Come sempre in questi giorni non sto facendo molto. Ho perfino collezionato le classifiche di trentuno campionati nazionali di rugby, attività che Sartre descrisse come aberrazione dell'anima umana. Ma va bè. In teatro tutto bene; all'ultimo dell'anno per la prima volta ho fatto il velarista, che è la persona che accompagna il sipario quando si apre e chiude per evitare eventuali inceppamenti. E' bello essere là in mezzo al palco dietro al sipario, un attimo prima che questo si schiuda, con milleduecento persone in attesa fremente al di là della tenda e gli attori tesi e concentrati a pochi centimetri dalle tue spalle. In questi giorni vorrei riprendere ad andare in bici, dopo tanti mesi di sosta. Non ho più l'impulso ad andare a pedalare da solo nelle campagna fredda, e questo credo sia un sintomo positivo. Però mi manca. Poi sto leggendo un libro di Vittorio Sgarbi sulle opere artistiche meno conosciute in Italia; è una rassegna un po' troppo frettolosa, però ci sono delle cose interessanti. L'opera che mi è piaciuta di più fino ad ora è un affresco rinascimentale in una casa privata milanese, ora studio di avvocati. Sono tre immagini con cinque giovani che giocano. A carte, a palla ed a "palmata" (si giocava appoggiando i palmi delle mani a quelli degli altri, non so bene come). Per pettinatura e grazia (e per la palla) le ragazze ritratte ricordano Amanda Sandrelli che gioca da sola in "Non ci resta che piangere". L'affresco è tutto rosso (che è il mio colore sfavorito) perchè, dice il libro, l'azzurrite è caduta con il tempo; però è molto bello lo stesso. L'affresco è il tipo di arte figurativa che mi piace di più, dopo i fumetti. Forse, spiegazione magari scontata, perchè l'effetto del trascorrere del tempo rende gli affreschi più simili alla nostra 'visione interiore'. Come nei ricordi, in queste pitture decadono alcuni particolari e si sfumano i colori, lasciando nitide solo le linee principali, cioè, forse, le idee per noi più importanti. Una cosa un po' curiosa che mi è venuta in mente ieri sera mentre portavo fuori il mio cane e lui mangiava la neve (diventa ogni giorno più semo, sono già tre le facoltà europee di etologia che hanno avviato studi su di lui) è che non mi pare che nessun artista classico abbia ritratto la pioggia o la neve che cade, nonostante la loro carica evocativa e la loro familiarità nella vita umana. E' un po' strano. Mi viene in mente "La tempesta" di Giorgione, ma lì la pioggia è ancora solo una minaccia in lontananza, non si vede. Boh.
Bè, tutto qui? Non scrive un post in cinque mesi e poi dice queste noiosità? Ebbene sì. Non so mai di cosa parlare. Pero va bene così.
4 commenti:
L'ho preso anch'io il libro di Sgarbi! :D
A me l'hanno regalato. L'ho iniziato titubante ma ci sono delle cosine davvero interessanti. Mi piacerebbe solo che Sgarbi fosse meno manicheo in certi giudizi
E' bello rileggerti, Paco. Anche io sono fermo, bloggeristicamente parlando ... ma chissà, se riprendi, mi torna l'ispirazione ;)
e allora riprendo :)
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