23 giugno 2025

Lo sciopero delle Reggiane, settantacinque anni fa


 Lo sciopero delle Officine Reggiane del 1950-51, con il quale gli operai si opposero per un intero anno alla volontà della dirigenza di licenziare metà di loro, è rimasto nella storia delle lotte sindacali italiane. 

Tre quarti di secolo sono trascorsi da allora. La fabbrica fu occupata per 368 giorni, dal 5 ottobre 1950 all’8 ottobre 1951, ma la lunga e coraggiosa vertenza si concluse, sul piano concreto, in una resa: dopo un anno di auto-gestione operaia la nuova dirigenza ri-assunse solo 700 operai, a fronte dei più di quattromila salariati fino a tredici mesi prima.


Tra quelle migliaia di lavoratori in lotta uno dei più giovani era Dario Cavalca, classe 1932 e dunque diciottenne all’inizio dello sciopero. Ora Cavalca vive a Mancasale, con vista sulle vele di Calatrava, insieme a figlio, nuora, nipote e nipotini.

“Ero entrato alla Reggiane il 13 maggio 1947 -ricorda- Avevo appena compiuto 15 anni, prima di quell’età non ti assumevano. Non era il mio primo lavoro; dalla fine della guerra al ’47 ero stato a bottega da Salsi calzolaio, in via Crispi, di fronte al Radium; stava tra Moda Italiana e la cioccolateria Helvetia, forse qualcuno ricorderà. Ma non mi piaceva fare il calzolaio”.


Alle Reggiane fabbricavate aerei?

“Io ero nel reparto mulini. Costruivamo mulini per la macina del grano. Nel mio reparto eravamo in 60 o 70, ma l’intera azienda coinvolgeva migliaia di persone. Durante il conflitto, quando le Reggiane creavano aerei da guerra, gli impiegati erano dodicimila. Per una città come Reggio, un’industria fondamentale. Ai mulini avevamo un caporeparto pingue, soprannominato per ciò ‘Il prete’; e così io divenni ‘Cerech’, il chierichetto, perché ero il più giovane e, allora, anche un po’ paffuto”.


Nell’autunno ’50 decideste lo sciopero.

“La dirigenza voleva lasciare a casa metà degli operai. Si scelse di occupare la fabbrica, per contrastare quella decisione e successivamente anche per impedire che la produzione si interrompesse. Durante quei dodici mesi fu creato il trattore R60, rimasto famoso proprio perché ideato e prodotto dagli operai”.


Dodici mesi senza stipendio.

“Furono duri soprattutto per chi aveva una famiglia da mantenere. Io non avevo ancora moglie, sentivo meno pressione. Proprio per questo la sera del 31 dicembre ’50 fui scelto per il servizio di guardia. Mia madre se ne ebbe a male: ‘quando non ci sarò più ti rammaricherai di questo capodanno trascorso senza la tua famiglia!’… “


Provava orgoglio a essere chiamato a quei compiti?

“Beh, c’era senso di avventura e la sensazione di stare facendo la cosa giusta. Poi, sì, anche un po’ di orgoglio”.


La popolazione vi sosteneva?

“Nelle cucine le donne facevano da mangiare per tutti. A Natale ’50 ci fu una raccolta di sostegno, i contadini della campagna donarono tante galline che furono distribuite una a testa. Io portai la mia a casa, a Buco del Signore; la spennai e la appesi fuori dalla finestra, allora non avevamo certo il frigorifero. Al mattino al risveglio era sparita… qualche vicino doveva averla notata”.


Dove trascorrevate la notte durante l’occupazione?

“Dormivamo sulle brande, negli uffici. Ma non passavamo in fabbrica tutto il tempo. In quel periodo ad esempio mi avvicinai al teatro; un mio amico faceva il capo-claque al Municipale e mi coinvolse nella claque. Il gradino successivo fu come comparsa nelle opere liriche: ”La forza del destino”, “Boheme”, “Turandot”; “La traviata”, che musicalmente era semplice semplice. Una delle mie ultime prove da comparsa fu quando avvenne il debutto di quel tenore modenese, Luciano... Luciano Pavarotti. Provai anche a divenire corista, ma dopo tre o quattro tentativi il maestro del coro mi prese da parte e mi disse ‘guardi, Dario, penso che non sia cosa per lei’ “


Lo sciopero si concluse dopo 368 giorni, ma senza felici risultati per voi.

“La pressione delle forze di polizia si faceva più incalzante e nel frattempo molti operai, spinti dalla necessità, avevano trovato posto altrove: alla Lombardini di Pieve, alla Landini di Fabbrico, non pochi emigranti in Francia. Eravamo delusi? Senz’altro. Io cercai di farmi riassumere nel ’53, ma la consegna dei nuovi direttori era che chi aveva fatto la lotta non poteva essere assunto. Che io sappia, nessuno dei partecipanti all’occupazione riebbe il posto”.


13 giugno 2025

La Sala Melato nel Teatro Ariosto


 La Sala Melato, il foyer del teatro Ariosto, è uno dei mille luoghi del territorio reggiano cosparsi di polvere di storia. La sala prende nome da un busto in bronzo del 1920 che vi svetta e che raffigura Maria Melato, attrice reggiana molto amata tra gli anni ’10 e i ’30 del novecento non solo in Italia ma anche in Spagna e nelle Americhe (“quando da bambina assumevo atteggiamenti drammatici -ha ricordato di recente una signora di Buenos Aires- i miei genitori mi chiamavano Maria Melato, anche se non capivo perché…”). Il busto in bronzo fu plasmato dallo scultore reggiano Riccardo Secchi e inaugurato nella primavera 1922, alla presenza dell’attrice. Melato aveva fatto tappa a Reggio nel corso della sua tournée e sul palcoscenico dell’Ariosto interpretò in quell’occasione tre drammi: la prima sera “La Gioconda” di D’Annunzio; la seconda sera, dopo l’inaugurazione pomeridiana del busto, “La vena d’oro” di Zorzi; la terza sera, fuori programma quale ringraziamento ai reggiani, un altro dei copioni da lei più amati, “Come le foglie” di Giacosa.


Questo rapido susseguirsi di titoli non deve stupire: un secolo fa il teatro di prosa era un po’ come la tv oggidì; chi poteva si recava al proprio palco o poltrona ogni sera e pretendeva di godersi sempre qualcosa di nuovo, così come oggi ci parrebbe strano trovare lo stesso film sullo stesso canale per due serate di fila. Anche per questo motivo Melato, dotata di una memoria eccezionale e d’un amore per il teatro ancor più grande, arrivò a interpretare 245 drammi diversi nella propria carriera, secondo una recente ed eccellente ricerca (P.Giovanelli, “Maria Melato. Voci d’archivio, voci di scena”).

Nel corso della sua attività senza requie a Melato, la cui voce (oggi incredibilmente perduta: non abbiamo sue registrazioni audio) aveva il potere di cullare ed accarezzare gli spettatori, capitava di tornare di tanto in tanto in tour a Reggio e molti anni dopo quel 1922 scrisse: “ho rivisto con gioia il mio busto in bronzo nell’atrio del bel teatro Ariosto. Non è molto somigliante, ma non importa: è il mio busto, è una cosa importante per me. E ogni sera prima di uscire dal teatro vado a salutarmi molto soddisfatta”.

Il luogo ove Melato “si salutava” soddisfatta era un poco discosto dall’attuale collocazione del busto. Ce lo svela una fotografia conservata dalla biblioteca Panizzi e databile all’aprile 1948, proprio ai giorni dell’ultimo ritorno a Reggio dell’attrice; la foto, scattata in un periodo nel quale l’Ariosto fungeva anche e soprattutto da cinema, mostra il primo atrio centrale del teatro; sulla sinistra si scorge la locandina de “La vita è meravigliosa”, film con Jimmy Stewart, sulla destra il busto di Melato, affacciato sull’atrio centrale e non, come ora, sull’atrio laterale.
La stanza chiamata adesso sala Melato era infatti allora parte dell’adiacente trattoria, l’attuale Trattoria Sipario; negli anni ’80 il teatro inglobò quella sala e il busto di Maria fu arretrato nella nuova stanza, che all’attrice finì poi per essere intitolata.

Adesso nella Sala Melato il busto brilla a fianco del guardaroba, sopra a un vecchio pianoforte senza coda e tra due cornici che racchiudono rispettivamente una riproduzione della cupola del teatro e una locandina di una compagnia siciliana.
Ecco, avanziamo una proposta, senza pretese: non sarebbe bello sostituire quelle due cornici, pur così interessanti, con locandine di spettacoli di Maria, se disponibili, per rendere la sala pienamente dedicata alla più brava attrice reggiana di tutti i tempi?

9 maggio 2025

Le baccanti del Teatro Municipale


 Gli spettatori che varcano le grandi porte a vetro del teatro Valli, intenti come sono a salutare gli amici tra la folla, a leggere il programma di sala o a chiedere indicazioni alle impagabili maschere, raramente prestano attenzione al soffitto dell’atrio. I pochi che si concedono qualche secondo per alzare gli occhi sono ricompensati dalla visione di uno sfondo oro e blu lapislazzuli sul quale danzano dodici baccanti, le antiche adoratrici del dio Bacco, dipinte nel 1856 dal reggiano Giuseppe Ugolini. Anche quei pochi spettatori più osservatori, però, ignorano probabilmente il segreto romantico che dietro ai dipinti si cela. A tramandarlo fu un articolo del 1944, uno di quegli articoli di giornale così preziosi per conservare traccia della storia minuta dei nostri teatri, quella storia che non trova spazio nei libri e il ricordo della quale pian piano svanisce dalla memoria degli uomini. Fu pubblicato da “Il Solco Fascista”, quotidiano stampato a Reggio e dal chiaro orientamento politico. In quell’articolo il giornalista “Argo” ricordava che ancora allora, nel ’44, a tanti decenni dalla realizzazione dei dipinti, in città “si bisbiglia che Ugolini in una delle figure del soffitto del teatro abbia ritratto le fattezze della fanciulla del suo cuore, ch’era una delle nobili sorelle Cugini”. 

Insomma, Giuseppe Ugolini avrebbe dipinto di nascosto (se no perché bisbigliarlo?) nella figura di una delle dodici baccanti la ragazza della quale era innamorato. Ma in quale delle dodici? L’articolo purtroppo non lo dice. Forse se ne era già persa memoria.

Noi, trasformandoci in una via di mezzo tra il critico d’arte Daverio e l’ispettore Manetta, proviamo ad


avanzare la nostra ipotesi e indichiamo la prima baccante che si incontra entrando nell’atrio: le piccole stelle bianche sul mantello celeste (secondo la tradizione caratterizzano la Poesia), la veste rossa coperta dal manto celeste (sono i colori mariani) e la posizione centrale rispetto al percorso d’entrata alla platea inducono a pensare che questa baccante godesse da parte del suo pittore di un’attenzione speciale. Ella ha lunghi capelli neri cinti da una corona d’alloro, indossa una gonna gialla e pare intenta a pizzicare una cetra.

All’ultimo piano della biblioteca Panizzi, nella tranquilla e defilata sezione della fototeca, è conservata una fotografia in bromuro d’argento datata 1860 (il decennio, come detto, dei dipinti), avente quale didascalia “Le sorelle Cugini”; l’immagine ritrae due donne dall’espressione un po’ severa ma con le teste che si piegano in un gesto di affetto sororale. Sono le sorelle delle quali parla l’articolo del 1944? Non abbiamo dati per rispondere con certezza, ma la donna di destra, abito scuro ben allacciato al collo e sguardo più dolce rispetto alla sorella, ci pare mostrare somiglianza con la baccante dalla chioma mora che abbiamo indicato. Forse era lei l’amata di Ugolini.

Il pittore, al quale Reggio ha intitolato la piazzetta in ciottoli che si apre a metà di via Emilia Santo Stefano, nacque nel giugno 1826, perciò fra un anno cadrà il suo bicentenario. Speriamo che in tutto questo tempo sia riuscito, quaggiù o lassù, a conquistare la sua baccante Cugini.

25 aprile 2025

Carolina Ungher a Reggio Emilia


Nel 1838 Carolina Unger (si pronuncia “Ungher”) era forse la cantante d'opera più celebre d'Europa. Nata nel regno austro-ungarico, dotata di puro talento sin da bambina, era stata scelta, ventenne, per cantare come contralto nella prima esecuzione assoluta della Nona Sinfonia di Beethoven, a Vienna nel 1824, e si racconta che fu proprio lei, al termine dell'esecuzione diretta da Beethoven stesso, a richiamare con un gesto gentile della mano l'attenzione dell'ormai sordo Maestro per permettergli di prendersi l'ovazione del pubblico al quale continuava a dare le spalle, ignaro. 

Giunta per perfezionarsi in Italia, la culla dell'opera, Carolina mutò il cognome da Unger in Ungher, pare su suggerimento della moglie di Rossini, sua amica, perché noi italiani continuavamo a chiamarla "signorina unger", con la g dolce. 

A Reggio la Unger, anzi la Ungher, cantò nel 1837 (opere di Donizetti) e 1838 (Donizetti e Rossini), al culmine della propria parabola artistica e della fama. Si esibì nel teatro "di Cittadella"; l’odierno teatro Ariosto, possiamo dire. Il Municipale ancora non esisteva. I parmigiani, la cui città era invece esclusa dalla tournée della cantante, si spostarono in massa a Reggio per udirne la voce, come raccontò il letterato Pietro Giordani che di quella comitiva faceva parte. È bello immaginare lo sciame notturno di carrozze e calessi che rientrano a Parma, in una mezzanotte passata di maggio, illuminate dalle lanterne nella buia e polverosa via Emilia. 

I reggiani, incantati e forse infatuati, accolsero la Ungher in modo trionfale, tanto che le cronache del tempo, italiane e tedesche, ricordano proprio Reggio come testimonianza somma della popolarità della contralto. I melomani più infervorati sganciarono i cavalli dalla sua carrozza per trascinarla verso casa a forza di braccia (i reggiani “sinsa cognisioun” esistevano già nell’800) e all’arrivo alla sua dimora Carolina trovò il giardino illuminato da fiaccole, fra hurrà, striscioni “Viva Carolina!”, musiche e canti, “cosicché è toccato stavolta a lei, che tanto spesso ha fatto piangere gli spettatori, versare lacrime di commozione”, scrisse la Allgemeine Zeitung, una sorta di Resto del Carlino tedesco. L’anno successivo, nel 1838, i reggiani, per ringraziarla di quelle due lunghe tappe nel nostro teatro, vollero donare alla Ungher “addirittura” (così scrisse la stampa) un busto in marmo, che raffigurava con riuscita grazia il suo viso. 

Quel busto, che ci immaginiamo ammirato dalla contralto ma troppo pesante per esser aggiunto ai bagagli del tour, rimase nella nostra città. Per decenni e decenni sonnecchiò tranquillo in un caldo sotterraneo del teatro Municipale, semi-nascosto al pubblico da un’enorme colonna. Finché tre anni fa, un mattino, alla riapertura del teatro dopo un musical da tutto esaurito, il busto fu trovato a terra, lesionato. Atto vandalico? (erano tempi di greenpass e di proteste, anche in teatro) “Non credo -spiega Luca Prandini, macchinista dei Teatri di Reggio- Propendo per l'ipotesi di un collasso spontaneo della colonnina portante; cava, come abbiamo appurato, e di materiale fragile, dopo tanto tempo non deve avercela più fatta a reggere i 40 kg del marmo". L'incidente ha causato danni minori al busto, da allora posto in una stanza chiusa, ma si è rivelato occasione per dare per la prima volta dopo tanto tempo uno sguardo accurato al manufatto. Si è così scoperto, o riscoperto, grazie a una scritta graffita nell'interno, che il busto fu realizzato a Parma, anche se la dedica sul fronte, composta dal Giordani, recita "A Carolina Ungher ammirati del suo cantare i reggiani”. L'identità dello scultore non è nota; Possiamo provare a ipotizzare il nome di Tommaso Bandini, parmigiano appunto, 31enne nel '38 e allievo del fiorentino Bartolini -spiega Liliana Cappuccino, direttrice dell’archivio mediateca dei Teatri di Reggio- Anche la qualità dei lineamenti, la cura dello chignon sulla nuca e quelle due delicate pieghine sul collo, come quelle che si formano quando flettiamo la testa, sembrano suggerire questa ipotesi”. Il nome di Bandini compare, altro possibile indizio, più volte legato alla figura di Giordani, l'autore della dedica del busto reggiano.

“La fama è passeggera -diceva la Ungher- Il ricordo della mia voce svanirà e di me resterà solo un nome nei libri”. Questa minuta scultura, semi-ignota anche agli studiosi e conservata dal nostro Municipale, rappresenta forse la più viva testimonianza della fu celebrità di Carolina, la cantante della nona sinfonia di Beethoven per la quale i reggiani amarono trasformarsi in cavalli da tiro.

2 maggio 2024

"Cronistoria dei Teatri Reggiani", di Eugenio Rossi. Postilla all'inizio del secondo volume: la diatriba tra Rossi e il figlio di Enrico Curti


       [anche questo stralcio è tratto dal manoscritto di Rossi conservato dalla Biblioteca Panizzi e leggibile integralmente on line; in particolare questo post riproduce le prime pagine del secondo volume del manoscritto, prologo all'inizio della cronologia degli spettacoli]



 PARTE II.

    SPETTACOLI TEATRALI

 

(1801-1900)

__ _ __

 

 

[II]

 

STORIA POSTUMA

 

 

[III]

 

STORIA POSTUMA

 

            Appena terminata questa mia Cronistoria, apparve nell'Italia Centrale del 20 Dicembre 1901 n° 350 un articolo che annunciava il mio lavoro come ultimato e che si sperava di prossima pubblicazione - l'articolo portava per firma un semplice E.

            Il giorno dopo nello stesso giornale apparve la seguente lettera:

                                               "Reggio Emilia, 20 Dicembre 1901.

                                   "Egregio Signor Direttore,

            "Leggo nel numero odierno del suo pregiato giornale l'annuncio di una Cronistoria dei Teatri di Reggio di prossima pubblicazione compilata da un tale Sig. E.

            "Io non so a quali fonti egli abbia attinto, né di quali documenti siasi servito.

            "Io so semplicemente questo: che nella civica biblioteca vennero da me e da mia madre depositate tutte le carte, tutti i documenti raccolti dal povero mio padre, il Dottore Enrico Curti, allo scopo di scrivere un'opera identica a quella ora annunciata. Oltre ai documenti e alle carte suddetti trovansi depositati in biblioteca due volumi manoscritti di storia dei teatri reggiani.

            "So anche che negli scorsi anni (dal 1895 ad oggi) parecchie persone hanno frequentato la biblioteca per consultare ed anche trascrivere i documenti, le carte e i manoscritti di mio padre. Quelle persone erano nel loro pieno diritto, né la Biblioteca pubblica poteva rifiutarsi di aderire al loro desiderio.

            "Io, però, faccio questa esplicita dichiarazione senza entrare nel merito dell'opera del Sigr E. Che cioè io mi opporrò, con qualunque mezzo a che dell'opera inedita di mio padre (e per opera intendo anche la raccolta dei documenti, base e parte integrale d'ogni storia) venga compiuto un plagio. Se egli non poté effettuare la pubblicazione, se la famiglia sua, per sentimento di delicatezza, ha creduto di consegnare alla biblioteca municipale, tutto ciò che concerneva il suo lavoro, non ne viene di conseguenza che il primo venuto, senza il nostro consenso, abbia il diritto di valersene e di farne cosa propria.

            "La Cronistoria dei teatri di Reggio, dal 1500 al 1895, anno funesto della morte di mio padre, è stata tutta da lui raccoltadocumentata ed in gran parte anche trascritta.

            "La famiglia sua o il Municipio soli possono farne pubblicazione.

            "Non so se ragioni di legge militino a favore della mia asserzione. Affermo però senza tema di smentite, che così vogliono le leggi della logica e dell'onestà.

            "Mi creda suo aff.mo

Piero Curti"   

 

            Alla lettera del Sigr Piero Curti risposi con altra mia che il giornale non volle pubblicare e che io feci stampare e distribuire in foglio volante che quì trascrivo: 

            "A proposito di una Cronistoria dei Teatri di Reggio Emilia

Offese e Difese

            "Il Giornale cittadino L'Italia Centrale nel giorno 20 Dicembre 1901 annunciava benevolmente la prossima pubblicazione di una modesta mia Cronistoria dei teatri reggiani; e il giorno stesso arrivava come una freccia al giornale su detto la lettera che quì trascrivo e che l'onorevole Direzione subito pubblicava:

            (e quì di seguito era trascritta la lettera del Sigr Curti che ometto per brevità essendo riportata quì sopra)

            "Per verità non mi sono scaldato per una sì fatta lettera; ma ben compresi che era mio dovere e diritto insieme di fare ad essa conveniente risposta. E la risposta portai io stesso all'Italia Centrale; ma questo giornale che pure mi aveva lascito accusare di plagio e di disonestà, non volle pubblicarla. Non starò quì a ricercare se per legge avesse o pur no lo stretto obbligo di pubblicarla. Non voglio indagare se secondo la logica

 

 

[IV]

 

e l'onestà, come dice il Sigr Piero Curti, potesse togliere a me il diritto della difesa: altri giudichi. In quanto a me credo mio stretto dovere di rendere pubblica la risposta che io aveva preparata, che è del tenore seguente:

Reggio Emilia, 9 Gennaio 1902

            Prima di fare qualche veramente necessaria contro osservazione alla lettera del Sigr Piero Curti pubblicata nell'Italia Centrale del 21 dicembre 1901 a proposito dell'annunciata pubblicazione della mia Cronistoria dei Teatri reggiani (vedi Italia Centrale 20 Dicembre 1901), ho creduto opportuno di far qualche ricerca per accertare alcuni fatti: questa la ragione e la cagione del ritardo al rispondere.

            Scrive il Signor Curti "Io so semplicemente questo: che nella civica biblioteca vennero da me e da mia madre depositate tutte le carte, tutti i documenti raccolti dal povero mio padre, il Dottore Enrico Curti, allo scopo di scrivere un'opera identica a quella ora annunciata. Oltre ai documenti e alle carte suddetti trovansi depositati in biblioteca due volumi manoscritti di storia dei teatri reggiani".

            Quì si vogliono assodare due cose

            1. La quasi proprietà della famiglia Curti sul materiale storico raccolto dal Dottore Enrico;

            2. La esistenza di due volumi di storia.

            Circa il primo punto io so questo, che, fra gli atti del Comune esiste una posizione, che risale a poco dopo la morte del Dottor Enrico Curti, intestata: "Consegna delle carte, dei libri e dei manoscritti di pertinenza del Comune esistenti dell'Ufficio della 1a Divisione". In questa posizione o incartamento havvi un atto dal quale appare che la Signora Curti vedova del Dottor Enrico fu invitata ad assistere alla cernita di quei documenti, soltanto per ritirare le carte di famiglia che tra essi potevano trovarsi. Havvi pure una lettera del Bibliotecario che "dichiara di ricevere in deposito dal Municipio le carte, i liberi e le raccolte teatrali fatte dal Dottore E.Curti". Manca la relazione di cosegna, perche probabilmente non è stata fatta. Da nessun documento appare che la famiglia Curti abbia avuto parte in questa consegna, né che essa si sia riservata alcun diritto di proprietà.

            Io poi non sono quì per far questione su la proprietà del materiale raccolto dal Dottor Curti, quantunque non ignori che l'incarico di raccoglierlo gli venisse dal Comune che ebbe anco a compensarlo: è una questione che risolverà il Comune, se lo crede.

            Circa il 2° punto ecco in che cosa consistono i predetti documenti:

            Una collezione, splendida, di avvisi teatrali;

            Una collezione di libretti d'opera stampati;

            Una collezione di libretti manoscritti e stampati di spettacoli dati nel teatro del Seminario e rappresentati dagli scolari del seminario stesso;

            Due grossi volumi manoscritti (di carattere a me ignoto) degli spettacoli dati al Teatro Comunale dal 1808 al 1851 (eguale raccolta esiste anche presso una persona privata che io potrei benissimo nominare);

            Due libri legati e manoscritti (di carattere del Dottor Enrico Curti) portanti l'intestazione Storia dei Teatri di Reggio, ma che invece non contengono che una raccolta di numerose copie di documenti sul teatro comunale riguardanti per lo più lavori di riparazione o altro, di nessuna importanza per una storia. In uno però di questi volumi è trascritto un sunto di storia dell'origine delle laudi e dei laudati.

            Vi è pure qualche zibaldone incompleto o appena cominciato degli spettacoli dati negli altri teatri.

            Vi sono infine alcune raccolte riguardanti la festa delle vecchie e degli spettacoli nel contado, ma appena cominciate e incomplete.

            Nessuna carta esiste nel fondo Curti che dia notizie della costruzione dei teatri, degli architetti e artisti che vi lavorarono; o notizie biografiche sugli artisti, sugli autori e sulle opere loro.

            Dunque il Dottor Enrico Curti, se ha raccolti buoni materiali, una storia dei teatri, non l'ha scritta, né completa né in parte, né coi soli documenti citati poteva scriverla completa. Giudico ciò da quanto ho veduto, poiché in biblioteca, parmi, non esiste un catalogo del materiale raccolto dal Dottore Enrico Curti; onde chi desidera vedere alcun che di esso deve contentarsi di quanto gli si mostra senza potere in nessun modo essere certo di avere visto tutto.

            Dal suesposto elenco chiunque può persuadersi che fra la raccolta depositata in biblioteca e una 

 

 

[V]

 

Cronistoria dei teatri di Reggio havvi la stessa differenza che passa fra alcuni mattoni ed un muro.

            Il Dottor Curti ebbe bensì l'intenzione di fare quella storia, come ne fa fede la circolare programma da lui mandata fuori in data 24 Luglio 1880, ma che però non rimase che un pio desiderio e non ebbe nessun seguito, neppure in abbozzo, a meno che, come ho detto, non esistano altri documenti, a me ignoti, nella biblioteca o altrove.

            E' dunque tutt'altro che esatto quanto scrive il Sigr Piero Curti, che cioè: "La Cronistoria dei teatri di Reggio, dal 1500 al 1895, anno funesto della morte di mio padre, è stata tutta da lui raccolta, documentata ed in gran parte anche scritta".

            Il Sigr Piero Curti scrive ancora: "So anche che negli scorsi anni (dal 1895 ad oggi) parecchie persone hanno frequentato la biblioteca per consultare ed anche trascrivere i documenti, le carte e i manoscritti di mio padre. Quelle persone erano nel loro pieno diritto, né la biblioteca poteva rifiutarsi di aderire al loro desiderio".

            E sta bene, e nulla trovo da ridire su questo.

            Se non che il Sigr Piero soggiunte: "Io, però, faccio questa esplicita dichiarazione senza entrare nel merito dell'opera del Sigr E. Che cioè io mi opporrò, con qualunque mezzo a che dell'opera inedita di mio padre (e per opera intendo anche la raccolta dei documenti, base e parte integrale d'ogni storia) venga compiuto un plagio. Se egli non poté effettuare la pubblicazione, se la famiglia sua, per sentimento di delicatezza, ha creduto di consegnare alla biblioteca municipale, tutto ciò che concerneva il suo lavoro, non ne viene di conseguenza che il primo venuto, senza il nostro consenso, abbia il diritto di valersene e di farne cosa propria".

            Oh, no! Caro Signore, Ella prende un grande abbaglio. Nessuno può commettere plagio su una serie di documenti semplicemente trascritti e di materiali raccolti, giacché in quanto a storia ho già provato che il Dottore Curti non ne ha scritta alcuna; e non so dove trovi materia di plagio su cose che Ella dichiara che tutti potevano vedere e copiare. Starebbero freschi la storia e gli studi se si dovesse adottare il criterio messo avanti dal Sigr Piero Curti. 

            Tutto questo s'intende detto in generale per tutti coloro che volessero scrivere una storia dei teatri reggiani. Perché in quanto a me in particolare che ho lasciato annunciare la pubblicazione della mia povera cronistoria, che ho da rispondere al Signor Piero Curti? Potrei rispondere soltanto questo, che nei luoghi in cui mi sono valso dei materiali del Dottore Curti io, onestamente, cito la fonte: tutto il mio obbligo finisce qui.

            Aggiungerò invece che quanto egli più o meno direttamente, più o meno velatamente lascia suppore che io abbia commesso un plagio, egli si è lasciato prendere la mano dall'affetto figliale ma non ha con abbastanza ponderatezza considerata la cosa, e all'affetto figliale si può perdonare tutto. Ma non posso egualmente menargli buona la chiusa della sua lettera:

            "Non so se ragioni di legge militino a favore della mia asserzione. Affermo però senza tema di smentite, che così vogliono le leggi della logica e dell'onestà".

            Prima di parlare di plagio, prima di parlare di onestà, letteraria o no, bisogna pensarci sopra molto, ma molto di più.

            Io non avrò fatto opera come l'avrebbe potuta fare il Dottore Enrico Curti, che era uomo colto e di molto ingegno: la mia sarà una poverissima cosa, e lo so purtroppo perché non sono che un povero raccoglitore: ma posso assicurare che ho fatto un'opera che ancora mancava, sia valendomi dei materiali raccolti da oltre 10 anni da me direttamente, sia col sussidio dei documenti trovati in biblioteca, nell'Archivio di Stato, presso il Municipio o presso privati cittadini, sia infine con l'aiuto di non pochi libri a stampa.

            E, guardate, fatalità delle cose umane: i materiali raccolti dal Dottor Curti, giaciono da sette anni in biblioteca; e sebbene il Comune in altri tempi si fosse interessato della cosa, nessuno più pensava a una storia dei nostri teatri. Viene un volenteroso che si propone di far qualche cosuccia ed ecco che lo si accusa di plagio anche prima di qualsiasi pubblicazione, e (con quali logiche ragioni e con quali mezzi, vattel a pesca!) si pretende anco di impedirgli di pubblicare il tenue frutto de' suoi studi. Io però, molto quieto di spirito e di animo, qualora mi riesca, pubblicherò il mio più che modesto lavoro, che non toglie merito ad alcuno, che non è una copia di lavori d'altrui, con la fiducia di far opera non del tutto inutile per notizia delle cose cittadine.

Eugenio Rossi                       

maestro patentato in grado superiore.     

 

 

[VI]

 

 

Al mio foglio volante rispose il Sigr Piero Curti colla seguente lettera pubblicata nell'Italia Centrale: 

 

"17 Gennaio 1902                           

            "Al Sigr E.Rossi, che in un foglio volante ha risposto ieri alla mia lettera già pubblicata nell'Italia Centrale io non ho a replicare che poche parole.

            Infatti non rilevando le cortesi punture onde m'ha fatto segno (poiché nell'attuale dibattito non è di me che si tratta), osservo che la lettera del Signor Eugenio Rossi non ha tolto valore alle mie principali affermazioni. Cioè sta sempre il fatto che, se non un opera storica scritta, in biblioteca trovasi un'opera storica raccolta e preparata nella collezione di documenti fatta da mio padre.

            E poiché una Cronistoria dei teatri di Reggio, non si scriverebbe certo a base di critica o di filosofia della storia, mi pare che il lavoro maggiore, il lavoro vero sia già fatto. L'estensione è opera di ben minore importanza.

            Riguardo poi ai due volumi manoscritti di mio padre, ai quali il Sigr Rossi nega, con felice sicurezza, ogni importanza, ogni valore, non rispondo altro se non che, sino dal 31 Dicembre ms. io ho inoltrato istanza regolare al Signor Sindaco per effettuare io stesso la pubblicazione. Questa via, parmi, torrà di mezzo ogni equivoco e metterà in chiaro la cosa.

            "Del resto io non lanciavo direttamente l'accusa di plagio al Sigr Rossi: io dicevo, solo, e quì lo ripeto, che mi sarei opposto con ogni mezzo a che il plagio avvenisse. La mia era una prevenzione, non un'affermazione.

            Se mi sono ingannato, se non tutte le mie affermazioni furono pienamente esatte, tanto peggio per me, e tanto meglio pel mio contraddittore.

            Certo se il Sigr Rossi dopo la mia lettera rivolta allo sconosciuto Sigr E., si fosse direttamente e in forma privata a me rivolto, avremmo risparmiata ai cittadini la noia dell'odierna questione.

Piero Curti"               

 

            Naturalmente io non risposi più al Sigr Piero Curti, giacché egli stesso diceva "se mi sono ingannato, se non tutte le mie affermazioni furono pienamente esatte" che si doveva ancora continuare in questo dibattito? Certamente no, sebbene a certi suoi appunti si potesse dare adeguata risposta e se non lo feci allora mi sia permesso il farlo adesso.

            Il Sigr Piero Curti dice: "E poiché una Cronistoria dei teatri di Reggio, non si scriverebbe a base di critica o di filosofia della storia, mi pare che il lavoro maggiore sia già fatto. L'estensione è opera di ben minore importanza."

            E quì il signor Curti cade in un grave errore. Prima di cominciare l'estensione, come egli dice, ho dovuto rifare tutto il lavoro fatto da suo padre perché io non aveva la certezza che i documenti raccolti dal Dottor Enrico Curti fossero completi, e diffatti nelle mie ricerche fatte in biblioteca fra gli atti ivi esistenti e fra le cronache manoscritte, specialmente in quella del Fantuzzi, ho trovato fatti nuovi e molti dei documenti del fondo Curti ho potuto completare; come pure altre e nuove notizie ho raccolto fra gli atti del Comune e della Pubblica Sicurezza conservati nell'archivio di Stato. Altre e non poche notizie ho raccolto da libri a stampa che ho consultati nella biblioteca Estense di Modena e da molti altri libri che gentilmente il Cav. Prof. Naborre Campanini mi ha procurato da altre biblioteche del Regno.

            E non mi venga a dire il Signor Piero Curti che la stesura di questi documenti in tanti modi raccolti sia opera di minore importanza; poiché il riunire, classificare e coordinare il materiale raccolto se non è opera filosofica è opera di pazienza tale da stancare qualunque appassionato in materia.

            In questo genere di lavori quello che io credo sia più importante è il raccogliere esattamente tutto ciò che riguarda ogni compagnia sia di canto, sia di prosa o d'altro genere. Nei due grossi volumi accennati nella mia risposta e che riguardavano gli spettacoli dati 

 

 

[VII]

 

al teatro Municipale dal 1808 al 1851 le compagnie drammatiche vi sono appena indicate col nome del campo comico e in tutte manca l'elenco artistico degli attori. Io le ho completate; e sa il Signor Piero Curti quante nuove ricerche ho dovuto fare e quanto di tempo queste mi hanno portato via? Per fare tutto ciò non ci vorrà della filosofia, ne convengo, ma mi sono già io stesso classificato per un semplice raccoglitore e se nella mia qualità ho ricorso a quanto ha fatto il di lui padre vuol dire per questo che io voglia togliere a questi il merito di quanto ha fatto? Allora che diranno gli eredi del Fantuzzi essendomi servito della sua cronaca manoscritta? che dirà il Gandini di Modena e tanti altri cronisti teatrali ai quali ho pure ricorso per notizie.

            In seguito alla questione avvenuta tra me e il Sigr Piero Curti, il Comune di Reggio diede ordine all'in allora facente funzione di Bibliotecario Prof. Giuseppe Ferrari, di non lasciare più vedere al pubblico la raccolta del Curti. Subentrato al Ferrari il Prof. Mazzelli e trovato questo divieto, chiese informazioni al Comune il quale con nota 12 Agosto 1902 N. 15546 autorizzava la Biblioteca a tenere a disposizione del pubblico la raccolta del Dr Enrico Curti, dando così ragione a me, che cioè la raccolta del Dr Curti non costituiva una privativa, ma una raccolta di documenti ai quali gli studiosi potevano liberamente attingere.