14 settembre 2010

Un dollaro d'onore


Uno dei film che mi piacevano di più quando ero piccolo era "Un dollaro d'onore", con Gion Uein e Din Martin. Era uno di quelli che mi facevano immedesimare di più nella parte dell'eroe, insieme a "Beau Gest", ambientato nella legione straniera, ed ad un film di guerra tra americani e giapponesi del quale non ricordo il nome. Ho rivisto l'altro giorno "Un dollaro d'onore" (titolo originale "Rio Bravo", 1959) e penso sia davvero un grande film. E' un western d'azione, ma la sua forza (una delle sue forze) è lo svolgersi in un ambito ristretto: la porzione di un paesino (in buona parte dipinto su grandi teloni) delimitata dall'ufficio-prigione dello sceriffo Chaines, dal saloon dei fratelli Burdett, dall'hotel di Carlos e dalla staccionata vicino alla quale Dean Martin fa la guardia. Da piccolo il mio personaggio preferito era Colorado Kid, che invece adesso è forse quello che mi piace di meno; però ho scoperto che quell'attore era un cantante molto famoso (Ricky Nelson) e probabilmente la ragione del suo recitare un po' sbruffone derivava dal fatto che voleva "elvispreasleyggiare" un po'. Da piccolo il personaggio che mi piaceva di meno era invece Dean Martin e adesso è quello che mi piace di più. Anche John Wayne era molto bravo; uno potrebbe pensare che un interprete diventato famoso per la virilità e la rudezza non fosse un granchè nella recitazione e invece era piuttosto in gamba. Anche il vecchio Stampy mi piace molto, però ho visto nelle recensioni attuali di imdb che alcuni fan anglosassoni definiscono il suo personaggio "banale" e "già visto". Credo volesse essere un film "commerciale", perchè avevano chiamato a recitare un cast composto, oltre che da un superdivo come Wayne, da un artista famoso soprattutto per le sue doti canore e di intrattenitore (Martin), da un cantante idolo delle teenager, da un caratterista buffo e da una attrice, Angie Dickinson, che penso fosse famosa soprattutto per le sue foto un po' spregiudicate. Eppure ne uscì uno dei migliori western di sempre. Per Dean Martin fu l'apice della carriera di attore. Nelson, Stampy e la Dickinson non parteciparono mai più a film neanche lontanamente così popolari. Ho scoperto che il vero nome di battesimo di John Wayne era Marion, e questo spiega perchè il disegnatore di fumetti Al Capp fece una storia nella quale un rude e corpulento attore di film western si rivelava una amorevole madre di nome Marion che curava segretamente il proprio figlioletto nella pausa tra una ripresa e l'altra. John Wayne morì nel 1979 dopo aver recitato su un set posto in una valle dove poco tempo prima erano stati fatti test atomici (allora ritenuti non pericolosi; ho appena letto una storia Disney di quei tempi nella quale Paperino mette un po' di uranio sui cappelli di Qui, Quo e Qua per poterli tenere sotto controllo tramite un rilevatore geyger); Ricky Nelson morì nel 1985 in un incidente aereo con la sua band; Dean Martin morì a metà anni '90, Carlos nel 2006. L'unica attrice di quel film ancora in vita è Angie Dickinson, ora ottantenne.

9 settembre 2010

Viaggio sul Po


Oggi finalmente sono riuscito ad andare fino al Po in bici. Non è una grande impresa, da casa mia penso siano una quarantina di chilometri di pianura. Ho impiegato due ore, perchè soprattutto alla fine ho fatto un po' di giri a vuoto nella campagna. Nè lungo il percorso nè in prossimità del fiume ho trovato un cartello indicante il Po, come se il più grande fiume italiano non fosse una cosa importante turisticamente, culturalmente e storicamente. Si narra che un giorno i feroci Galli avessero deciso di invadere l'Emilia fino a Ferrara; giunti sul Monviso chiesero ad un montanaro: "quanto c'è ancora di qui a Lido di Pomposa?" "Un Po", rispose egli; convinti di essere quasi arrivati i Galli partirono in quarta ma già all'altezza di Vercelli avevano male alla milza, così furono costretti a tornare a casa e l'Emilia, grazie al grande fiume, fu salva. Mentre andavo in là ho visto a San Bernardino dei ragazzini indiani che giocavano a cricket (ci sono tantissimi indiani e bengalesi nella bassa reggiana, sembra che siano molto bravi nei lavori agricoli e caseari). Non avevo mai visto nessuno dal vivo giocare a cricket prima. Volevo fotografarli ma la squadra antipedofilia della Questura di Reggio è da tempo sulle mie tracce ed ho desistito. E' buffo perchè in certi paesi il cricket è lo sport più popolare, ancor più del calcio, mentre in Italia è quasi sconosciuto. Man mano che mi avvicinavo al Po aumentavano sempre più i moscerini; a volte mi infilavo in fitte nuvole nere e dovevo chiudere gli occhi anche se avevo gli occhiali. Quando uscivo dalla nuvola avevo più di cento moscerini addosso. Chissà quanti ne uccidono le macchine ogni giorno solo nelle campagne reggiane; decine di milioni, penso. Comunque quando sono arrivato è stato bello vedere il Po. L'unica cosa che mi è dispiaciuta è che ho finito per arrivarci dalla parte più "turistica", il Lido di Guastalla; avrei voluto sbucare in un'ansa nascosta in mezzo ai campi, ma a quel punto ero troppo stanco per girare ancora ed ho fatto le foto lì, tra un ristorante e qualche vecchio motoscafo. Metto solo qualche immagine. Questo è il Po come l'ho visto quando sono arrivato; forse non si nota ma l'acqua è davvero molto sporca e carica di rifiuti, anche al centro del fiume. Questa è una foto dalla superficie dell'acqua. E questa è la mia super bici.

25 agosto 2010

L'uomo che veniva superato dalle ragazze a piedi


Anche se è da tanto che non scrivo non ho molte cose da dire, perciò parlerò di qualcosa che elettrizza sempre un po' tutti: i miei giri in bici. Mi mancano solo tre salite per riuscire a completare la tabella di trenta percorsi che cerco di fare ogni anno. Mi mancano: la salita di Baiso, che è facile ma lontana da casa; la salita di Bedogno, che è dura e lunga ma molto bella; la salita di San Pietro, che è la più dura di tutte e che non credo di essere in grado di affrontare in questo momento. San Pietro la tengo per ultima; se a un certo punto mi pianto ho deciso che la finisco a piedi, tanto per segnare il tempo anche lì. Poi mi piacerebbe andare al Passo del Cerreto, che è il valico appenninico tra Reggio Emilia ed il mar Tirreno; non sono mai riuscito ad arrivarci. Sono 75 km da casa mia. Con la forma che ho adesso ci metterei 5 ore ad andare e circa 4 a tornare; nove ore di bici sono tante, però un giorno voglio tentare.
Oggi però mi è successa una cosa che mi ha abbattuto, una di quelle cose che succedono a metà dei film e che sembrano demoralizzare definitivamente il campione prima dell'incredibile riscossa finale. Mentre in mbk percorrevo la salita della Tana delle Mussine, una salita lunga ma non difficile, mi ha superato una ragazza che andava a piedi. Cioè, non di corsa: camminava. E' stato un po' imbarazzante. Anche per lei, penso. E' stato anche un po' irreale: quando l'ho sentita alle mie spalle e voltandomi l'ho vista pensavo fosse appena sbucata da un cespuglio, invece sentendola avvicinarsi ho capito che stava facendo tutta la salita anche lei e che mi stava raggiungendo. Sembrava quei film tipo Terminator dove uno scappa lanciando bombe ed abbattendo muri dietro alle sue spalle ma si volta e Terminator è sempre lì che avanza implacabile. Io spingevo sui pedali e sudavo tutto (non dovevo essere molto sexy in quel momento) e lei, tutta rilassata ascoltando l'ipod, era sempre più vicina. In breve mi ha raggiunto, superato e staccato. Qualsiasi altro uomo si sarebbe arreso, ma io no, non mi sono dato per vinto. Ho raccolto forze delle quali non pensavo neppure di essere capace e le ho sprigionate sui pedali. Lei ha continuato a guadagnare metri e dopo qualche tornante è sparita dalla mia vista.

9 luglio 2010

Un uomo oscuro


Ho letto "Un uomo oscuro", un racconto di Marguerite Yourcenar (che, ho scoperto, si chiamava in realtà Marguerite de Crayencour). Il racconto, scritto nell'estate 1980, è molto bello, secondo me ancor più di Opera al nero, che preferisco a Memorie di Adriano. Non è sicuramente la cosa più importante del testo, ma c'è un passo all'interno del racconto che mi ha fatto piacere leggere perchè mi sono trovato d'accordo con quanto in esso si sostiene. Scrive Marguerite, attraverso il pensiero del protagonista Nathaniel che assiste da cameriere ai concerti di musica da camera nella villa di Van Herzog: "La gente senza il minimo imbarazzo sostituiva a quei suoni melodiosi sussurri e risatine. Peggio ancora: alla fine di ogni sonata scoppiavano gli applausi, scaturiti così immediatamente che si sarebbe detto che ognuno aspettasse solo quel momento per fare, a sua volta, rumore. Un orribile battere di mani, che faceva fiorire un sorriso sul volto dei musicisti e li piegava in due in un saluto soddisfatto, seguiva, come una sommossa, a un ultimo accordo dolce come una riconciliazione". Anche a me, probabilmente l'avevo già detto, spesso non piacciono gli applausi alla fine di una rappresentazione teatrale. Quando termina una recita drammatica, quando finisce un movimento d'archi commovente, quando si conclude un balletto colmo di poesia forse sarebbe meglio starsene in silenzio ed andarsene pian piano dal teatro parlando a bassa voce con i propri amici. Invece ecco ogni volta il rito degli applausi, con un muro di battimani che scatta appena si capisce che lo spettacolo è finito, le luci che si accendono a pieno regime e gli attori che escono e rientrano in scena più volte, magari correndo. Mi sembra sbagliato, anche se capisco l'enorme piacere che devono provare gli artisti a sentire l'approvazione del pubblico ed il piacere del pubblico a far sentire la propria approvazione. Però è una cesura troppo netta rispetto a quanto appena espresso sul palcoscenico, è qualcosa che spazza via tutto. E' come dire: "abbiamo provato delle belle emozioni fino ad un secondo fa, ecco qua allora il nostro ringraziamento". Ma quelle emozioni potevano riverberare ancora un po' senza quel battimani collettivo. Non so, poi magari mi sbaglio ed uno spettacolo senza applausi finali sarebbe meno bello o coinvolgente.
Comunque tante persone volevano sapere la classifica dei miei personaggi femminili preferiti tra quelli dei quali si invaghisce Nathaniel. Ecco qua: 1 Saray, 2 Janet, 3 Madeleine, 4 Foy.

1 luglio 2010

Vampiri


In questi giorni mi sono fatto una cultura vampiresca. Le storie di vampiri non mi sono mai piaciute però ho finito per vedere per la prima volta "Nosferatu" di Murnau (1922) e "Dracula" di Tod Browning (1931), per la seconda volta "Per favore non mordermi sul collo" di Polanski (1968) e per leggere per la prima volta il romanzo "Dracula" di Bram Stoker (1898). Il film di Polanski l'avevo già visto da bambino e mi aveva lasciato un bel ricordo. Roman Polanski mi è sempre stato un po' antipatico (non so perchè), ma è davvero un bravo regista. Ho scoperto che è stato lui a girare da giovane "Il coltello nell'acqua", un film francese in bianco e nero amaro ma molto bello. E ho anche imparato la tragica storia di Polanski e di sua moglie Sharon Tate, che nel film è Mina (foto in alto) e che nella vita fu uccisa dai dei balordi all'ottavo mese di gravidanza, nel 1969.
Del libro "Dracula" non ho apprezzato lo stile epistolare, un po' forzato in molti momenti. Dal punto di vista narrativo la parte più appassionante è forse la caccia finale al conte. Nei film e nel libro risulta anche un po' difficile da accettare l'atteggiamento inverosimile dei protagonisti in alcuni frangenti. Dracula ogni sera va a succhiare il sangue e l'anima prima a Lucy e poi a Mina e ogni sera gli uomini della casa accorrono disperati a prestare cure alle sventurate; e poi la notte dopo le lasciano di nuovo sole per dedicarsi a quisquilie dicendo "oh, speriamo che Mina dorma bene stanotte". Vai a far la guardia, semo. E' del tutto improbabile un comportamento del genere, serviva solo a Stoker per creare altre scene ad effetto.
Boh, così, non so cos'altro dire. Di tutte le parodie (da "Fracchia contro Dracula" allo sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo) le mie preferite sono forse il film di Polanski e anche The Rocky Horror Picture Show, che credo sia parzialmente ispirato alla leggenda di Dracula.