Giunta per perfezionarsi in Italia, la culla dell'opera, Carolina mutò il cognome da Unger in Ungher, pare su suggerimento della moglie di Rossini, sua amica, perché noi italiani continuavamo a chiamarla "signorina unger", con la g dolce.
A Reggio la Unger, anzi la Ungher, cantò nel 1837 (opere di Donizetti) e 1838 (Donizetti e Rossini), al culmine della propria parabola artistica e della fama. Si esibì nel teatro "di Cittadella"; l’odierno teatro Ariosto, possiamo dire. Il Municipale ancora non esisteva. I parmigiani, la cui città era invece esclusa dalla tournée della cantante, si spostarono in massa a Reggio per udirne la voce, come raccontò il letterato Pietro Giordani che di quella comitiva faceva parte. È bello immaginare lo sciame notturno di carrozze e calessi che rientrano a Parma, in una mezzanotte passata di maggio, illuminate dalle lanterne nella buia e polverosa via Emilia.
I reggiani, incantati e forse infatuati, accolsero la Ungher in modo trionfale, tanto che le cronache del tempo, italiane e tedesche, ricordano proprio Reggio come testimonianza somma della popolarità della contralto. I melomani più infervorati sganciarono i cavalli dalla sua carrozza per trascinarla verso casa a forza di braccia (i reggiani “sinsa cognisioun” esistevano già nell’800) e all’arrivo alla sua dimora Carolina trovò il giardino illuminato da fiaccole, fra hurrà, striscioni “Viva Carolina!”, musiche e canti, “cosicché è toccato stavolta a lei, che tanto spesso ha fatto piangere gli spettatori, versare lacrime di commozione”, scrisse la Allgemeine Zeitung, una sorta di Resto del Carlino tedesco. L’anno successivo, nel 1838, i reggiani, per ringraziarla di quelle due lunghe tappe nel nostro teatro, vollero donare alla Ungher “addirittura” (così scrisse la stampa) un busto in marmo, che raffigurava con riuscita grazia il suo viso.
Quel busto, che ci immaginiamo ammirato dalla contralto ma troppo pesante per esser aggiunto ai bagagli del tour, rimase nella nostra città. Per decenni e decenni sonnecchiò tranquillo in un caldo sotterraneo del teatro Municipale, semi-nascosto al pubblico da un’enorme colonna. Finché tre anni fa, un mattino, alla riapertura del teatro dopo un musical da tutto esaurito, il busto fu trovato a terra, lesionato. Atto vandalico? (erano tempi di greenpass e di proteste, anche in teatro) “Non credo -spiega Luca Prandini, macchinista dei Teatri di Reggio- Propendo per l'ipotesi di un collasso spontaneo della colonnina portante; cava, come abbiamo appurato, e di materiale fragile, dopo tanto tempo non deve avercela più fatta a reggere i 40 kg del marmo". L'incidente ha causato danni minori al busto, da allora posto in una stanza chiusa, ma si è rivelato occasione per dare per la prima volta dopo tanto tempo uno sguardo accurato al manufatto. Si è così scoperto, o riscoperto, grazie a una scritta graffita nell'interno, che il busto fu realizzato a Parma, anche se la dedica sul fronte, composta dal Giordani, recita "A Carolina Ungher ammirati del suo cantare i reggiani”. L'identità dello scultore non è nota; “Possiamo provare a ipotizzare il nome di Tommaso Bandini, parmigiano appunto, 31enne nel '38 e allievo del fiorentino Bartolini -spiega Liliana Cappuccino, direttrice dell’archivio mediateca dei Teatri di Reggio- Anche la qualità dei lineamenti, la cura dello chignon sulla nuca e quelle due delicate pieghine sul collo, come quelle che si formano quando flettiamo la testa, sembrano suggerire questa ipotesi”. Il nome di Bandini compare, altro possibile indizio, più volte legato alla figura di Giordani, l'autore della dedica del busto reggiano.
“La fama è passeggera -diceva la Ungher- Il ricordo della mia voce svanirà e di me resterà solo un nome nei libri”. Questa minuta scultura, semi-ignota anche agli studiosi e conservata dal nostro Municipale, rappresenta forse la più viva testimonianza della fu celebrità di Carolina, la cantante della nona sinfonia di Beethoven per la quale i reggiani amarono trasformarsi in cavalli da tiro.