29 ottobre 2019

Le due dame di Chobunsai e Alessandro

 

La Coppa del Mondo di rugby in Giappone ha riportato alla luce l'interesse per alcune forme dell'arte giapponese e in particolare per il gusto grafico di quella nazione. Cercando immagini di disegni di Hokusai e Hiroshige mi sono imbattuto su google in quest'opera di un autore che non conoscevo: Chobunsai Eishi (od Hosoda Eishi), vissuto tra '700 e '800. L'illustrazione è attribuita agli anni attorno al 1790 e forse ritrae una alluvione, come quelle appena accadute in Giappone a causa del mortifero tifone Hagibis.
Appena l'ho veduta ho avuto un deja vu, come dicono i tedeschi: mi è tornato in mente il dipinto di Sandro Botticelli con Giuditta che torna a Betsabea, la città giudea, dopo aver mozzato il capo a Oloferne, comandante dell'invasore esercito assiro. Il capo di Oloferne è recato dall'ancella di Giuditta.
Le affinità tra le due opere sono forse non evidenti ma a mio avviso numerose:
- ci sono due donne in entrambi i quadri, e va bè
- le due donne occupano la stessa porzione del dipinto e procedono nella stessa direzione, con un andamento che porta verso il basso a destra del quadro
- la donna di sinistra reca qualcosa di ovale sul capo: nel primo caso un capo mozzato in una cesta (?), nel secondo caso un ombrello
- la donna di sinistra regge la veste con la mano destra in entrambe le opere
- la donna di destra ha il capo volto verso la compagna in entrambe le opere
- le due protagoniste si trovano su una porzione di terreno che disegna una specie di triangolo; questi "triangoli" occupano più o meno la stessa porzione dei due dipinti
- in entrambe le opere si può individuare anche una fascia rettangolare che costituisce il primo sfondo  e occupa grosso modo il 40% della superficie dell'opera: nel dipinto italiano questo è formato dal terreno sul quale camminano Giuditta e la sua ancella e dai campi di color più verde scuro sull'immediato background, nell'illustrazione di Eishi da un ponticello e dalle due rive da esso collegate
- in entrambe le opere all'azione sullo sfondo è riservata la zona in alto a destra del disegno
- sulla destra del corpo di Giuditta si protendono apparentemente due lingue d'acqua; similmente, sulla destra del capo del personaggio di destra dell'illustrazione giapponese si protendono due lingue d'acqua
- il ramoscello tenuto in mano da Giuditta può avere un vago corrispondente nella piantina lungo il bordo in basso a destra dell'opera giapponese; o forse quest'ultimo è l'omologo dell'intero albero del dipinto botticelliano (entrambi corrono a filo del margine destro)
- in entrambe le opere in basso a sinistra ci sono ciuffi d'erba
- la "cintura" del personaggio giapponese di sinistra e il copricapo di quello di destra possono ricordare la fascia centrale dell'abito dell'ancella e la forma del copricapo di Giuditta

Tutte queste affinità, forse vaghe non ai miei occhi, mi fanno pensare che Eishi possa essersi ispirato a Botticelli nella composizione del disegno, anche se in rete non ho trovato alcuna menzione di un'influenza del secondo sul primo.
I principali dubbi riguardavano il fatto che -a quanto sapevo- il Giappone rimase una nazione ermeticamente chiusa all'esterno fino all'inizio dell'Ottocento, quando gli americani con la consueta gentilezza costrinsero militarmente i nipponici ad aprirsi al commercio con l'estero. Se la società giapponese nel '700 era ancora così chiusa, come poteva un artista di quel popolo conoscere e apprezzare un'opera neppure principale del Rinascimento italiano? Le mie profonde ricerche (wikipedia) mi hanno però portato a imparare che già dalla metà del '700 stampe di opere del Rinascimento italiano e fiammingo erano state diffuse nell'ex Cipango dai marinai olandesi, e che artisti come Hokusai e Hiroshige (e forse lo stesso Eishi) avevano imparato la tecnica della prospettiva proprio grazie a queste; in particolare, così dice wikipedia, grazie a riproduzioni di opere di Piero della Francesca e Mantegna.
Botticelli non è citato ma io sono quasi convinto, anche se non completamente certo, che "Il ritorno di Giuditta a Oloferne" sia alla base dell'illustrazione di Eishi.

20 maggio 2014

Una questione di sorci



So che non ci si dovrebbe arrabbiare per la politica ma non pensavo che mi sarebbe toccato vedere qualcosa di così assurdo come il movimento dei grillini. Per vent'anni ho trovato eccessivo l'antiberlusconismo degli antiberlusconiani eppure adesso provo per i grillini un fastidio e una disistima più feroci del più acceso antiberlusconismo degli antiberlusconiani. Pensare che il 30% (ormai) degli italiani segua supinamente questo bolso comico imbevuto di schadenfreude è disarmante; vederli condividere e giustificare qualsiasi cosa dica o faccia, perfino cacciare chi dall'interno lo ha semplicemente criticato, è umiliante anche per chi non fa parte del loro branco. Non credo, come alcuni dicono, che i grillini siano pericolosi fisicamente; nulla di quello che hanno fatto finora fa presagire una deriva violenta. Perché questo mio fastidio nei loro confronti, allora? E' una questione di eleganza, per citare (spero correttamente) Fenoglio. Gli alter ego letterari dello scrittore non combattevano il fascismo per ideologia; il partigiano Johnny ha una cultura classica e anglofona, forse come indole sarebbe addirittura più vicino al fascismo che al comunismo, nonostante la stima per i suoi professori comunisti, ma combatte le camicie nere per la loro volgarità, la loro meschineria, la loro stolidità, il loro sordo uniformarsi al capo. Citando ancora Fenoglio, la mia idiosincrasia per questo bassissimo fenomeno politico chiamato movimento cinque stelle è anche "una questione privata". So che è una motivazione puerile ma, semplicemente, non sopporto che una persona così pronta a insultare (e compiaciuta nel farlo), così arrogante, così vuota, così prepotente verso qualsiasi voce critica, abbia successo. E' come quanto da piccoli non si voleva che vincesse la partita il più antipatico dei bambini del gruppo. Qui il bambinastro antipatico non sta vincendo una partita giù in cortile ma le elezioni di una nazione di 60 milioni di abitanti. Incredibile

30 giugno 2011

Hotel Emilia


La mia rivista preferita si chiama Hotel Emilia. Si può prendere solo in abbonamento ed esce ogni due mesi. Visto che uno dei collaboratori della rivista è al 50% un professorino e al 50% uno sborone, si trovano sempre delle notizie etimologiche che interessano solo a me. Eccone un po' che ho imparato ultimamente: l'aglio si chiama così perché in lingua celtica "alliu" significava "bruciante". Lo scalogno, un bulbo simile alla cipolla, veniva coltivato anche nell'orto di Carlo Magno e si chiama così perché secondo la tradizione proviene dall'antica città di Ascalon, in Giudea. Pennabilli, comune appenninico riminese (ma fino a due anni fa era in provincia di Pesaro), è l'unione delle frazioni di Penna e di Billi. Mondaino, in provincia di Rimini, si chiama così perché il monte sul quale sorge era popolato dai daini (mons dainorum), mentre una grande pineta che un tempo pullulava di cervi ha dato il nome a Cervia. La parola 'asino' invece deriva dall'ebraico e voleva dire "camminare lentamente a piccoli passi". E ci sono tante tante altre notizie, interessanti quasi come queste, che potete leggere solo su Hotel Emilia.

2 maggio 2011

Gita a Banzola


Una delle cose che mi rendono così elegante è la camminata da papero, una caratteristica fisica che al mondo possediamo solo io, Paperino e John Wayne. Questa postura dei piedi ha però un effetto collaterale quando si va in bici, visto che produce una pedalata sgangherata che pian piano mina il perno centrale dei pedali. Oggi ero partito per andare a fare un giro a Banzola, in collina, ma alla prima salita mi sono accorto che la ruota dietro toccava il telaio ad ogni pedalata. Così ho dovuto fare quasi dieci chilometri di salita a piedi: da Pecorile a Paderna e poi da Banzola a Sordiglio e da Sordiglio a Paullo. Volevo andare a Banzola perché su un libro ho letto che nell'autunno 1944 un bombardiere americano soprannominato "Leydale" si schiantò contro una collina nei pressi di quel paesino. L'aereo era andato a bombardare un ponte utilizzato dai tedeschi ad Ostiglia, sul Po tra Mantova e Reggio. Colpito dalla contraerea nazista, il velivolo aveva perso pian piano quota e si era diretto verso sud, nel tentativo di tornare nella zona liberata al di là degli Appennini. Arrivati alle prime colline, gli uomini a bordo capirono però che non sarebbero mai riusciti a riportare l'aereo ad una quota utile per scavalcare i monti. Così cercarono di lanciarsi tutti con il paracadute. Il pilota volle rimanere ai comandi per mantenere il velivolo in un assetto che permettesse agli altri di lanciarsi. Quando l'ultimo dei suoi compagni si fu lanciato le colline di Banzola erano ormai troppo vicine. Morirono in due: il pilota nello schianto dell'aereo; e un altro pilota gravemente ferito dalla contraerea tedesca, che si era lanciato ma non era riuscito ad aprire il paracadute. Se ricordo bene tutti gli altri soldati a bordo si salvarono: alcuni vennero catturati, altri furono aiutati dalla popolazione e poi dai partigiani, tutti sopravvissero alla guerra. Sembra che sul luogo dell'impatto dell'aereo con la collina si sia formata una depressione ove l'acqua piovane giace per più tempo, cosicché solo lì in primavera nascono dei fiorellini gialli. Volevo trovare proprio quella macchia di fiori gialli, ma naturalmente non ci sono riuscito. Le indicazioni del libro non erano precisissime: "a lato della strada tra Pecorile e Banzola, in un campo che forma un anfiteatro naturale". Di strade che collegano quei due paesi ce ne sono due e quasi sempre ai lati della strada si aprono delle vallate che sembrano anfiteatri naturali. Perciò niente, sono tornato a casa senza aver trovato il luogo. Però ho fatto queste foto: la vallata sotto Paderna, un gatto in lontananza (tanto che non si vede), un bruco, un'altra vallata con in fondo il castello di Rossena, un cavallo che mi guarda rapito, degli alberi.