per sei anni l'Imperial Corte di Vienna ove ottenne il titolo di Cavaleiere, tornato n patria nel 1632 fu nominato maestro di Cappella della Cattedrale di Reggio. Morì nel 1645.

 

            Signoretti Don Aurelio - Maestro di Cappella nella Cattedrale di Reggio, morto nel 1635. Diede in luce: Il primo libro dei motetti a 2, 3, 4, 5, 6 e 8  voci (1615) - Cantus vespertinus omnium solemnitatum, Psalmodiae quinis seu novenis vocibus concinendae una cum basso ad organum edito a Venezia nel 1629.

 

            Silva Prospero, nobile reggiano. Era maestro di musica, Direttore d'Orchestra al Servizio del Comune di Reggio, Direttore della scuola reggiana di canto e suono, aperta nel 1829, maestro di violino nel Collegio Convitto di Reggio e primo violino onorario di S.A.R. Francesco IV°. Fra i suoi allievi va menzionata la celebre cantante Rosalinda Grossi che poi fece sua sposa. - Morì a Reggio ai 29 Ottobre 1834 di 71 anni.

 

            Sirotti Francesco virtuoso di camera d S.A.S. il Duca e la Duchessa di Modena e di Parma. Pose in musica il Pigmaglione rappresentato al Carcano a Milano nel 1793 e l'Aristodemo cantata del Dr Donnino Bertolini rappresentata l'8 Marzo 1811 nella sala della Società Filarmonica dai Sigi Natale Sirotti figlio del maestro e Carlotta Zaccheria pure reggiana. Il Sirotti morì in Reggio il 26 maggio 1815.

 

            Trivelli Eugenio nato il 7 Settembre 1829, figlio del Barone Diego (di cui parleremo a suo luogo), di nobile casato, morto improvvisamente a Reggio nel 6 Giugno 1874 in età di 44 anni. Alla maestria che aveva di dipingere paesi, altra pari ne univa nella musica, suonando bene diversi istrumenti e componendo.

 

            Zuelli Guglielmo - Maestro di musica. Allievo della scuola musicale dell'Orfanatrofio dal quale fu mandato 

 

 

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a Bologna per perfezionarsi assieme al Montecchi. È autore della Fata del Nord opera in un atto (versi del Prof. Naborre Campanini) che fu premiata nel 1883 al Concorso Riccordi e fu data nel 1884 al Manzoni a Milano e nel Carnevale 1884-85 a Reggio - Ha scritto pure un'altra opera Il Profeta velato non ancora rappresentato.

            Attualmente è Direttore del Conservatorio di Palermo.

 

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            Nel chiudere la serie dei Maestri di musica e suonatori non posso a meno di citare i seguenti: Giuseppe Placini, Dionigi Ficcarelli, Francesco Pasini, Giuseppe Sirotti, Francesco Ferrari, Natale Sirotti, Luigi Rabitti, Paolo Bianchi, Pio Menozzi, Prospero Vezzani, Domenico Morandi, Giuseppe Manservi, Paolo Advocati, Gaetano Pratissoli, Tommaso Bartoli, Pietro Prampolini, Stanislao Ficcarelli, Conte Prospero Liberati-Tagliaferri, Giacomo Setti, Giuseppe Tebaldi, Luigi Vezzani, Enea Liuzzi, Giuseppe Grisanti, Eugenio Dante e Alfredo Soliani, Nicola Barchi, Giuseppe Curti, Vincenzo Zanni, Pietro Melloni e Albero Vergnani.

 

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Artisti di canto, commedianti, ecc.

 

            Arrisi di cui si ignora il nome, con sua moglie e certi coniugi Androna formò una buona compagnia Comica colla quale si produsse a Reggio nel 1812 e 1817. Esso fu celebre Arlecchino e sosteneva anche con molto discernimento le parti di caratterista.

 

            Balestracci Vincenzo - Cominciò la sua carriera come corista nel Teatro di Reggio nel 1829, si acquistò fama di valente tenore al S. Carlo di Napoli e in Spagna; rifulse per la potenza di voce e per le doti inerenti alle arti, le quali servono a distinguere un cantante.

 

            Bedogni Clodoveo Basso, allievo del nostro Maestro Cav. Achille Peri. Percorse in pochi anni i principali teatri d'Italia ed esteri - Fu in patria e alla Scala di Milano. Da poco tempo, ed ancor Giovane, ha abbandonato l'arte per una malattia di Gola.

 

            Bertolini Filippo (conosciuto anche sotto il nomignolo di Babaliti) era chiamato il Baritono dalla bella voce. Cominciò la sua carriera come corista al Municipale di Reggio, e il M° Achille Peri non volle mai insegnargli 

 

 

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il canto perché essendo privo affatto d'istruzione non credeva potesse riuscire buon cantante. Un bel giorno il Bertolini se ne partì da Reggio con una sola svanzica (£ 0,96) in tasca e a piedi se ne andò a Milano dove s'impiegò facendo il calzolaio suo mestiere. Colà un maestro di musica udì il Bertolini mentre questi cantava per le vie o in qualche osteria, lo prese con sé, gli fece insegnare il canto; onde a 35 anni dopo quattro soli mesi di studio il Bertolini cominciò la sua carriera a Milano al Teatro di S. Redegonda. Nel volger di pochi anni egli calcò con onore le scene principali d'Italia e del nuovo mondo ancora. Cantò pure applauditissimo al nostro Teatro massimo nei Carnevali 1873-74, 78-79, 79-80, 82-83 e nello spettacolo grande del 1882 oltre a diverse volte nel Politeama Ariosto.

 

            Bertolini Remigio, il tenore dalla voce simpatica, che fino dal suo esordire in patria prometteva quella brillante carriera che poscia percorse; basti il dire che a Napoli al S. Carlo tenne il posto del rinomato Negrini e che nel 1863 destò alla Canobbiana a Milano un vero entusiasmo negli Ugonotti. Percorse inoltre con onore e plauso tutti i principali teatri d'Italia non escluso quello della Scala di Milano, ove nel 1864 riportò segnalati trionfi. Negli ultimi anni di sua vita trovossi in tristissime condizioni; era in America in qualità di custode di un teatro, e quivi è moto da poco tempo (1899).

 

            Borelli Napoleone, già dilettante della Società Filodrammatica Ariosto poscia generico primario della Compagnia Bellotti-Bon. Fu quindi Capocomico e Direttore di compagnie drammatiche da lui formate. Ora si è ritirato dall'Arte ed è in Rumenia direttore di una filodrammatica e insegnante di declamazione.

 

            Carri Giuseppe Tenore - Cantò in patria la Morte di Abele nel 1790, per due volte la Zaira nel 1802 colla celebre Silva-Grossi e la Merope del Nasolini colla stessa Silva-Grossi nel 1803. Morì ai 7 Maggio 1808 dopo aver raccolti onori sopra le prime scene d'Italia e di Spagna.

 

            Casali Giovanni Basso - Eseguì a Reggio il Pigmalione del famoso Cimadore nel 1798 con tanto plauso che fu chiamato a ripeterlo nel Luglio del 1808 in occasione dell'arrivo del Viceré d'Egitto. Cantò pure un'altra volta in patria colla Silva la Zaira nella quaresima del 1802.

 

 

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            Il Casali morì a Reggio il 5 Marzo 1846.

 

            Cavandoli Giuseppe morto a Reggio il 10 Marzo 1876 di anni 70. Un tempo basso profondo era in ultimo tra i migliori coristi del Municipale di Reggio e fra i più accreditati cantori di Chiesa.

 

            Ceresini Paolo tenore. Apprese i rudimenti della musica dal M° Friggeri e si perfezionò sotto il celebre Bonifazio Asioli. Il primo saggio della sua voce che diede a Reggio nel 1829 fu in un'applauditissima accademia colle sorelle Donelli reggiane. Più potenza di voce spiegò a Modena in un'accademia data nel 1832 e nel medesimo anno a Reggio per due volte. Dopo d'aver percorsi diversi teatri d'Europa ed essere stato in America dove perdé la voce, tornò in patria e morì a Parma il 10 Maggio del 1860 in età di anni 59.

 

            Cervi Eugenio baritono (n. 1853) - Studiò il canto sotto i Mi Grassini e Mattioli a Reggio, poscia col Bavagnoli e Filippo Bertolini. Esordì in piccole parti al Municipale di Reggio nel Guglielmo Tel (1888) e Mignon (1892) e prese parte nell'Opera Pagliacci (1894) nello stesso Teatro; al Politeama Ariosto nel Don Pasquale e Ruy-Blas, a Cremona con plauso - Giulietta e Romeo e Lohengrin - al Regio di Parma Ugonotti; a Mantova Andrea Chênier; Cremona Manon e in questi ultimi tempi colla Bohême cantandola a Bologna, Badia, Polesine, Parma, Reggio, Firenze e Cremona.

 

            Ciarlini Domenico, morto a Barcellona nel 1869 d'anni 39. Da prima buon suonatore di fagotto, si dedicò poscia al canto e riescì tenore applaudito dando di sé belle prove al Carcano di Milano e sui principali teatri di Spagna.

 

            Ciarlini Pietro - Da giovane canto fra i cori reggiani. In seguito insegnò i principii del canto e occupava in patria il posto di Ispettore di palcoscenico nel Teatro Municipale. Morì a Reggio d'anni 58 il 26 Febbraio 1875.

 

            Crotti Giuseppe primo basso assoluto, percorse una bella carriera e nei suoi ultimi anni di vita si ritirò a godere i frutti che insieme alle lodi si era procacciati sulle scene.

 

            Curti Antonio prestidigiatore, allievo del Barone Diego 

 

 

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Trivelli. Tanto in patria che fuori diede pubblici saggi della sua abilità e destrezza nei giuochi i più sorprendenti riscuotendo onori e plauso.

 

            Donelli Gaetano di cui abbiamo parlato fra gli scrittori teatrali va anche annoverato fra gli artisti di canto, perché sino dai primordi della sua carriera, allorché cantò colla Raffaella Venier nell'Accademia data in Reggio nel 1838, si meritò gli elogi del Conte Carlo Ritorni. Morì in Reggio il 2 Luglio 1869 di anni 50.

 

            Donelli Teresa e Margherita sorelle reggiane, di cui la prima aveva bella voce di soprano e la seconda di contralto. Allieve del M° Friggeri debuttarono a Modena nel 1825 nel Teatro di Corte poi nel 1827 nell'Odoardo e Cristina del Rossini e nel 1829 col Demetrio del M° Gandini. A Reggio cantarono parecchie volte e furono applauditissime nelle accademie date nel 1828-1830-1833 e 1834 e nelle opere Tancredi rappresentata nel 1831 e Chiara di Rosemberg nel 1837.

 

            Fabi Giovanni allievo del Celli di Bologna. Esordì da secondo tenore in patria nel 1829 colla Cenerentola, poscia a Modena nel Teatro di Corte nel 1829 e nel Teatro Comunale l'anno dopo nell'Elisa e Claudio del Mercadante. Ma poco dopo fu chiamato a Reggio a condurre i coristi del Comunale. Da questo impiego passo in Americo ove non si sa quando sia morto.

 

            Ferretti Lucia prima donna soprano allieva del M° Moreschi di Bologna; possedeva bella voce e buon metodo di canto - Ancor giovane percorse diversi teatri col medesimo favore con cui esordì in patria, ma presto ritirossi dall'Arte e da parecchi anni vive in privato.

 

            Ferretti Luigi tenore (n. 1812) - Emerse sopra tutti gli altri suoi concittadini per la potenza ed armonia della voce e per quei caratteri tutti che rendono un artista pregevole ed ammirato. Esordì a Reggio nel 1833, indi dopo aver percorsi i primi teatri d'Italia, passò in Spagna ed in Portogallo, ove giunse all'altezza di quella fama che meritamente lo acclamò al sommo grado della celebrità. Nel 1843 si presentò al pubblico di Milano nella Favorita il cui successo straordinario gli valse la riconferma pel Carnevale 1843-44, poscia la primavera a Vienna e di bel nuovo alla Scala nel 1845 continuando in una serie di successi trionfali, talché per la quarta volta ricalcò quelle 

 

 

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scene con entusiasmo indicibile, ricorrendo il Carnevale del 1849. Poco dopo dato l'addio all'arte, nell'occasione dell'apertura del nuovo teatro Municipale di Reggio 1857 fu nominato Direttore di Palcoscenico, nel quale ufficio durò sino ai 2 di Febbraio 1865 in cui colto da paralisi a S.Maurizio presso Reggio morì nell'età di 53 anni.

 

            Ferri Anna musico - Nata in Reggio nel 1795, esordì in patria nel 1807 colla Personali. Ma presto appassì e in seguito si diede alle opere buffe. Cantò tuttavia a Reggio nel 1808 l'Ines de Castro e i Cherusici colla Zaccheria altra artista reggiana, nelle quali opere sorpassò ogni aspettativa. Destò pure grande entusiasmo a Pavia nel 1817 nel Carlo Magno.

 

            Ferri Edoardo - Partì da Reggio con una compagnia comica come macchinista nel 1876, ma ben presto si mise a recitare colla Compagnia Scalpellini, poi in quella del Romagnoli - Tornò in patria in occasione della costruzione del Politeama Ariosto a lavorarvi quale macchinista. Ripartì nel 1881 colla Compagnia Scalpellini, poi entrò in quella di Zoli e Boetti; nel 1882 faceva parte della Compagnia Grisanti indi Codecasa-Senatori-Borisi. Dal 1883 al 1892 fece parte della Compagnia Benini-Zago-Gallini - Nel 1893 fu proprietario di Caffè concerto a Trieste, ma andati male gli affari dal 1894 al 1897 fece parte della Compagnia veneta Corazza - Zago e Gallini - Nel 1898 colla Compagnia Italiana di Commedie musicali diretta da Aristide Gargano.

 

            Giavarini-Rubertelli Rosalinda - Esordì con istraordinario successo insieme alla Tiranti nel patrio Teatro la sera del 26 Marzo 1829, ma le tenere cure della famiglia l'allontanarono dal canto dove avrebbe certamente fatto splendida carriera.

 

            Grassi-Fiastri Clotilde - Soprano assoluto - Allieva del M° Friggeri reggiano, poscia del Celli di Bologna. Fece le prime prove nel Teatro di Lodi nel 1831 accanto a Gentili e Caselli. In patria non cantò che in una accademia data nel 21 Giugno del 1832 meritandosi anche in questa occasione gli elogi del non troppo facile elegista Ce Carlo Ritorni - Morì a Reggio l'8 marzo 1853 in età di 48 anni.

 

            Grassi Antonio - Questo rinomatissimo prestidigiatore ebbe una carriera splendida e percorse con entusiasmo più di mezzo mondo, poiché dopo di aver frequentati 

 

 

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i principali teatri d'Italia passò in Egitto, Palestina, Siria, Marocco, Isole Canarie, Turchia, America del Nord, Grecia, Isole Jonie, Gibilterra, Madera, Spagna, Portogallo, Austria, Baviera, Danimarca, Croazia, Francia, Inghilterra, Belgio, Corsica, Tirolo, Dalmazia, Rumenia, Montenegro, Serbia, ecc., riscuotendo applausi e onori in ogni parte. Diede saggio di sua abilità in molte Corti e innanzi a illustri personaggi quali: Ottone Re di Grecia, il Re di Baviera, il Viceré d'Egitto, il Bey di Tunisi, il Re di Portogallo, il Conte di Chambord, il Duca di Modena e quello di Parma ecc. - Morì a Parma il 27 Gennaio 1874 in età d'anni 59.

 

            Grossi-Silva Rosalinda (n. 1782) E' questa la prima donna che Reggio annovera nella sua piccola storia artistica teatrale. Si dedico, ancor giovinetta, al canto sotto la direzione del M° Prospero Silva di Reggio che poi divenne suo sposo. Ottenne applausi e onori a Milano, Livorno e Venezia ove cantò per l'ultima volta accanto alla celebre Brigida Banti, e i Veneziani vollero ritrarre insieme le effige di queste due somme artiste le quali avevano saputo deliziarli l'una con la potenza della voce e l'altra colla grazie ed armonia del canto. La Silva ebbe pure l'onore che il suo ritratto venisse riprodotto a Livorno e a Milano nella quale ultima città nel 1803 cantò con Marchesi e David. In patria s'ebbe applausi poetici, fra gli altri da Luigi Cagnoli, allorché cantò nella quaresima del 1802, insieme ad altri dilettanti reggiani, la Zaira che fu ripetuta nella fiera dello stesso anno, e nella Meropecantata nel 1803. - Dopo i trionfi di Venezia venne a Reggio per riposarsi, ma quivi infermatasi di tifo, morì dopo pochi giorni ai 19 Marzo 1804.

 

            Grillenzoni Giovanni - Si dedicò da giovane alla carriera drammatica, facendo le parti di amoroso, che poscia dové lasciare, perché una elefantiasi lo rese stranamente deforme. Però, anche in quello stato, continuò a prodursi sulle scene riscuotendo spesso applausi. Morì a Firenze, ove si può dire passò il maggior tempo della sua vita, nell'Agosto 1875, buttandosi nell'Arno.

 

            Guicciardi Giovanni baritono, la cui carriera è stata rapida e splendida - Fu il primo che a Roma nel 1853 fece sentire le soavi melodie del Trovatore, nella parte del Conte di Luna che il Verdi scrisse appositamente per lui, assieme al Boucardé e alla Penco. Dopo i trionfi riportati sui principali teatri d'Italia passò 

 

 

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in Spagna e nel 1865 fu uno degli artisti principali di Cartello della grande Compagnia Italiana al Teatro di Madrid. Morì a Reggio nel 1883 dove era nato nel 1819.

 

            Lenghi Clodomiro baritono - A lui non sono mancati applausi per la sua voce robusta più che simpatica alla quale anzi univa un cattivo metodo di canto - Esso è morto da pochi anni.

 

            Lucini Sante figlio di Marco e di Isabella Sirotti - Basso cantante e comico assai valente. Si produsse spesso nella Società Filarmonica dei Concordi; dopo cantò a Modena nel Teatro di Corte dal 1816 al 1829 e in altri teatri d'Italia in seguito. Nel 1847 fu chiamato a Modena a far parte di quella Società Filodrammatica Armonica ed ivi morì ai 22 di Ottobre 1852 di anni 71.

 

            Magnani Luigi tenore, che brillò fra i primi cantanti reggiani e nell'autunno del 1832 coglieva una nobile corona al teatro della Scala di Milano, poscia lasciava una perenne rimembranza dei suoi talenti artistici tanto in Spagna che in Odessa. Fu anche a Reggio parecchie volte come cantante e come Impresario degli Spettacoli musicali. Morì nel [spazio vuoto]

 

            Manfanione Francesco di Aniceto Bagni. Dopo essere stato soldato e dopo aver preso parte nel 1866 alla battaglia di Custoza, ove rimase ferito, riformato, cominciò ad esercitarsi nel canto sotto il M° Cav. Achille Peri e nel 1869 cantò nel nostro teatro massimo come secondo basso. La fortuna gli arrise e percorse con lode la carriera d'artista, ma nel più bello morì quasi repentinamente a Siracusa il 26 Gennaio 1877 nell'età di soli 35 anni.

 

            Manzini Eugenio tenore - Fu l'ultimo avanzo dei Cori Reggiani che un tempo erano tenuti in tanta riputazione. Nel 1849 cantò in Reggio I falsi monetari in sostituzione di Gustavo Rumanof.

 

            Martinelli Gasparre tenore. Cantò a Reggio nel 1807 la Morte di Oloferne colla Personali e colla Ferri, nella qual opera mostrò, ad onta di non molta forza di petto, uno stile di canto da tenore serio, ed un'azione superiore alla sua voce. Si produsse pure nel Teatro Comunale di Modena nel 1809 in un'accademia colle due Rossi artiste reg-

 

 

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giane e sulle patrie scene nel Traiano in Dacia datosi nel 1810.

 

            Mazza Giulio tenore. Dopo aver riscossi grandi applausi sulle scene di Napoli si presentò per la prima volta al nostro teatro nel 1831 in un'accademia. Cantò un'altra volta a Reggio nel 1834; poscia dopo aver percorso altri teatri d'Italia si ritirò a vita privata a Napoli.

 

            Mazzali Anna prima donna soprano, che salì in tale rinomanza da essere scritturata al Teatro della Scala nel 1810 col famoso G.B. Velluti per eseguire le opere Raul de Crequì del del Mayr ed Erminia del Pavesi. Nel 1832 cantò a Reggio l'opera buffa Olivo e Pasquale. - Essa morì ai 21 Gennaio 1851

 

            Munari Flaminia - Chi non ricorda quando questa distinta artista soleva deliziare de suoi accenti le patrie scene non che quelle di molti teatri d'Italia? Certo la melodia e la fluidezza della sua voce, la potenza e la forza del canto che spiegò dal suo esordire, meritò che fosse salutata dai reggiani la prima ed unica emulatrice della loro celebre Silva. Ma una malattia distrusse tante belle speranze e una così bella carriera, tanto che in seguito per le sue condizioni finanziarie fu costretta ad accettare scritture in teatri secondari e perfino in compagnie d'operette - Era allieva del M° Vezzani di Reggio - Ora si è ritirata a vita privata.

 

            Pedemonti Edvige Soprano - Studiò il canto a Parma poscia a Milano. La sua carriera fu breve poiché dopo pochi anni morì quasi improvvisamente a Reggio nel [spazio vuoto]

 

            Personali Laura - A 15 anni cantò in patria nel 1807 La morte d'Oloferne del Metastasio, con molto successo e abilità ed essendo dilettante non si riprodusse più sulle pubbliche scene che a Modena nel 1811 nel Teatro Regio, ove cantò con altri dilettanti La Giulietta e Romeo del Zingarelli, ma con molto minor esito

 

            Pezzaglia Annetta (n. 1850 circa) - Allieva del Conservatorio di Parma, cantò con voce di mezzo soprano molto delicata e leggiadra da rendersi sommamente accetta dal pubblico. Da vari anni non se ne sente più parlare ed io inclino a credere si sia ritirata dall'arte.

 

            Pratissoli Francesco detto Parrocchia, pittore bizzarro ma 

 

 

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non dispregievole. Era anche commediante e in sua gioventù nelle parti di Stenterello ottenne applausi in patria e fuori - Morì a Reggio il 3 Maggio 1864.

 

            Ragni Carlo tenore leggero - Ha voce simpatica più che potente, è un artista in questi anni dei più ricercati e ben di rado è senza scrittura. Calca specialmente i teatri di Lisbona, Madrid e d'America.

 

            Rossi Anna musico - Essa godé qualche grido sul teatro; divenne virtuosa al servizio del Re di Baviera. Cantò nell'accademia data nel Teatro comunale di Modena nel 1809 e nell'altra data nella stessa città nel 1820 ove riscosse numerosi applausi.

 

            Rossi Marianna prima donna soprano. Canto a Modena nel 1809 insieme all'Anna Rossi e a Reggio nella Sisara e Debora del Guglielmi, data nel Carnevale del 1810. Divenne in seguito eccellente contralto.

 

            Ruozi Zaverio - Amò le belle arti e fu cultore di molte, talché egli era ad un tempo pittore, incisore, comico e cantante. Il Ruozi fu l'unico che sotto il governo degli Estensi riuscisse a mettere insieme una Società Filodrammatica di dilettanti Reggiani. In questa Società da lui diretta, e che soleva dare pubbliche rappresentazioni nel Palazzo della Cittadella in Reggio, vi agivano con plauso oltre al Ruozi stesso la Siga Luigia Viarchi che divenne poi sua moglie, Anna Silei, Clementina Ruozi, Zenobia Rossi e le sorelle Clelia e Virginia Manzini - Di canto diede pure saggio il Ruozi in patria e a Lodi, ove si meritò sinceri applausi. Morì a Reggio in età d'anni 83 il 19 Febbraio 1870.

 

            Tiranti Maria contralto, allieva del M° Friggeri. Debuttò con la sua concittadina Rosalinda Giavarini Rubertelli in una accademia data nel Teatro di Reggio la sera del 26 Marzo 1829; poscia passata a Bologna sotto il M° Celli, cantò in quel teatro nel 1830; a Reggio nel 1832 nelle opere Olivo e Pasquale e Gli esigliati in Siberia; a Modena in un'accademia data nel Teatro comunale nel maggio 1833; e di nuovo a Reggio nel 1837 e a Milano nel 1838. Quest'artista che non riuscì nella sua carriera come da principio prometteva, morì a Reggio il 1° Febbraio 1869 in età d'anni 58.

 

            Trivelli Barone Diego prestidigiatore, allievo del celebre 

 

 

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Bosco e di Monsieur Fusiè. Nel 1847 diede la prima rappresentazione di pristidigitazione e ventriloquio nel Teatro di Reggio a favore dei poveri della Città. in seguito si produsse a Reggio, Carpi, Bologna. Fu a Modena nel 1842 alla Corte del Duca, alla quale accademia di prestigio assistevano da 15 Principi e l'Imperatore d'Austria. Fra i suoi allievi vanno menzionati la Giovane Elisa Baccanti di Pomponesco, Antonio Curti di Reggio e Ercole Mella di Chiavenna - Nato ricco di censo, tanto che in sua casa fu ospitato l'Imperatore Napoleone I, morì poverissimo.

 

            Viganò Onorato padre del celebre Salvatore, nacque a Milano il 6 Settembre 1739 da Giacomo Braglia di Jano (Prova di Reggio) e da Giuseppina Viganò donzella della Duchessa d'Orleans. Lasciò il nome paterno per adottare il materno. Ora coreografo, ora pantomimo percorse con plauso i principali teatri d'Italia non che quelli di Vienna. Morì a Venezia nel 1811 lasciando all'Italia il figlio vero creatore e principe della coreografia che tanto illustrò la patria nostra.

 

            Zaccheria Carlotta prima donna. A 20 esordì a Reggio colla Ferri nel 1808 nell'Ines de Castro. Cantò fino al 1811 poi si ritirò a vita privata.

 

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            In questa serie di artisti non vanno certo dimenticati la Elvira Ceresoli contralto che cantò a Reggio nel Carnevale 1895-96 riscuotendo continui applausi, e il Seidenari Giuseppe baritono (che in arte si fa chiamare Ferrari) i quali hanno davanti a sé una splendida carriera, il Tenore Ferrari Giovanni che percorsi molti teatri d'Italia e dell'estero ora ritiratosi perché colpito da paralisi. Sono pure da menzionarsi il Tenore Culzoni e i baritoni Cesare Baracchi e Carletti e il Basso Pietro Pedrazzi ecc.

 

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